Ah, San Valentino! Il periodo dell’anno in cui la felicità di una relazione a lungo termine (o l’essere un pasticcere) trovano il loro naturale sfogo nel cioccolato e in tutte le dolcezze di questo mondo. E cosa c’è di meglio per festeggiare la lieta ricorrenza del giocare ad Arcade Spirits?
Praticamente chiunque e qualunque altra cosa
Il gioco è prodotto da Fiction Factory Games ed edito da PQube, e si tratta della prima (e si spera ultima) collaborazione tra Stefan Gagne, autore di romanzi come City of Angels e che ha lavorato sul gioco di pesca in Second Life (roba di rilievo), e Aenne Schumann, giornalista veterana dell’indie che ha partecipato, tra gli altri progetti, a Space Cat Boyfriend, gioco dove (puoi farcela, Nico, respiro profondo…) potete intrecciare una relazione sentimentale col vostro gatto.
Che viene dallo spazio.
Il gioco si apre con uno dei menù più fastidiosi di sempre, il quale, in tinte di rosa fucsia su rosa confetto con bordature al neon (personalizzabili anche in blu pixel defunto o un sobrio, esoticissimo grigio), ci riporta in uno degli anfratti degli anni Ottanta che non avremmo mai voluto rispolverare, trafiggendovi il cranio non soltanto con un fulgore video tale da farvi desiderare il trapianto di cornea, ma con una delle soundtrack synthwave più fastidiose di sempre, opera del compositore Greg Mirles. Dopo i primi cinque minuti di musica nel menù ho sentito battermi sulla spalla: era lo spirito di Hendrix che mi diceva di rinunciare a ogni speranza e proseguire.
La trama, che ha visto competitors più agguerriti nelle sceneggiature dei film dei Vanzina, è quella che ci si può attendere da un’avventura testuale/dating simulator/sedicente romanzo interattivo: nell’anno 20XX il mondo intero è sconvolto dalle esplosioni atomiche è sempre il solito, solo con un po’ di tecnologia smartphone in più e con il grande tracollo delle sale giochi dell’83 mai avvenuto e presente solo come un’ipotesi di sfondo. Il nostro protagonista, che sarà personalizzabile in tutti i tratti principali, compreso il pronome di appartenenza di genere LGBT friendly (potrete essere un he, una she e persino un they, roba che Split era solo un suggerimento d’abbozzo), perde il suo lavoro come bagnino causa chiusura della piscina. La sua coinquilina/amica d’infanzia/friendzonata a oltranza consiglierà a lui/lei/costoro un’app chiamata IRIS, una sorta di intelligenza artificiale creata per trovare il lavoro dei sogni di ciascuno di noi analizzando il nostro carattere e trasformandolo in una scheda analitica dei parametri da personaggi di D&D, comprensiva di livelli di affinità con le persone che ci circondano e con cui parliamo e i cinque punti fondamentali del nostro carattere (Giocosità, Serietà, Empatia, Istinto, Neutralità). E dove potrà mai portarci questo prodigio della tecnologia, questa panacea digitale capace in venti secondi di fissarci un colloquio con il datore di lavoro che ci cambierà l’esistenza e renderà per sempre veri i nostri più intimi sogni e le nostre più segrete speranze?
A fare il banconista in una sala giochi.
Pardon, a fare il “floor attendant” (c’è il piccolo dettaglio, infatti, che il gioco è solo in inglese) in una sala giochi arcade, il Funplex (che sembra essere più un nome da materasso per love hotel, ma sono dettagli).
Dopo un colloquio di lavoro uscito direttamente da uno spin off di Twin Peakes con Francine, proprietaria settuagenaria della sala, faremo man mano la conoscenza dell’umanità varia ed eventuale che circonda questo girone dantesco, che poi altro non sono che le tre varianti standard da telefilm americano del partner ideale per ciascuno dei due sessi.
Solo che sono tutti nerd.
Tutti, anche il più improbabile.
Senza eccezione.
