Il fastidioso brusio di un PC riempie la camera e Windows 95 – semper laudatur – fa capolino sull’ingombrante schermo a tubo catodico. Papà rispolvera un floppy blu elettrico. Il floppy di Prince Of Persia. Siamo nel 1996, novembre è alle porte. Io non ho l’età. O meglio, non AVEVO [ nemmeno] l’età adeguata a “inforcare” un controller.
Perdonatemi. Un nostalgico preambolo sembrava opportuno. No, Prince Of Persia non sarà il nostro protagonista. Invece, ricorderò un gioco per i più anonimo, un’eredità inestimabile e madreperla nascosta del panorama videoludico. Siamo nel 1996, è ottobre e Dreamworks Interactive pubblica The Neverhood.
Durante un’epoca in cui graphic adventure faceva rima – baciata, aggiungerei – con LucasArts, The Neverhood fu una mina vagante fra le avventure grafiche di fine ’90. Un gioco unico nel suo genere.
Una valanga d’argilla
The Neverhood catturava già l’occhio, prima di colpire al cuore: un’estetica contraria alla canonica pixel art – e quel rigido 320×240 –, una grafica rivoluzionaria che costò ben 2 tonnellate d’argilla con le quali costruire un gioco completamente in claymation! Ogni scenario e personaggio è modellato con l’argilla e animato in stop-motion – come in Nightmare Before Christmas, per esempio -, una tecnica cinematografica alla base di un videogioco con ambientazione interattiva. Stupefacente!
The end?
Tutti conosciamo Skullmonkeys (platform per PlayStation 2), ma sono in pochissimi a sapere che The Neverhood fu il suo precursore. La cutscene iniziale del secondo capitolo è, infatti, il proseguo del finale di The Neverhood. Parlando del finale: nonostante la storyline di The Neverhood non sia particolarmente ingarbugliata – al contrario, è decisamente semplice -, il finale fu un ennesimo sorpresone. Quando Klayman (main character del gioco) – fra un trabocchetto e l’altro, puzzles e rompicapo – riesce a soverchiare il malvagio regno di Klogg e trarre in salvo Hoborg (una divinità e padre di Klogg a cui quest’ ultimo ha rubato la corona con la forza), The Neverhood pone il giocatore di fronte a due scelte con la chance di ottenere un bad ending. Il gioco aveva un finale alternativo. Una meccanica incalcolabile in casa George Lucas, ma avveniristica. Anche per questo The Neverhood riuscì a distinguersi e farsi amare!
Molto più di una graphic adventure
Sarò onesto, qualche difetto The Neverhood ce l’ha. Stanze con noiosi muri di testo e puzzles inspiegabilmente poco coerenti con la trama e regolati dalla fortuna che, probabilmente, influirono negativamente agli occhi della critica. Ciò nonostante The Neverhood fu una rivoluzione nel mondo delle graphic adventures, una rivoluzione fatta d’argilla e grandi intuizioni che invito chiunque a recuperare – come già fece il sottoscritto, considerando che The Neverhood è siglato come abandonware e quindi scaricabile liberamente – e giocare: non ne rimarrete delusi, parola mia!