I “puzzle game” trovano la loro origine nella notte dei tempi: probabilmente uno dei primi e certamente tra i più famoso è Tetris; anche chi non ha mai avuto la passione per i videogiochi è altamente probabile che almeno una partita in vita sua l’abbia fatta, se non altro perché è stato convertito su praticamente ogni tipo di supporto, a partire dal cabinato da sala, fino alla celeberrima versione che ha fatto le fortune del primo Game Boy, assieme al quale veniva venduto in bundle.
Puzzle game amore di lunga data
C’è stata poi la stagione dei 16bit con giochi che sono entrati nella storia come Columns e Puyo Puyo, o ancora Puzzle Bobble fino a Doctor Mario.
Con l’avvento del gaming su mobile, poi, abbiamo assistito ad una vera età dell’oro per i puzzle game, con Candy Crush che ha polverizzato ogni record in termini di diffusione.
Insomma, quando si produce un puzzle game, si va sempre piuttosto sul sicuro, per vari motivi: la realizzazione tecnica può essere basilare, il sonoro ripetitivo (chi di noi non ha mai dimenticato il motivetto di Tetris?) e poco altro serve per venderlo bene. L’unica cosa che non deve mancare, e non è esattamente poco, è l’idea che sta alla base: trovata quella, si fa bingo.
E un’altra idea semplice ma efficace sta alla base di 112th Seed, titolo realizzato da Nerd Games e Slider Games e pubblicato da eastasiasoft, in uscita in questi giorni per Xbox One, PlayStation 4 e il 6 agosto per Nintendo Switch.
Il concept, come d’obbligo in questi casi, è semplice ma efficace: sarai un piccolo seme che per salvare l’umanità dalla carenza di cibo deve seminare tutta una serie di piantine in modo che resistano in ogni tipo di ambiente. Il tutto attraverso un totale di 70 livelli sviluppati in verticale e orizzontale, come nella più classica tradizione platform sullo stile di Bubble Bobble, con la differenza che in questo caso non ci saranno nemici da uccidere e insidie da evitare ma andare dal punto A al punto B così da terminare il livello e proseguire al prossimo.
Semplice a dirsi, molto meno a farsi, perché gli ostacoli che dovrai superare per raggiungere il punto B saranno sempre diversi ed insidiosi e richiederanno tutta la materia grigia di cui disponi.
Dovrai farti largo tra mattoncini da spostare, piantine da far crescere e in grado di aprire spazi e trasportare oggetti, leve che aprono porte, power up in grado di farti volare per farti attraversare punti altrimenti invalicabili e così via.
Il tutto mediante controlli molto semplici: con la levetta analogica muovi il semino, mentre due tasti ti serviranno o per saltare o per interagire con i vari ostacoli (come appunto far crescere una piantina in un determinato punto).
112th Seed un puzzle game non per tutti
Il gameplay, insomma, come da tradizione dei puzzle game è semplice ed immediato, e nel giro di 10 minuti saprai fare tutto quello che il gioco richiede. Il resto, e non è poco, sarà farlo, e qui le cose cambiano.
Essendo un puzzle game, se detesti il genere, difficilmente 112th Seed potrà farti cambiare idea, anche perché rispetto ad un già citato Candy Crush è certamente più “gioco” e meno “passatempo”, anche se i modi per superare i vari livelli possono anche essere diversi. Personalmente, però, mentre una partita a un Tetris o a un Candy Crush la si fa sempre volentieri, in questo caso non ho avuto alcuno stimolo nel ritornare a completare livelli una volta fatti su 112th Seed, ma qui c’entra anche quello che è il gusto personale e il livello di sfida ricercato.
A pesarci, su questo giudizio conta anche il fatto che la versione da me provata è quella per PlayStation 4, quindi giocata su un divano davanti ad uno schermo 42 pollici, mentre un gioco del genere probabilmente trova la sua ragion d’essere ideale su un dispositivo come può essere Nintendo Switch, dal momento che la tipologia di gioco si presta di più ad essere fruita in mobilità che non con una home console classica, quindi il giudizio sul gioco è suscettibile anche di questo elemento e va considerato.
Tecnicamente il gioco si presenta con uno stile in pixel art retrò. Molto retrò. Probabilmente anche troppo, dal momento che si fa molta fatica a distinguere i dettagli del gioco.
Intendiamoci, da giocatore di vecchia (vecchissima) data non posso che apprezzare la pixel art, ma forse in questo caso gli sviluppatori hanno un po’ esagerato conferendo al titolo una veste tecnica che sembra quasi approssimativa e generalmente un po’ monotona, ed è un peccato, perché con un briciolo di inventiva in più il risultato sarebbe potuto essere decisamente più gradevole.
Carina la musichetta principale, che come si confà a questo genere è ripetitiva, e discreti sono gli effetti sonori.
Longevità e giocabilità vanno a braccetto in casi come questo, perché se il genere e la tipologia ti acchiappa potresti non volerti mai staccare, anche solo per la classica partita di 10 minuti, mentre se non sei una persona paziente, che ama usare per il 95% il cervello quando gioca, difficilmente andrai oltre i 20 minuti di gioco (totali).
Per il prezzo a cui viene proposto, se ti piacciono i puzzle game e magari hai un Nintendo Switch te lo consiglio caldamente, mentre in caso contrario puoi dargli comunque una possibilità, chissà che non sboccerà l’amore…