Con lo sviluppo e l’espansione pervasiva dei videogiochi nel corso degli anni, il dominio di questa “nuova” forma di intrattenimento ha raggiunto estensioni notevoli, fino a lambire i confini di ambiti che almeno in origine non sono stati pensati per loro. Tra le tante domande che sorgono nella mente di chi assiste a come cresce e cambia l’universo videoludico, una in particolare ha portato a discutere, soprattutto ora che ci avviciniamo alle Olimpiadi 2020: ma gli eSports possono essere considerati sport?
Al di là degli stereotipi, c’è chi cerca di capire
Essendo un tema che suscita interesse, in particolar modo in chi è appassionato di sport e al tempo stesso demonizza i videogames, non poteva mancare l’opinionismo, spesso non scientifico, al riguardo.
Ma tra le tante nubi nel cielo qualcuna fa trapelare raggi di luce, come il caso del lavoro di tesi di Leonardo Baldassini, neolaureato fiorentino in Scienze Motorie, Sport e della Salute, che si è occupato di approfondire la questione non solo ponendosi domande giuste, ma anche stimolando riflessioni e suggerendo possibilità forse scomode ai capi alti di grandi etichette e di chi lucra sulle competizioni esportive (anche se scopriremo che non è così), ma che in pochi, se non nessuno, hanno pensato di affermare per la passione e l’amore verso i videogiochi e lo sport.
Il ragionamento di Leonardo, in breve
Spesso la complessità di un problema atterrisce, ma in questo caso il punto di partenza si trova proprio nella semplicità. Una volta definito lo sport come “un sistema di pratiche e interazioni caratterizzate da serietà di atteggiamento da parte degli attori, all’interno di un contesto drammatico e fatidico, segnato da dinamiche di fisicità agonistica ampiamente formalizzate e orientate alla produzione di un esito chiaro e refertabile” e distinto dai giochi loisir (giochi fini a se stessi), Leonardo Baldassini passa in rassegna le categorie di videogiochi e i casi più emblematici per tentare di tirare le somme.
Considerando, giustamente, che il futuro possa riservarci nuovi generi e dinamiche che nemmeno possiamo immaginare ora, quel che è certo è che per poter accostare i videogiochi agli sport, oltre alle caratteristiche che emergono dalla definizione, è necessario l’elemento competitivo. Analizzando le varie tipologie di gioco, è ragionevole ritenere che per procedere sia necessario tenere in considerazione solo quei giochi in cui è prevista una competizione tra giocatori, escludendo i singleplayer e tutti i titoli che pongono l’individuo contro il computer.
Prima di procedere dunque, pare che siano da includere nel ragionamento quattro tipologie di giochi: board games, di simulazione sportiva, di strategia e sparatutto.
Riprendendo la definizione di sport vediamo come questi quattro generi di videogiochi, nelle loro accezioni competitive, rispettano i caratteri di serietà, drammaticità e fatidicità, producono un esito indubbiamente standardizzato e refertabile; persino l’agonismo è un carattere non solo presente ma strutturale delle competizioni di alto livello, il movente ludico passa totalmente in secondo piano quando la posta in gioco inizia a diventare rilevante in termini economici e sociali.
Un passo alla volta: il caso di Heartstone
Rientrando a livello teorico nei crismi della definizione di sport, il gioco di carte targato Blizzard viene collocato da Baldassini nella categoria di “sport mentale”, dal momento che, sebbene rispecchi i valori principi dello sport, ne è messa in dubbio la prestazione fisica. Infatti è tutta una questione di strategia e combo mista ad una componente aleatoria che è impossibile da rimuovere, anche nel solo pescare le carte di turno in turno. Alla luce di ciò, Heartstone risulta un terreno su cui fare quasi un ragionamento a parte, verso le “Olimpiadi della Mente“, nonostante giochi come Bridge siano considerati a tutti gli effetti sport, ma sono qui per riportare una riflessione, le conclusione le lascio a te, caro lettore.
