Nel lontano 2009, la software house nipponica FromSoftware ha regalato ai giocatori un’esperienza destinata a cambiare le regole e le tendenze del futuro mercato videoludico: Demon’s Souls. Il titolo, grezzo e ancora da rifinire presentava comunque in sé l’interessante concetto alla base del genere Soulslike che aveva catturato un pubblico di nicchia desideroso di affrontare un gioco che risultava decisamente hardcore se non esplorato per bene e affrontato a dovere.
A estendere la popolarità del genere ci ha poi pensato sempre FromSoftware nel 2011 con l’indimenticabile Dark Souls, erede spirituale del titolo uscito due anni prima e primo tassello di una trilogia diventata praticamente oggetto di culto. Negli anni la software house si è sempre premurata di calcare contemporaneamente due strade: quella della tradizione e quella dell’innovazione: accanto a Dark Souls III infatti sbarcava sul mercato Bloodborne, esclusiva PlayStation 4 che rendeva il genere ancora più feroce e aggressivo, nel 2019 invece Sekiro: Shadows Die Twice rivoluzionava ancora il concetto di Soulslike, a pochi mesi di distanza da Dark Souls Remastered, porting per console di attuale generazione del viaggio del non morto maledetto da cui tutto ha avuto inizio.
Nonostante le pesanti innovazioni apportate al genere, Fromsoftware è sempre e comunque rimasta fedele ai suoi stilemi di world building che presentano varie aree in una mappa globale interconnessa e soprattutto la tridimensionalità del titolo, così da poter offrire un combat system solido fatto di attacchi, parry e schivate. A introdurre una pesante variazione sul tema fu, nel 2016, Salt and Sanctuary di Ska Studios, titolo che ibridava Soulslike e Metroidvania e fortemente ispirato proprio a Bloodborne.
Quest’idea si rivelò vincente perché dimostrava che anche le due dimensioni permettono di offrire un combat system tecnico e recuperano dal Metroidvania il concetto di mondo esplorabile interconnesso, talvolta in maniera anche molto cervellotica e macchinosa. Il lancio di Hollow Knight da parte del Team Cherry nel 2017 confermò quanto questa nuova tendenza del Soulslike in due dimensioni fosse valida, ed è proprio in questa nicchia che si va a collocare l’oggetto della recensione: 3000th Duel della software house coreana NEOPOPCORN Corp., un titolo indubbiamente gradevole, che però non riesce da nessun punto di vista a spiccare rispetto ai due colleghi citati in precedenza.
Una trama (in)dimenticabile e (in)dimenticata
Il cliché della perdita di memoria per iniziare da zero una narrazione è da sempre abusato in ogni media, dai romanzi ai film, passando naturalmente anche per l’ambito videoludico. 3000th Duel sceglie di seguire proprio questo modo di raccontare gli eventi, con un protagonista inconsapevole attorno al quale si svilupperà un mondo vario e a tratti anche molto interessante.
Verremo infatti mandati senza molte spiegazioni alla scoperta di un mondo di gioco popolato da mostri e non morti, solo dopo la prima boss fight inizieremo a capire che c’è in moto qualcosa di più grande di noi. Un misterioso lupo infatti è sulle nostre tracce, ma, almeno nella prima parte del gioco non ci è dato sapere se l’animale è effettivamente dalla nostra parte o ci sta dando la caccia.
A dirla tutta, l’intera progressione del gioco sia a livello narrativo che di gameplay, come vedremo in seguito, è purtroppo afflitta da una lentezza a tratti davvero pesante. La narrativa silenziosa è una prerogativa del genere Soulslike, nei Souls in particolare guardandoci attorno e leggendo le descrizioni degli oggetti potremo ricostuire la storia di un mondo che è fortemente legato al destino del nostro avatar.
In 3000th Duel invece le descrizioni delle armi e i frammenti di memoria sparsi per le mappe raccontano storie molto lontane da quella del protagonista, che non riescono nemmeno a colpire il giocatore essendo anch’esse legate a personaggi per nulla innovativi come il prode cavaliere caduto in battaglia o la principessa andata incontro a un tragico destino. Anche le ambientazioni e gli NPC risultano talmente stereotipati da non aggiungere nulla di interessante al mondo e alla storia, non riuscendo quindi a rendere la progressione interessante perlomeno dal punto di vista narrativo.
Il gameplay: old, but gold!
3000th Duel non è tuttavia un cattivo titolo, anzi è reso divertente e intrigante da un gameplay solido e ben bilanciato, che in una certa misura va a compensare le mancanze narrative. Come già anticipato, il gioco va a unire le caratteristiche dei Soulslike e dei Metroidvania, dal primo genere prende le caratteristiche del combat system (schivate, attachi leggeri e pesanti, incantesimi e via dicendo) mentre dal secondo l’eplorazione, per la quale sono necessari diversi oggetti e abilità.
Per quanto riguarda il versante Soulslike, troviamo nel titolo una semplificazione dello stesso, che a tratti risulta un buon “entry level”, dall’altra invece rende lo sviluppo del personaggio fin troppo lineare. Come di consueto ci saranno diversi attributi da potenziare, ma in questo caso saranno appena quattro: uno per la vitalità, uno per l’attacco, uno per gli incantesimi e uno per le schivate.
