La saga di Kingdom Hearts ha bisogno di ben poche presentazioni. Unendo i mondi di Final Fantasy e quelli della Disney, è riuscito, nel corso dei primi anni del 2000, a canalizzare l’attenzione di un vasto pubblico che aspettava il suo ritorno fin dal 2005, anno di uscita del secondo capitolo. In realtà di titoli successivi ce ne sono stati parecchi, ben sei e tutti distribuiti su varie piattaforme. Pur non essendo titoli numerati, sono però canonici e fondamentali alla comprensione di una storia immensa che abbraccia addirittura più decadi temporali. Kingdom Hearts 3 ha il compito di riunire insieme tutte le ramificazioni narrative intraprese con i vari spin off e chiudere una volta per tutta la saga di Xehanort. Questa sarà una recensione priva di spoiler, se avete giocato il titolo e i capitoli precedenti saprete a cosa mi riferisco mentre, se siete solamente curiosi riguardo un gioco importante del 2019, non troverete nessuna anticipazione pericolosa sulla sua trama.
Let’s begin!
Una partita a scacchi ancestrale
Il filmato introduttivo ci mostra una partita a scacchi fra due personaggi giovani che i fan sono in grado di riconoscere immediatamente. La scacchiera e le mosse dei due avversari simboleggiano i vari avvenimenti accaduti nel corso di tutti i capitoli della saga e, ovviamente, i pezzi neri rappresentano l’oscurità mentre i pezzi bianchi, la luce. Tutto questo per tirare insieme le fila di un discorso che si è sviluppato lungo ben nove titoli e attraverso scelte narrative complesse e simboli che, a prima vista, potrebbero risultare vaghi o banali. Non è così.
Non smetterò mai di ripeterlo: l’arte orientale è diversa da quella occidentale almeno su un punto. Mentre dalle nostre parti si tende a rappresentare in maniera accurata la realtà e i suoi sviluppi, in oriente si preferisce dare spazio ai Caratteri (per usare un termine Aristotelico), cioè i personaggi che simboleggiano o incarnano un concetto, un’emozione o un’idea. Kingdom Hearts è esempio perfetto di questo tema: i personaggi si dividono ad una prima occhiata in buoni e cattivi in maniera radicale, poi, addentrandoci nelle trame della storia, ognuno di essi varia acquisendo motivazioni e compiendo scelte perfettamente in linea con il simbolo che rappresenta. Tutto questo viene sì rappresentato in alcuni casi in maniera esagerata, tuttavia, una volta compreso lo stile narrativo, la forza espressiva ed emotiva della storia arriva al giocatore/spettatore in tutta la sua potenza. Nella tradizione orientale non possono nemmeno mancare macchinazioni trascendentali e piani malefici nella struttura di scatole cinesi (appunto), nelle quali il disvelamento di una parte di trama è ricompreso all’interno di un insieme ancora più grande.
Kingdom Hearts 3 non fa eccezione e ci regala 30 ore di trama piene di simbologia e forza espressiva, soprattutto nelle 6-7 ore finali che sono una climax narrativa (scala ad caelum) potentissima. Chiaramente tenere insieme un discorso di quasi venti anni e dieci giochi non è semplice e in alcuni casi abbiamo dialoghi un po’ vaghi e lunghezza narrativi alcuni mondi esplorati un po’ sballate. Nel complesso, però, ci troviamo di fronte ad una buonissima storia soprattutto per la sua potenza espressiva e per la capacità di convogliare le aspettative dei fan in un finale di qualità.
