Non si può parlare di survival horror senza parlare del gioco che ha dato origine a questo preciso filone videoludico. Non possiamo parlare di survival horror senza citare Capcom e Shinji Mikami, uno dei game designer più apprezzati della storia del medium.
Era il 1° agosto 1996, e all’interno dei negozi di tutto il mondo faceva la sua comparsa Resident Evil, un gioco che avrebbe cambiato per sempre l’industria del gaming.
Ma come è nato Resident Evil? Cosa ha spinto Capcom a investire su un progetto del genere ma soprattutto, cosa ha spinto Shinji Mikami a realizzare il suo primo capolavoro?
Molti appassionati associano a Resident Evil il primato di primo vero survival horror della storia del medium videoludico. In parte è vero ma in realtà prima di iniziare la realizzazione del suo gioco Mikami si ispirò a due giochi, il primo uscito per la prima console Nintendo nel 1989 e il secondo uscito per PC nel 1992.
Sweet Home in the Dark
All’epoca della prima console Nintendo, il NES (Nintendo Entertainment System), Capcom realizzò un titolo davvero particolare, ispirato a un film, uscito nello stesso anno in Giappone. Il gioco si chiamava Sweet Home, un JRPG a tinte horror in cui 4 ragazzi esploravano una villa abbandonata piena di enigmi, mostri e apparizioni sovrannaturali.
Grazie ai temi trattati all’interno del gioco e alla forte componente survival, Sweet Home può essere considerato il vero primo survival horror, anche se in forma piuttosto embrionale.
A quei tempi Shinji Mikami entrò all’interno di Capcom per realizzare giochi sotto licenza Disney, ma in realtà la vera passione del game designer era l’horror. In un’intervista Mikami affermava che il suo obbiettivo primario, durante lo sviluppo di Resident Evil, era quello di creare un titolo davvero spaventoso.
Non voleva creare un gioco che mettesse paura al giocatore solo grazie alla soundtrack o a qualche sporadico jump scare. Voleva creare un titolo dove i mostri erano il fulcro dell’intero titolo, grazie alla loro aggressività e alla loro continua presenza all’interno del mondo di gioco.
Il giovane Mikami venne fortemente influenzato da Sweet Home e abbracciò così l’idea iniziale di Capcom, creare uno shooter all’interno di una villa abbandonata. Il progetto iniziò a prendere forma e Capcom decise di affiancare a Shinji Mikami più di 40 sviluppatori, creando ufficialmente lo Studio 4 di Capcom, il quale diede alla luce alcuni dei principali brand dell’azienda giapponese come Devil May Cry, Dino Crisis e Viewtiful Joe.
Alone in The Dark
Con l’avvento delle console a 32 bit e la grafica 3D il mondo del gaming subì un cambiamento radicale. Molte case di sviluppo iniziarono a investire tempo e denaro nella creazione di titoli che sfruttassero a pieno questo nuovo comparto grafico.
Tra le tante aziende, che all’epoca decisero di sfruttare questo nuovo comparto tecnico, spicca Infogramers, la casa di sviluppo che ha dato origine alla serie Alone in the Dark.
Uscito nel 1992 per PC, Alone in the Dark sbalordì milioni di videogiocatori grazie a una soundtrack terrificante e un ottimo uso dei poligoni e dei fondali pre-renderizzati.
Esattamente come Sweet Home, Alone in the Dark era un titolo horror ambientato in una villa abbandonata precedentemente appartenuta a un pittore morto suicida. Proprio come nel titolo di Capcom, l’intera villa era infestata di creature soprannaturali, ma, a differenza del titolo giapponese, Alone in the Dark non era un JRPG bensì un’avventura grafica in terza persona che sfruttava le telecamere fisse per aumentare l’ansia all’interno del titolo.
Sarà proprio questo senso di terrore e l’incredibile comparto tecnico di Alone in the Dark a ispirare il designer giapponese, il quale sfrutterà la telecamera fissa del titolo francese per aumentare il senso di terrore e mistero all’interno del suo gioco.
Tra zombie e box quadridimensionali
I fantomatici zombie, non sono gli unici nemici presenti all’interno del titolo ma sono senza ombra di dubbio i più iconici. All’interno della villa i nostri protagonisti dovevano vedersela con creature terrificanti oltre che a superare dei complessi enigmi per svelare il mistero che si celava nelle profondità della villa abbandonata.
Ad affiancare una trama tanto intricata quanto geniale c’erano meccaniche di gameplay uniche e coinvolgenti tra cui il sistema di gestione dell’inventario.
I nostri eroi avevano a disposizione una vasta gamma di armi da poter utilizzare contro i nemici che infestavano la villa. Tuttavia, per far si che Resident Evil fosse un vero e proprio survival horror, l’inventario venne ridotto al minimo indispensabile così da non concedere troppo spazio per le munizioni e gli oggetti curativi.
