Molte tecnologie rivoluzionarie nacquero in quegli anni e quella del gaming cominciò la seconda giovinezza una volta che Sony e Microsoft decisero di scendere in campo. Microsoft lo fece con un colpevole ritardo dando a Sony 5 lunghi anni di vantaggio. La PlayStation 1 non era potentissima ma era facilmente programmabile, peculiarità che diede agli sviluppatori ampi margini di manovra. Non era potentissima ma all’epoca era in grado di far girare dei “signori giochi” come Tekken e GT . Fu fatto anche un ottimo lavoro con Spiderman, ma mancava ancora la ciliegina sulla torta. La console divenne popolare con Tomb Rider, Siphon Filter e Metal Gear, in quel periodo il “villaggio” non era ancora globale e alcuni titoli che arrivavano dal Sol Levante (destinati a non arrivare mai qui) erano in ogni caso creati per stupire.
Quando mi ritrovai con la copia del gioco in questione in mano, un brivido mi percorse la schiena, per due motivi fondamentali : non avevo idea che fosse uscito un gioco che trattava del mio manga preferito e avevo paura che fosse una specie di gioco a turni in cui ogni personaggio era rappresentato da una carta. Il giapponese, non era come dire, “la mia lingua madre”, per usare un gigante eufemismo. In ogni caso quando arrivai a casa tutto divenne chiaro… a parte la lingua: sempre di giapponese si trattava, ma la storia che mi si parava davanti agli occhi la conoscevo, e la conosciamo tutti, a memoria. La storia di Kenshiro.
Quello che da subito mi colpì del gioco era l’immersività dato che non si trattava di un picchiaduro, o almeno non solo di quello. L’opera originale si rifaceva a immensi spazi (venutisi a creare dopo alcune bombe atomiche), e nei giochi che fino a quel momento avevano trattato l’uomo dalle sette stelle non si sentiva questa libertà, questo vagare del nostro eroe alla ricerca dell’amore che gli era stato rubato e della vendetta che era lì sullo sfondo ad aspettarlo, sotto forma di un uomo dai capelli dorati e con poteri molto peculiari.
Il gioco, sulle prime, può sembrare un picchiaduro 3D a scorrimento, ma questo è vero solo in parte, dato che una volta finita la storia, diventava… piano con gli spoiler, teniamoli per dopo!
Il titolo ripropone tutta l’epopea della prima stagione di Kenshiro fino allo scontro con Raul, dandoci la possibilità di indossare anche i panni degli altri personaggi della saga, in poche parole per l’epoca un miracolo videoludico. Nel suo impianto, per dare la sensazione di avere il controllo e di poter fare esattamente quello che si faceva nel manga, fu inserito uno dei primi esempi di quick time event in modo da poter riprodurre le tecniche mortali della scuola di Hokuto, regalando la sensazione di poterle fare veramente – e si parla dell’inizio di questo secolo!
Il fatto di inserire voci e sigla originali hanno solo reso ancora più gustosa la portata videoludica che avevamo davanti ai nostri occhi; voglio dire: storia fedele, personaggi iconici della prima serie quasi tutti inseriti (tra cui una spettacolare lotta contro un gigante chiamato figlio del diavolo) e la sensazione che veramente non si potesse fare di più, anche perchè tutto il gioco stava (comodamente o meno) in un cd da 700 mega, che al giorno d’oggi non bastano neanche per la più scarsa delle App.
Ma ovviamente il gioco era molto di più di quello che sto cercando di raccontarti: Hokuto no Ken, come ogni manga che si rispetti, è fatto di una serie di ostacoli, via via più difficili, che permettono al nostro eroe di diventare sempre più forte gradualmente, in modo che sia pronto per affrontare la sfida finale. Avrai fatto caso che la struttura è la stessa di un videogioco e in questo caso gli calza proprio a pennello. Agli sviluppatori è “bastato” far diventare videogioco un impianto che per sua natura lo era già.
Il gameplay del titolo è molto facile e intuitivo, e anche se la lingua non aiuta proprio per nulla, fare le tecniche segrete è relativamente facile e dopo qualche minuto dall’inizio si è già in possesso di un buon feeling con i controlli. L’audio, come già detto in precedenza, è spettacolare, forte del doppiaggio originale dell’anime. Insomma, se puoi recuperalo, a costo di usare un emulatore, dato che è veramente un Old But Gold da giocare a tutti i costi, per certi versi è anche migliore dell’ultima apparizione di Kenshiro in Lost Paradise.
Il motivo per cui guadagna punti rispetto a Lost Paradise (ricordi lo spoiler di prima?) è la possibilità di farlo diventare un picchiaduro alla fine della campagna principale: una volta messo a tappeto Raul, il gioco si “trasforma”, dando la possibilità di usare ogni personaggio incontrato durante la campagna, come nel più classico dei picchiaduro, per non far finire il divertimento e sfidare chiunque con chiunque.
Cosa dire più? Che questo videogioco è stato un inno a tre epoche: gli anni ’80 (nascita di Ken), gli anni ’90 (da poco finiti e che avevano visto la nascita della PlayStation 1) e la fine del ciclo vitale di PlayStation 1 (o per meglio dire il suo canto del cigno).