I giochi di simulazione sportiva
Forti di una sponsorizzazione da parte delle federazioni sportive delle più varie estrazioni (calcio, football americano, rugby, hokey, etc…), la simulazione di queste attività è diventata un baluardo di quel che potrebbe essere un sport universalmente riconosciuto. Infatti, oltre a trovare tracce di ognuno degli ingredienti che rende lo sport tale, vi è anche una componente fisica, seppur molto diversa dal canone a cui l’atletica ci ha abituati. Avendo in mano la periferica di gioco, solitamente il joypad, il giocatore deve studiare bene non solo la strategia di gioco, al pari di un giocatore in campo in uno stadio, ma deve anche eseguire manualmente una serie di combinazioni che portano tale strategia alla sua realizzazione, e magari al successo.
I giochi di strategia
Tutti conoscono ormai uno dei prìncipi dei MOBA, ovvero League of Legend, per gli amici LoL. Il titolo che ha fatto breccia nella vita di molti, si distingue dalla stragrande maggioranza degli strategici, come del resto tutti i MOBA, per essere in real time da inizio a fine partita, elemento che contribuisce al quel genere di tensione agonistica che è presente nella fetta più grande degli sport tradizionali. Tra i molti aspetti da considerare, ne evidenziamo solo alcuni. In primo luogo, la sfida è determinata da una serie di azioni e combinazioni che possono avere successo o fallire per una questione di centesimi di secondo, esattamente come quelle gare che hanno permesso a Usain Bolt di tenere tutti col fiato sospeso. Tant’è che LoL, come molti MOBA e giochi che sono diventati materia di tornei ad alti livelli (e soprattutto alte ricompense) è seguito tramite le piattaforme di streaming (come Twitch) da una folla di appassionati alla stessa maniera di una partita di Champions League. In seconda battuta, in LoL vi è una dimensione di gestione delle risorse, inizialmente uguali per ogni giocatore, che non solo va a determinare la build dei personaggi e quindi il loro ruolo in gioco, ma è definita anche dalla bravura, oltre che conoscenza, e quindi allenamento, del giocatore stesso. In sintesi: eccellenza motoria, strategia, abilità, specializzazione e duro allenamento sono gli ingredienti per una torta alla League of Legends, o per un eSport amato dal mondo.
Ma da quando esistono le competizioni videoludiche?
Stando alle ricerche di Leonardo Baldassini, dal 1972, anno in cui si sono tenute le Olimpiadi Intergalattiche di Spacewar, uno dei primi videogiochi in senso stretto.
Pare quindi che l’interesse per questo genere di eventi non sia spuntato dal nulla nei giorni d’oggi, ma che compia 47 anni quest’anno. C’è da dire che ora è tutto su una scala molto più grande, quasi non paragonabile. Il videogioco è diventato uno spettacolo, e chissà che non venga riconosciuto come sport, alla portata di tutto il mondo, ed effettivamente tutto il mondo lo segue. I numeri parlano chiaro su quanto gli eSports abbiano in realtà fatto centro nel mondo odierno, riportando cifre da capogiro, non solo come impatto economico, ma anche a livello sociale e culturale.
eSports alle Olimpiadi?
Vista la portata di questo fenomeno, e purtroppo l’interesse economico sta avendo un ruolo importante in tutto ciò, negli ultimi anni il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) ha preso in considerazione la possibilità di ammettere i principali eSports alle Olimpiadi. Nonostante i criteri (che sono 35) sulla base dei quali uno sport può essere ammesso o meno siano favorevoli all’introduzione di questa nuova forma di attività sportiva, vi sono alcune barriere istituzionali.
Per capire meglio la loro ammissibilità, ci riferiamo alla mission del CIO:
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Sviluppare un programma che massimizzi la popolarità dei Giochi Olimpici contenendo allo stesso tempo costi e complessità
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Assicurarsi che il programma olimpico rimanga adeguato ai giovani garantendo l’innovazione e l’adattamento al gusto moderno e alle nuove tendenze, nel rispetto della storia e della tradizione degli sport
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Valutare attentamente gli sport e gli eventi in stretta collaborazione con le rispettive Federazioni internazionali
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Rispettare il quadro e i principi delineati nelle raccomandazioni 9,10 e 11 dell’Agenda Olimpica 2020
Se per i primi due punti ci siamo, cioè sembrano favorevoli all’inclusione degli eSports, gli ultimi due sono un po’ più critici.
