Homo Machina è un gioco particolare. Potremmo dire che si avvicina molto alla logica dell’eduntainment, ovvero a quei titoli utilizzabili anche in contesti pedagogici e di apprendimento grazie a delle caratteristiche particolari. In questo caso, possiamo vedere una rappresentazione molto originale dell’anatomia umana, che viene paragonata a una vera e propria fabbrica in cui i diversi “settori” svolgono compiti specifici per il funzionamento dell’intero organismo. Come suggerisce il titolo, quindi, l’uomo diventa una complessa macchina governata da omini, in cui ogni minima funzione è gestita in modo oculato da questi ultimi.
Questa particolare metafora dell’organismo umano è già stata proposta dallo studioso Fritz Kahn. Quest’ultimo, nel suo libro Man Machine, mostra una versione “meccanica” del corpo, in cui il funzionamento di ogni macchinario è associabile a quello dell’organo reale corrispondente. Ciò che ha caratterizzato questo saggio è lo stile particolare delle infografiche al suo interno, le quali sono immediatamente riconoscibili.
La componente artistica di Homo Machina (sicuramente il punto di forza maggiore del titolo) si ispira fortemente alle illustrazioni di Kahn, mostrando al giocatore dei puzzle gradevolissimi da vedere ed estremamente originali da giocare.
Inside Out?
La trama di Homo Machina parte proprio dal concetto della “fabbrica umana”, mostrando al giocatore degli omini, dotati di coscienza propria, che prendono decisioni all’interno del corpo umano. Questo ci porta in un viaggio nell’organismo, in cui possiamo sperimentare le diverse funzioni dei macchinari nell’arco di un’intera giornata.
Tutto è organizzato alla perfezione: nel cervello ci sono il direttore e i suoi assistenti, i quali gestiscono l’intera “fabbrica” coordinando le diverse funzioni e impartendo ordini agli operai (dopotutto, è questa la funzionalità del cervello). In aggiunta possiamo vedere una sala deputata all’olfatto, una all’udito, un’altra ai muscoli e così via. Tutto il corpo è composto da macchinari originali, rappresentati magistralmente per far capire il funzionamento di quel particolare organo.
In particolare, durante la storia del gioco, l’uomo che ospita gli omini che controlleremo ha un appuntamento galante programmato per la serata. Come si può facilmente immaginare, tutti i suoi pensieri sono rivolti a quel particolare momento. Questo proietta tutte le emozioni che comunemente associamo a quelle situazioni sul direttore stesso (che, di fatto, personifica i sentimenti): e se mi fingessi malato? E se non sapessi cosa dire? Sarò all’altezza? E soprattutto, e se aprissimo le valvole della pigrizia?
Proprio l’ultima frase dona un’idea ben precisa dell’atmosfera che permea l’intera produzione. Le interazioni del direttore con la segretaria e con gli operai sono sempre divertenti e spesso si riferiscono alla reinterpretazione in chiave meccanica di particolari componenti del corpo umano. Inoltre, ogni sezione della fabbrica umana è sempre una sorpresa da scoprire, date le caratteristiche uniche e fantasiose di ogni singolo macchinario. In pratica, ciò che permea l’intera produzione è un senso costante di scoperta e sorpresa, dato dalle battute degli omini e dalla rivisitazione dell’anatomia umana. Tutto questo è riscontrabile anche nel gameplay.
Esplorando il corpo umano
Il gameplay vero e proprio di Homo Machina può essere definito come un puzzle game: il giocatore si trova davanti diversi scenari in cui occorre capire come azionare i macchinari che compongono il corpo umano.
Come ho accennato, tutto quanto è una sorpresa continua: l’occhio, per esempio, è una vera e propria videocamera compresa di pellicola, il timpano una stazione radio in cui si ascoltano le frequenze e il naso viene pulito da un idrante. Per non rovinare la scoperta non dirò altro, ma basti sapere che tutto ciò è così originale da portare il giocatore a chiedersi continuamente che cosa stia per accadere.
La domanda sorge spontanea: come si azionano e si utilizzano i diversi macchinari? Ognuno di essi va controllato in modo specifico attraverso dei semplici comandi touch: non ci sono dei controlli standard, ma ogni scenario richiede di interagire in modo unico con alcune componenti a schermo: potrebbe essere richiesto di girare delle manopole, oppure di azionare un idrante, o magari di attivare uno per uno i muscoli delle gambe.
