Negli ultimi anni, i videogiochi indie sono riusciti a creare un “sottogenere” fatto di sperimentazione, innovazione e anche autorialità. Piccoli team con un grande sogno. Tutto ciò ad un prezzo bassissimo rispetto ad un AAA, ma non con un contenuto peggiore, anzi, il mondo indie detiene alcuni dei giochi migliori usciti negli ultimi tempi.
Ma abbiamo davvero bisogno dei videogiochi indie? Quali sono pregi e difetti?
Se ne potrebbero citare a bizzeffe: The Binding of Isaac, Undertale, Fez, tutti videogiochi a basso costo, team piccolissimi, a volte finanziati dai fan stessi tramite piattaforme che si trovano su internet e spessissimo sono autopubblicati. Gli sviluppatori di questi titoli sono più liberi e hanno più libertà rispetto a un team che sviluppa AAA, dato che quando ci sono i publisher, sono loro a gestire la burocrazia e la pubblicità.
Va detto che anche i videogiochi indipendenti possono arrivare ad averne uno, anche di grandi dimensioni, basti pensare al programma EA Originals nella quale il gigante dell’industria ha acquisito alcuni studi più piccoli per poter sviluppare giochi di questo genere, uno dei prodotti scaturiti da questo programma è A Way Out, sviluppato da Hazelight Studios. Una cosa molto simile è stata fatta da Ubisoft, con Ubisoft Lumen. Anche se spesso la comunicazione “con l’esterno” non è coperta da queste figure, quindi non essendoci filtro tra team di sviluppo e videogiocatore, il contatto con la community è diretto, e avviene soprattutto grazie e tramite i Social Media.
Generalmente questo tipo di videogiochi ha un costo per la produzione molto basso, ma a volte sono i developers stessi a rivolgersi alla fanbase, chiedendo finanziamenti (di solito tramite Kickstarter) per poter avere un bugdet migliore e sviluppare esperienze più complete. Questo è il caso di Pillars of Eternity, per esempio. È capitato che anche le software house volessero creare giochi con un budget minimo, come ha fatto Ninja Theory con Hellblade: Senua’s Sacrifice, che è stato presentato come un tripla A indipendente dagli stessi. Il Lead Designer ha sottolineato spesso come per il finanziamento del gioco siano stati utilizzati metodi che risultano essere molto pericolosi normalmente (vista un’eventuale mancanza di tornaconto) come risparmi personali o mutui bancari. Possiamo dunque dire che il mercato indie sta cambiando anche quello dei tripla A, visti tutti questi incentivi dati ai piccoli sviluppatori. In un certo senso, i grandi stanno prendendo in prestito le idee dai piccoli, in alcuni casi.
Ma qual è la vera forza dell’indie?
Il gameplay. Ebbene sì, una cosa che i AAA a volte dimenticano è proprio questa. Le major tendono a concentrarsi sul dare la grafica migliore possibile, basti vedere gli ultimi titoli usciti, la loro grafica toglie il fiato, mentre le meccaniche di gioco tendono ad essere simili tra loro. Non che i grandi developers manchino di originalità, ma per via dei costi di produzione molto elevati che i tripla A hanno, devono riuscire a prendere in mano quanti più videogiocatori possibili in modo da poter equilibrare costi e ricavi. Quindi tendono a prendere le meccaniche che in quel momento attirano l’attenzione. Un esempio può essere l’avere componenti GDR in giochi in cui quel genere non è contemplato, come l’ultimo gioco pubblicato da Bethesda, Wolfenstein: Youngblood, di cui puoi trovare la recensione in questo articolo.
Per quanto riguarda gli indie, le meccaniche ed il gameplay sono il nucleo, basti vedere i tre giochi citati all’inizio: tutti con una grafica quasi rudimentale ma che hanno però delle meccaniche davvero interessanti o innovative. Anche se ovviamente non sempre è così, Hollow Knight ne è l’esempio lampante, un buon gameplay in perfetta armonia con un’ambientazione e grafica davvero unica nel suo genere.
Ma ciò non significa che gli indie si concentrino solo sul gameplay, riescono a narrare anche ottime storie come l’italiano Last Days of June di Ovosonico, che fa entrare in sintonia l’avventura grafica con dei puzzle game.
Secondo il mio modesto parere, l’indie sta cambiando il mercato videoludico in meglio, c’è più sfida tra le grandi software house e questi piccoli sviluppatori, anche se ovviamente non significa che sia una guerra, perché come abbiamo visto possono anche collaborare per dare a noi videogiocatori prodotti migliori. È una situazione che può portare solo positività nel mercato, anche se uno dei lati negativi, ed è innegabile, è la saturazione che potrebbe avvenire proprio a causa del basso costo di produzione che gli indie hanno. La bassezza di determinati contenuti su piattaforme per sviluppatori indie la conosciamo tutti (Steam Greenlight ne era pieno), ed in più c’è il rischio di finanziare giochi che rimarrano anni in accesso anticipato per poi morire. Senza contare il copia e incolla selvaggio che avviene spesso tra i piccolissimi developers. Questo succede quando non si ha un’idea propria, originale.
Per me, i videogiochi indie possono essere anche degli esempi da prendere per le grandi major, degli spunti per creare IP originali che non puntino magari solo alla grafica, ma anche a delle meccaniche di gioco interessanti, che non significa complicate.
l videogiochi indie sono piccoli eroi che noi meritiamo e di cui (in questo caso) abbiamo bisogno.