Se però l’occasione di rendere interessante la progressione viene fruttata male dalla scarsità degli attributi a rendere il tutto più interessante c’è l’albero delle abilità. A ogni aumento di livello guadagneremo una Pietra Spezza-Sigilli, consumabile necessario per acquisire abilità, la progressione dell’albero però viene limitata da acluni nodi legati ad abilità ottenibili solo andando avanti con la storia. Le abilità servono a potenziare i vari paramentri o aggiungere caratteristiche al personaggi a seconda delle calssi di armi che vengono equipaggiate.
Nel paragrafo precedente ho fatto riferimento alla lentezza anche nella progressione del gameplay. Infatti oltre a poter potenziare il protagonista si potranno rendere più potenti anche armi e magie. Purtroppo gli NPC che rendono possibili questi power-up si faranno avanti solo in fasi avanzate dell’avventura e risulterà subito palese che non converrà investire anime in questi potenziamenti, ma continuare piuttosto a investirle nel livellare il personaggio, tornando così ad appiattire la progressione.
Per quanto riguarda la componente Metroidvania però, essa è del tutto legata al mondo di gioco e alla sua esplorazione. Come in ogni titolo del genere sarà necessaria una certa dose di backtracking per poter aprire porte o raggiungere zone inaccessibili. La formula del Metroidvania è sopravvissuta quasi identica a sé stessa letteralmente per decenni, quindi c’è davvero poco da innovare in quel senso, ciò che però fa brillare il genere è l’interesse che le mappe suscitano e la loro unicità.
Questa caratteristica fondamentale viene purtroppo meno in alcuni frangenti: nonostante le varie zone risultino sempre differenti e, per quanto nulla di innovativo, interessanti, si andrà incontro a una sensazione di deja-vu talvolta nel quale alcune soluzioni di game design sembreranno ripetersi al punto tale da farci chiedere se non siamo già stati in quella determinata sezione della mappa. Se a questo si aggiunge il fatto che l’abilità del Doppio Salto, fondamentale per il completamento di diverse zone, sarà una delle ultime a essere sbloccata, condensando in una singola sezione buona parte del backtracking, si intuisce come, anche in questo caso, il gameplay tenti di prendere il volo, ma rimanga comunque nella media.
Il tutto però, anche dal punto di vista del gameplay, risulta sì nella media senza riuscire a brillare, però la formula presentata è talmente solida e rodata da non risultare comunque del tutto deludente. Se a tutto ciò si aggiungono delle boss fight ben orchestrate contro nemici dal character design che ammicca sfacciatamente ai Soulslike più blasonati, si capisce come il titolo riesca comunque a essere soddisfacente nel suo complesso.
Luci e ombre del comparto tecnico
Anche per quanto riguarda il comparto tecnico sembra che talvolta gli sviluppatori si siano persi in un bicchier d’acqua. Per quanto riguarda il sonoro non ho nessuna obiezione da fare: ho trovato la colonna sonora sempre molto gradevole, con delle ost durante le boss fight particolarmente calzanti e interessanti. Tuttavia, il titolo scopre il fianco talvolta sul versante grafico.
Ho provato il titolo su Nintendo Switch sia in modalità portatile che docked e paradossalmente la resa grafica risulta migliore nel primo caso. In portatilità infatti le dimensioni ridotte dello schermo permettono di dare al tutto uno sguardo d’insieme, andando così a coprire alcune ingenuità grafiche, che vengono inesorabilmente a galla su schermi più grandi.
Infatti, gli sfondi sono costituiti da più livelli: in quello più distante dal giocatore troveranno posto solamente dei fondali in 2D, in un livello intermedio tra fondale e giocatore invece ci saranno alcuni elementi tridimensionali non sempre realizzati nel migliore dei modi, il che in alcuni frangenti va a inficiare notevolmente su ciò che viene visualizzato a schermo.
Una caratteristica davvero imperdonabile del titolo però sta nella localizzazione. Nella schermata principale verremo accolti da un menù in italiano, seguito prontamente però dal caricamento iniziale in inglese; anche i dialoghi coi vari NPC presenteranno alcune scelte talvolta davvero incomprensibili, segno di una localizzazione italiana sommaria e raffazzonata, un vero tasto dolente per un titolo nel quale la narrazione viene portata avanti grazie prinicpalmente grazie ai dialoghi e alle interazioni con gli altri personaggi.
In conclusione, con 3000th Duel ci troviamo davanti a un titolo che si è voluto inserire in una nicchia particolarmente popolare e riuscita, ma che talvolta spreca alcune trovate che avrebbero potuto essere potenzialmente interessanti se sfruttate a dovere. Il tutto viene poi accompagnato da una narrativa troppo poco interessante e una realizzazione tecnica che inciampa in alcuni punti; questi difetti vengono però bilanciati da boss fight interessanti, una colonna sonora che non sbaglia un colpo e una difficolta ben bilanciata che aumenta in maniera talmente ben calibrata da non risultare mai frustrante. Un acquisto consigliato agli amanti del genere o a chi volesse confrontarsi per la prima volta con un Soulslike non troppo impegnativo grazie a delle meccaniche snellite e semplificate.