E parlo della concezione di nerd alla Big Bang Theory, quindi non un nerd del tipo produttivo e in generale socialmente utile, che ama ciò che fa ma sa fare anche altro e coltivare nuovi interessi, oh, no, ma una continua e prolifica estremizzazione quasi propagandistica che mostra come essere nerd e solo nerd sia l’apparente apice del Nirvana sociale, dove ogni discorso (fosse anche riguardante cosa danno in televisione la sera) verte immancabilmente sull’essere unici e seguire le proprie speranze e il potere dei sogni e dell’amicizia che vince il Male che al mercato mio padre comprò. Era dai tempi del primo Kingdom Hearts che non sentivo la parola “sogni” ripetuta così spesso nell’arco di una sola frase, ma lì se non altro c’era una trama incentrata, tra le altre cose, sul desiderio di evasione e sulla propria crescita individuale che poteva partire con premesse un filo più brillanti. Qui la trama parla di un povero cristo/crista/cristiani che cerca un lavoro e occasionalmente si può trovare una ragazza/ragazzo nel campionario di personaggi disponibili.
In ordine di apparizione troviamo Gavin, rigido amministratore della contabilità tutto economia e bilancio, Naomi, prototipo della fanatica dei videogiochi anche a livello tecnico (del tipo che vede la CPU di un cabinato anni 80 e ha visioni mistiche di Gabe Newell circondato da cherubini e serafini), Ashley, mezza cheerleader e mezza cosplayer, Percy, giocatore in borsa dal Q.I. di 400 che passa le sue giornate in sala giochi e nonostante ciò è ricco da far pietà, Teo, l’unico break dancer/guerrigliero punkabbestia/leader carismatico che passa i suoi giorni in sala giochi (provandoci con ogni forma di vita senziente a base di carbonio) e QueenBee, una giocatrice professionista che sembra uscita dall’ultimo episodio di American Pie.
Ma non lasciatevi ingannare: dietro l’apparenza stereotipata di ciascuno di questi personaggi si nasconde un lato nascosto altrettanto stereotipato, laddove i duri in realtà saranno teneri e i teneri duri e via dicendo. Praticamente è Gossip Girl, ma in chiave nazional-popolare e con la scelta dei dialoghi.
E credetemi, non è un complimento.
Per quanto il Vostro Affezionatissimo si sia messo d’impegno, e giuro che ci ho messo tutta l’anima, con Arcade Spirits ho seriamente rischiato l’addormentamento durante tre quarti delle sessioni di gioco, tanto erano scontate le scelte, i risultati, i dialoghi, le svolte nella “trama” e le ovvie conclusioni tratte dal protagonista e dal resto del cast, nonostante io adori le avventure grafiche e riesco ad apprezzarne una, quando è fatta bene – come testimonia la mia recensione a NAIRI: Tower of Shirin – e non campa esclusivamente sull’accattivarsi il pubblico grazie ai disegni. Forse l’unica nota positiva, infatti, può esser data dall’accuratezza degli sfondi e dal design più o meno accattivante dei personaggi, oltre che dalla qualità discreta del doppiaggio, che tuttavia è presente solo occasionalmente in certe parti del dialogo ed è pervaso da una presenza di accenti che, lungi dal caratterizzare meglio i personaggi, li trasforma nelle caricature di sé stessi.
Onestamente non capisco perché qualcuno di voi superiore ai 12 anni debba comprare quello che è palesemente un mobile dating per PC, ma se per voi è sufficiente il comparto grafico a giustificare la (ancora ignota) spesa, giocateci pure e trovatevi il lavoro (virtuale) e l’uomo e/o la donna (virtuali) dei vostri sogni, magari approfittando dell’edizione digitale che uscirà su Steam il 12 febbraio, corredata della colonna sonora e di un artbook virtuale di 56 pagine completo dei retroscena di programmazione.
Oppure prendetevi un gatto e dategli tutto l’amore che potete.
Non sarà un fidanzato (voglio augurarmi che non lo sia, visti i presupposti), ma se non altro non vi deluderà così.