Ho sempre odiato dover parlare utilizzando detti popolari: li trovo quanto mai banali e dal significato quanto mai spicciolo e inutile, non abbastanza sufficiente per esprimere la vera complessità degli eventi che tentano di descrivere. Tuttavia rappresentano anche una buona scorciatoia e un simbolo riconoscibile a tutti per far capire a tutti di cosa si stia parlando in determinate situazioni ed è per questo che adesso sto per utilizzarne uno per descrivere la mia esperienza con Anodyne 2, Return to Dust… Il detto in questione è “non giudicare mai un libro dalla copertina”. Questo rappresenta al meglio il primo impatto che ho avuto affacciandomi a questo titolo edito dalla Analgesic Productions e sviluppato dal duo composto da Sean Han Tani e Marina Kittaka: un titolo che dal trailer di presentazione sembrava un miscuglio di generi diversi tra loro in una cornice dall’aspetto estetico non esattamente al passo con i tempi. Poi ho avviato l’anteprima delle prime due ore di gameplay che ho avuto il piacere di provare e mi sono ricreduto su tutta la linea, rendendo Anodyne 2: Return to Dust il titolo che non mi sarei mai aspettato di voler attendere, ma che adesso non vedo l’ora che esca.
Liberaci dal male
Uno degli elementi di forza che sicuramente caratterizza Anodyne 2: Return to Dust è senza dubbio la sua narrazione: nelle prime due ore di gameplay ci vengono introdotti quelli che sono i punti cardine della storia dell’intero titolo, e nonostante si sia solo all’inizio della nostra avventura il gioco non ci risparmia mai in nessun modo dal raccontarsi in una maniera che sembra davvero semplice a una prima occhiata, ma che rivela nel giro di pochi istanti una profondità di pensiero davvero interessante. Il gioco inizia con le riflessioni sul creato e sulla vita di due entità che nel corso di quello che ho potuto vedere si riveleranno i nostri mentori durante il corso della storia: Palisade e C. Psalmist. I due discutono di questi argomenti nel corso di uno straordinario evento: la nascita del nostro protagonista! Le loro profonde elucubrazioni sono infatti le prime parole che Nova, il protagonista di Anodyne 2:Return to Dust, sente in tutta la sua vita, per poi risvegliarsi all’interno di un luogo chiamato la Riva Albumosa, una sorta di luogo onirico all’interno del quale il gioco ci introduce alle dinamiche di base. Ci viene spiegato dai nostri mentori che non siamo ancora pronti per nascere, che siamo ancora all’interno del nostro uovo (quello che si può vedere nel menù principale) e che dovremo ottenere il seme di Grandilock per poter finalmente venire alla luce. Ci viene rivelato inoltre nel corso di questo tutorial che siamo stati progettati per essere dei NanoCleaner, delle entità capaci di ridursi a una dimensione microscopica per poter entrare nell’organismo di altri esseri viventi per poterli liberare, tramite il nostro NanoAspiratore, dalla Polvere: una sorta d’infezione che si annida nelle pieghe dei corpi degli esseri che vivono nello strano mondo di New Theland.
Una volta terminata questa prima fase di tutorial veniamo dunque a conoscenza del mondo intorno a noi: in questo frangente conosciamo Il Centro, un misterioso luogo da dove si dice che la vita abbia inizio e la sovrastante città di Cenote, un luogo che in questa prova potremo esplorare liberamente. Stando alle parole dei nostri mentori, la Polvere è un ormai un male dilagante in ogni dove, ma se Nova sarà abile nel suo compito, egli potrà raccogliere abbastanza Polvere da poterla inserire all’interno di un congegno che la trasformerà in energia per tutta New Theland. Tuttavia il congegno che tramuta il male in energia è stato recentemente rovinato, e avrà bisogno di essere aggiustato tramite l’utilizzo di alcune specifiche Carte, le quali potranno essere ottenute da Nova grazie al potere del seme di Grandilock ottenuto durante le primissime fasi del gioco. Nova dovrà dunque mettersi subito al lavoro, e rintracciare gli abitanti di New Theland afflitti dal male della Polvere e, entrando dentro i loro organismi, liberarli una volta per tutti. Questa trama, che a una prima vista potrebbe sempre alquanto semplice e infantile, si rivela essere molto più profonda e stratificata: il male rappresentato dalla Polvere affligge gli abitanti di New Theland in maniera diversa, colpendo in modi sempre differenti, andando a intaccare ora lo stato fisico, ora quello mentale, toccando anche argomenti molto delicati come la coscienza di sé stessi e la perdita delle pulsioni sessuali. I dialoghi del gioco non sono mai banali e vanno letti con attenzione per capirne la vera maturità, un enorme pregio che spero venga mantenuto anche in future fasi avanzate del gioco.