Una giostra di luci e colori
Dal punto di vista grafico, il confronto con la maggior parte dei titoli PlayStation 4 è impietoso. Kingdom Hearts 3 gira su PS4 Standard a 900p e in 30 fps, una cosa assurda se si pensa che il gioco esce nel 2019. Oltre alla risoluzione, alcune texture sono sgranate e altre non ben definite con alcuni effetti pop up piuttosto evidenti e, addirittura, non tanto sporadici cali di framerate. A compensare la qualità grafica piuttosto bassa, c’è una direzione artistica eccezionale e invidiabile. Non si tratta solo di utilizzare una palette cromatica luminosa e cangiante ma anche di donare un’estetica simbolica e precisa a tutti i personaggi. Le controparti Disney sono praticamente identiche alle originali mentre i personaggi tipici della saga sono realizzati seguendo delle iconografie ben precise e riconoscibili. Il tutto strutturando anche delle ambientazioni a volte davvero mozzafiato. Questo non salva dallo storcere il naso in alcuni momenti a causa della perdita della sensazione di incredulità data da qualche pop up o scalettatura delle texture, ma l’effetto complessivo rimane comunque decisamente buono.
Una colonna sonora portante
Il valore nel quale il gioco eccelle è senza ombra di dubbio il sonoro. La soundtrack è semplicemente perfetta ed emozionante. A partire dalla canzone “Face my Fears” (che vede la collaborazione di Skrillex), passando per le musiche storiche della saga e relativi temi di ogni singolo personaggio e ambientazione, si arriva all’altro tema principale “Don’t think twice” in un turbinio di emozioni e di ricordi storici per chi segue le vicende del gioco da tempo. Suoni delle armi e dei nemici sono ottimamente caratterizzati e donano ritmo e soddisfazione a ogni battaglia. L’unico pelo nell’uovo, se vogliamo, è che, data la durata piuttosto lunga di alcune ambientazioni, potrebbe sopraggiungere una certa ripetitività musicale dopo alcune ore. L’aspetto sonoro in definitiva, come da tradizione per i titoli giapponesi, è realizzato in maniera impeccabile e riesce ad emozionare, adesso come ai tempi dei capitoli su PlayStation 2.
Don’t think twice
Seguendo il titolo del tema principale del gioco veniamo a parlare del Gameplay di Kingdom Hearts 3. Già dalle prime schermaglie si può affermare che le sensazioni sono assolutamente positive: il combattimento è fluido, frenetico e abbastanza divertente e familiare. Sono state effettuate alcune aggiunte prese dai vari spin off, quali il fluimoto che permette di volteggiare su pali verticali o lanciarsi verso i nemici saltando sulle pareti e mosse finali eseguibili direttamente con il tasto triangolo che vengono caricate o al raggiungimento di una serie di colpi con una data arma o magia, oppure al caricamento degli alleati con i quali realizzarla, oppure ancora colpendo il nemico che presenta un target verde abilitando così la mossa. Tutto questo serve a rendere il combattimento più rapido e intuitivo e in effetti funziona. Alcune mosse speciali poi, sviluppano esecuzioni finali tratte dai mondi in cui ci si trova o quelli di appartenenza dell’arma che stiamo utilizzando. Altre mosse, invece, permettono di far apparire alcune delle più famose attrazioni Disney che vengono utilizzate come potentissime armi in un tripudio di effetti di luce.
Per quanto riguarda il menu dei comandi, sostanzialmente è rimasto identico ai capitoli numerati della saga con l’aggiunta delle possibilità di portare 3 keyblade con sé e cambiarli solo con la pressione della freccetta destra; un pratico menu di scelta rapida per le magie è richiamabile con il tasto L1; mentre l’ultima voce del nostro elenco è dedicata ai legami con i personaggi dei mondi disney non presenti nel gioco (ad esempio Simba o Stitch). Anche i comandi appaiono intuitivi e rapidi e l’utilizzo di oggetti curativi più veloce e semplice dei precedenti capitoli. Il menu delle impostazioni offre la possibilità di scegliere le animazioni rapide per le mosse speciali in modo da evitare di vedere troppe volte la stessa scena e far perdere frenesia allo scontro.