Grazie all’inventario i protagonisti potevano trasportare gli oggetti utili come: le famose erbe mediche, armi, munizioni, chiavi e persino l’inchiostro per la macchina da scrivere (unica vera forma di salvataggio all’interno di Resident Evil). Questo significa che molte volte non c’era spazio per le munizioni perché dovevi portarti dietro quella specifica chiave che ti permetteva di risolvere l’enigma.
Questa scelta di design però avrebbe causato un eccessivo backtracking all’interno del titolo. Se non si aveva abbastanza spazio nell’inventario per una chiave, come portare avanti la trama? È per questo che vennero inseriti all’interno dei punti di salvataggio delle casse in cui era possibile depositare gli oggetti inutili o al momento non importanti.
Tutte queste casse presenti nei vari punti di salvataggio erano collegate tra loro, in questo modo era possibile inserire all’interno del gioco oggetti utili anche alla fine perché tanto una volta tornati al box era possibile recuperarli tutti.
Puoi intuire facilmente che con delle munizioni limitate anche uno zombie di per se lento e poco pericoloso può diventare una vera e propria minaccia. È proprio qui che risiede il genio di Shinji Mikami, il quale riuscì a creare il mix perfetto tra orrore e gameplay. Un mix che ha terrorizzato milioni di videogiocatori e che ben presto sarebbe diventato una delle caratteristiche principali del titolo.
Da Romero a Resident Evil
A rendere iconico Resident Evil non è stato solo il comparto tecnico di ultima generazione e il suo gameplay super ispirato. Una delle caratteristiche principali del titolo Capcom è senza ombra di dubbio la trama.
Resident Evil è ambientato a Raccoon City durante il mese di luglio del 1998. Le squadre Alpha e Bravo delle forze speciali S.T.A.R.S partono per scoprire cosa si cela dietro ai molteplici casi di omicidio e cannibalismo che si stanno consumando a Raccoon City.
Alla scomparsa della prima squadra viene inviata la seconda formata da Chris Redfield, Jill Valentine, Albert Wesker, Barry Burton, Joseph Frost e Brad Vickers. La squadra Bravo partirà alla ricerca dei compagni scomparsi e, una volta atterrati nei pressi di una villa verranno attaccati da un branco di cani feroci che uccideranno Joseph Frost e costringeranno i restanti membri del gruppo a ripiegare all’interno della cupa abitazione.
Quella che all’apparenza poteva sembrare una semplice magione si scoprirà essere l’accesso a un centro di ricerca della Umbrella Corporation, in cui vengono svolti esperimenti illegali su armi biologiche da impiegare in guerra.
Questi test hanno portato alla creazione di nuove specie mutanti assetate di sangue e di virus capaci di modificare la struttura cellulare degli esseri viventi. I virus hanno però un enorme carica virale, che ha trasformato gli abitanti della villa e il personale medico in zombie assetati di sangue.
Impersonando Jill Valentine o Chris Redfield il giocatore deve investigare sugli esperimenti condotti dall’Umbrella, trovare eventuali superstiti della squadra Bravo e cercare infine di scappare.
Le tinte horror tipiche dei film di George Romero, come Zombie o La notte dei morti viventi, hanno permesso a Resident Evil di diventare uno dei giochi più acclamati dell’industria videoludica. Capcom è stata in grado di creare un gioco che si ispirasse al passato, introducendo allo stesso tempo tematiche innovative come le armi batteriologiche, il famigerato Virus T.
L’incredibile comparto narrativo presente all’interno di Resident Evil ha permesso al gioco di arrivare fino in occidente, il mercato a cui Mikami ha sempre puntato, data la sua passione per il cinema hollywoodiano (principale fonte d’ispirazione anche per i futuri capitoli).
Conclusione
Il lavoro compiuto da Shinji Mikami e dallo Studio 4 di Capcom è stato davvero rivoluzionario. Resident Evil è a tutti gli effetti il capostipite del genere survival horror perché è riuscito a prendere il meglio dai suoi predecessori, mixandolo a temi innovativi e un sistema di gameplay unico nel suo genere.
L’azione e la trama tipica di un film hollywoodiano ha permesso a Resident Evil di approdare anche nel mercato occidentale diventando così il titolo per PlayStation 1 più venduto nella storia della console nipponica, con oltre 1 milione di copie vendute nel primo anno di pubblicazione.
Il resto è storia, Resident Evil è un brand che tutt’ora regna incontrastato all’interno del mercato dell’horror ma che allo stesso è stato fonte d’ispirazione per altri che hanno fatto la storia del medium. Capolavori del calibro di Dead Space, Silent Hill, Outlast, Amnesia: The Dark Descent e The Evil Within non esisterebbero se Capcom ai tempi non avesse deciso d’investire sul primo vero survival horror.