Riguardo al quarto, essendo più facile estromettere o accettare uno sport nel programma olimpico, la sfida dura è quella contro gli stereotipi e gli interessi politicamente diversi di ogni Paese nel voto favorevole o sfavorevole in commissione.
Il terzo punto è ancora più ostico, dato che manca una federazione internazionale forte e riconosciuta che tuteli gli eSports e ne garantisca solidità istituzionale. La sua esistenza infatti permetterebbe al CIO di interfacciarsi con questo mondo, scavallando i pregiudizi e luoghi comuni per scoprirne la ricchezza e il valore, culturalmente e sportivamente parlando, ma tutto ciò ancora è lontano dall’essere reale. Se così non fosse, sarebbe possibile regolamentare e istituzionalizzare i videogiochi considerabili eSports per poterli vedere comodamente alla TV ogni 4 anni, al pari di lancio del disco, calcio, tiro al piattello e karate.
Rimane un ultimo elemento, ossia il matching tra valori etici delle Olimpiadi e videogames; tale questione eliminerebbe dal panorama che ci stiamo prefigurando gli sparatutto, in favore degli altri tre generi ammissibili per le loro caratteristiche.
Un caso che dà speranza: gli Asian Games 2018
Lo scorso anno, in Indonesia si sono tenuti gli Asian Games, i quali hanno portato a titolo d’esempio per un connubio armonioso tra eSports e Olimpiadi 6 titoli in particolare, ovvero:
- Pro Evolution Soccer 2018
- Heartstone
- League of Legends
- Starcraft II
- Arena of Valor
- Clash Royale
Questi titoli sono stati tuttavia portati come esempi dimostrativi, non comportando quindi una premiazione a medaglia, ma evidenziando come sia possibile un evento in cui i videogames siano protagonisti di una sfida agonistica, alla stregua di quella sportiva.
Da questo espediente positivo nascono le radici degli Asian Games 2022, in cui le sfide dovrebbero venir riportate su un medagliere; se questo esperimento avesse successo, si potrebbe forse sperare in una loro ammissione per le Olimpiadi di Parigi del 2024, quanto meno come evento dimostrativo per testare il livello di gradimento.
Ultime criticità
A rigor di cronaca, vi riporto delle considerazioni finali che Baldassini condivide nel suo lavoro di ricerca, lasciando a voi le conclusioni da trarre.
Sebbene gli appassionati e i tecnicamente competenti apprezzino di più una prestazione sportiva, la velocità di Usain Bolt, la bravura nei pugni di Clemente Russo e l’eleganza di Yury Chechi sono fruibili e godibili anche non capendo nulla di quello sport; non si può dire lo stesso per i videogiochi, mondo in cui, non conoscendo per esempio League of Legends, un profano è più facile che si annoi perché spaesato e lontano dalle dinamiche del gioco.
Last but not least, il fatto che i gusti nel panorama videoludico cambiano assai rapidamente, tanto da mettere in dubbio se ogni 4 anni, concesso che vengano ammessi alle Olimpiadi, non cambino drasticamente i titoli in voga e quindi quelli da includere nella competizione, costringendo ad una oscillazione continua che non solo comporta uno sforzo istituzionale notevole, ma che fa venire il mal di mare a tutti.
Infine, Leonardo Baldassini si augura che la IeSF (International eSports Federation) divenga più solida e strutturata, essendo la federazione interazionale più di rilievo, che tuttavia non è riconosciuta in tutti gli Stati; solo così potrà esserci dialogo con il CIO e sarà possibile creare una sezione dedicata a questa fetta di realtà che è sempre più forte, ma che pare qualcuno voglia tenere nascosta in cantina. Non è più possibile, dunque cosa dobbiamo aspettarci per il prossimo futuro?