Da quanto detto sembrerebbe un gameplay eccezionale, tuttavia, dobbiamo fare alcune considerazioni che abbassano pesantemente la sua valutazione. Prima su tutte è che il gioco è fin troppo facile. Tenendo conto che andando avanti nel gioco le mosse speciali si sbloccheranno sempre più di frequente e che ogni combattimento con i nemici, anche quelli più forti, prevede darsi mazzate a non finire senza troppo spazio alla tattica, è veramente difficile morire. A questo va aggiunto un nuovo minigioco direttamente dal mondo di Ratatouille nel quale è possibile cucinare dei pasti (a patto di trovare gli ingredienti giusti) che se consumati donano abilità anche eccezionali ai vari parametri del personaggio per un tempo variabile ma comunque nell’ordine dei trenta minuti. Reperire gli ingredienti non è difficile e consumare i pasti (alla Final Fantasy XV) prima di una particolare battaglia rende praticamente invincibili. Non è finita qui, perché Pippo e Paperino dispongono di cure e magie, Sora stesso, oltre alla sua magia, ha la possibilità di utilizzare oggetti curativi e, come ultima chance, prima di morire è possibile eseguire una particolare fusione che ripristina vita e magia. Messi tutti insieme questi punti appare evidente come la difficoltà del gioco non sia stata bilanciata a sufficienza rispetto alle aggiunte inserite in termini di minigiochi e potenziamenti. Per specificare ancora meglio: ho terminato il gioco eseguendo solo parte delle attività secondarie, livellando le armi solo a metà, non mangiando cibi prima della sezione finale e senza morire neppure una volta.
Seconda considerazione è che c’è uno sbilanciamento fra il tempo dedicato ai mondi Disney e quello proprio della narrazione principale. I combattimenti nei mondi Disney sono sempre uguali e ripetitivi e, al di là di una fruizione comunque incentivata dalla facilità complessiva, il rischio che il gioco annoi nelle prime 15-20 ore è reale e concreto. Tutto ciò anche considerando che, nel lasso di tempo prima citato, la narrazione è veramente molto diluita per poi scatenarsi nelle ore finali.
Il gioco, infine, si arricchisce di numerose attività secondarie anche grazie all’aggiunta del Gummifono, una sorta di smartphone che sostituisce il Grillario e che permette di scattare foto e compiere alcuni minigiochi. Le attività secondarie sono elencate qui sotto per una maggiore leggibilità:
- Ricerca degli scrigni
- Ricerca e fotografie dei “portafortuna” o simboli del Re
- Minigiochi del passato sul Gummifono
- Minigiochi e attività secondarie presenti nei vari mondi.
In più, una piccola menzione a parte merita il nuovo sistema di viaggio con la gummiship. Tralasciando il combattimento su binari dei precedenti capitoli, Kingdom Hearts 3 sceglie di ambientare il viaggio verso i mondi in uno spazio tridimensionale nel quale è possibile muoversi a proprio piacimento, raccogliere Munny e Punti Esperienza per la nave e combattere in piccole battaglia di livello variabile al fine di guadagnare parti per modificare la propria gummiship.
Possa il tuo cuore essere la tua chiave guida
Per concludere, l’esperienza di gioco è consigliata soprattutto ai fan della saga e a coloro che hanno seguito tutte le vicissitudini della trama nei vari spin off. Il gioco presenta una serie di filmati volti a ricordarci ciò che è avvenuto nei capitoli passati ma, a mio parere, è opportuno averne fatto esperienza per godere appieno di un titolo che si basa tutto sulla forza della narrazione e sui personaggi caratteristici ed emblematici. Per chi non ha seguito la storia della saga, il gioco riserva alcune ore di divertimento ma senza troppa profondità e soprattutto legato ad un sistema Gdr/action che si basa sulla pressione ripetuta di un singolo tasto. Per tutti gli altri, Kingdom Hearts 3 è in grado di regalare emozioni forti, a volte anche fortissime, oltre ad essere una conclusione epocale di una saga e un evento importante per tutto il mondo dei videogiochi. Questo a patto di scendere a compromessi con una grafica non certo impeccabile e con un sistema di combattimento facile e ripetitivo. Difetti, questi, che forse verranno colmati nei capitoli successivi della saga. Vedere il finale segreto per credere, ovviamente, con tutto il cuore.