Qualunque sia la funzione da svolgere, tutto è affidato al touch screen di Nintendo Switch, la quale viene tenuta in verticale come se fosse un normale smartphone (di fatto, Homo Machina è il porting di un titolo originariamente pubblicato su mobile). Capire con quale parte dello schermo interagire è parte integrante della sfida: osservando gli scenari il giocatore deve comprendere cosa va manipolato per ottenere il risultato voluto. La componente puzzle di Homo Machina è proprio questa. Non ci sono enigmi complessi o interazioni particolari da svolgere in qualche ordine preciso; al contrario, tutta la sfida proposta dal gioco è riassumibile nei brevi momenti in cui occorre capire come interagire con un nuovo scenario.
Ci sono dei momenti in cui servono prontezza di riflessi e velocità, così come possiamo trovare degli enigmi che richiedono qualche minuto di concentrazione per essere risolti, tuttavia parliamo di casi sporadici e mai troppo complessi. Di fatto, la difficoltà di Homo Machina è estremamente bassa e l’intero gameplay è banale e poco profondo, dato che si risolve tutto con qualche tap sullo schermo. Le azioni sono così immediate che il titolo non propone neanche un tutorial vero e proprio e, a dirla tutta, non se ne sente nemmeno la necessità.
Proprio per questo motivo, la brevissima longevità dell’esperienza risulta quasi essere un pregio: essendo necessaria soltanto un’ora a completare il gioco, il gameplay messo a punto dagli sviluppatori non annoia e non diventa mai ripetitivo, riuscendo a divertire il giocatore per tutta la durata di Homo Machina. Il senso di sorpresa costante, infatti, spinge l’utente a giocare il titolo tutto d’un fiato, arrivando alla conclusione con la soddisfazione di aver vissuto un’esperienza diversa dal solito, seppur breve.
Potremmo paragonare il titolo a uno shottino dal sapore unico: è velocissimo da bere, ma poco dopo averlo finito il gusto forte permane, dando un senso di appagamento che perdura per un po’. Questa particolarità è avvalorata ancora di più dal prezzo estremamente basso a cui è possibile acquistare il gioco.
Divertente da giocare e bello da vedere
Homo Machina è un piacere per gli occhi. Ogni singolo livello è una vera e propria infografica in movimento, in cui ogni organo diventa un macchinario con una funzione corrispondente a quella reale. Per questo motivo, la componente artistica del titolo riveste un ruolo primario, dovendo sintetizzare l’anatomia umana nelle rappresentazioni meccaniche di ogni scenario.
Inoltre, come ho accennato nel corso della recensione, Homo Machina è caratterizzato da uno stile visivo che richiama quello delle infografiche di Fritz Kahn, rendendo i livelli gradevoli e originali. Che si tratti del timpano, della bocca o dei recettori del gusto non importa: ogni scenario è unico e rappresenta perfettamente l’organo in questione.
Questo stile, poi, è accompagnato anche da una realizzazione tecnica certosina. La grafica 2D non fa gridare al miracolo, tuttavia lo stile minimalista è valorizzato da bordi ben definiti, colori accesi e da animazioni (sia degli omini, che dei macchinari) sempre convincenti. In ultimo, data la semplicità del gioco, non ci sono cali di frame o rallentamenti di nessun tipo.
Il comparto sonoro di Homo Machina si attesta sugli stessi, ottimi livelli di quello artistico. Le canzoni che accompagnano i puzzle sono sempre diverse tra loro e orecchiabili. Lo stesso dicasi per gli effetti sonori che accompagnano ogni azione.
In poche parole, siamo di fronte a una realizzazione tecnica e artistica eccellente, che riesce a sorreggere l’intero peso della produzione valorizzando i puzzle in modo perfetto e rendendo una scoperta continua tutta l’esperienza di gioco.
Per concludere
Homo machina non è un capolavoro, ma è un indie memorabile. Parliamo di un gioco che non cerca di essere ambizioso e non propone meccaniche rivoluzionarie. In pratica, siamo di fronte a una bella esperienza, in grado di divertire per la sua breve durata.
I puzzle sono estremamente semplici e il gameplay generale è banale. Tuttavia, a questa banalità si aggiunge una componente artistica originale ed eccelsa in grado di donare lustro a ogni enigma, creando un senso di scoperta continuo che rende Homo Machina divertente e degno di nota. Tutto questo delinea un videogioco in grado di sorprendere il giocatore, tenendolo incollato allo schermo fino alla fine. Proprio questo senso di sorpresa costante e la componente artistica unica rendono Homo Machina un’esperienza che vale la pena provare.