Born to be a NanoCleaner
Il gioco si divide essenzialmente in due fasi, marcate da un cambio di grafica piuttosto evidente: avremo una prima fase in tre dimensioni puramente esplorativa con elementi platform, nella quale potremmo liberamente girare per New Theland alla ricerca di poveri abitanti da liberare dal male che li affligge, mentre una seconda fase in due dimensioni sarà decisamente più articolata: rimpicciolendoci infatti potremmo andare a infiltrarci all’interno dei contaminati dalla Polvere con l’intento di ripulirli completamente. Questa fase di “pulizie” è forse l’intero cuore dell’esperienza di Anodyne 2: verremmo catapultati in un vero e proprio dungeon (sempre molto ben caratterizzato a seconda del corpo in ci introdurremo e al tipo di afflizione di cui soffre il malcapitato) che andrà esplorato come in un gioco Zelda-Like eliminando gli ostacoli sul nostro cammino grazie al nostro fidato NanoAspiratore, il quale potrà attrarre a sé elementi dello scenario e nemici per immagazzinarli e poi rilanciarli contro altri impedimenti.
Le due fasi di gioco sono entrambe estremamente interessanti: nella prima il piacere dell’esplorazione è accompagnato dalle fasi di dialogo e da quelle platform, che per quanto ho visto si sono rivelate discretamente complesse e articolate, mentre nella seconda l’esperienza è molto stratificata, non presentando mai due volte la stessa dinamica per superare i vari livelli del dungeon, procurando un piacevolissimo senso di varietà e di curiosità nei confronti dei dungeon futuri: per esempio un intero livello era basato sul dover spegnere delle fiamme sparse su tutto il pavimento tramite l’aspirazione di alcuni mostri composti di acqua, mentre un altro si basava interamente sulla dicotomia tra luce e buio.
Spero vivamente che questa formula rimanga intatta e che alla lunga non ci si perda nella ripetitività. L’unica nota sbiadita di tutto ciò forse la rappresenta un piccolo minigioco che serve a introdurci con la forza in alcuni organismi: si tratta di un semplice gioco di coordinazione sempre uguale a se stesso, non particolarmente difficile né avvincente.
Grafica e sonoro
La grafica di Anodyne 2: Return to Dust rappresenta un piccolo esperimento sicuramente ben riuscito. Il gioco infatti punta, come già detto, a una dicotomia totale tra due diversi tipi di grafica, che al cambio di dimensione associa un linguaggio grafico totalmente differente. Nelle prime fasi di esplorazione del gioco in tre dimensioni infatti la grafica ricorda tantissimi titoli iconici che hanno reso l’amatissima prima PlayStation famosa, come Spyro o Crash Bandicoot: abbiamo infatti grossi poligoni squadrati che compongono ogni elemento dello scenario e dei personaggi, andando a dipingere un quadro dalle tinte surreali e oniriche, in cui gli abitanti che vivono su New Theland tendono a essere mostri astratti, andando a supportare l’aspetto simbolico dell’intero gioco. La seconda fase invece presenta una grafica splendida in 16-bit in cui i dettagli di ogni cosa sono ben definiti e i colori sono vari e vivaci, anche nelle sezioni più buie, come a voler rappresentare come il cambiamento di dimensioni porti la visione del mondo e dei suoi particolari a essere più specifica e dettagliata. Per quanto riguarda il sonoro, il gioco è permeato da una colonna sonora sempre soave e dolce, mai invasiva o incalzante in nessuna delle sue fasi.
Un’attesa inaspettata
Anodyne 2: Return to Dust si presenta come un piccolo fiore rosso in un campo di margherite completamente bianco: non lo noti subito e quando lo noti sembra essere un prodotto fuori posto in un panorama videoludico che almeno all’apparenza è molti anni avanti, ma nel momento in cui ti avvicini noti quanto possano essere profonde e divertenti le sfumature di cui è composto. Mi auguro che il gioco mantenga questa struttura di base e che con l’avanzare della storia e del gameplay non incorra in una ripetitività dei suoi elementi che lo rendono così speciale. Il gioco uscirà in un periodo non definito di questo 2019, e da questo momento lo aspetto con trepidazione.