Da un certo punto di vista, non deve essere facile ritrovarsi nei panni di Game Freak, o GAME FREAK come impone il caps-lock che ne ha reso celebre il nome: due volte su tre, nessuno conosce chi sia davvero la mente dietro i Pokémon, e il rimanente terzo dei casi vede il team di sviluppo ricordato unicamente per aver creato il brand. Eppure Game Freak non è solo Pokémon, come dimostra l’imminente Little Town Hero previsto entro quest’anno, e merita di essere riconosciuta per il suo output in toto. Per cui oggi manderemo i mostriciattoli “fuori dalle Poké Ball” e parleremo degli altri risultati raggiunti dai talentuosi sviluppatori.
Dalle origini da “band del garage” al NES
Prima ancora di essere un team di sviluppo, Game Freak nasce come pseudonimo di Satoshi Tajiri, l’entomologo autodidatta che ha creato Pokémon dalla sua passione per collezionare insetti, mentre lavora negli anni ’80 come scrittore freelance. In seguito questo pseudonimo diviene il nome di una rivista indipendente, o “fanzine”, a tema videoludico, che vede un connubio artistico tra Satoshi Tajiri e Ken Sugimori, quest’ultimo noto per il character design di 90% del brand Pokémon (di nuovo). Poi, nell’aprile del 1989, la svolta: Game Freak passa alla creazione di videogiochi veri e propri.
Il loro debutto è con Mendel Palace, per Nintendo Entertainment System, un titolo fantasy dove al giocatore viene dato il compito di affrontare bambole, alle quali la sorella minore del protagonista, la strega Quinty a cui il gioco deve il proprio titolo giapponese, ha dato vita. Quinty ha anche rapito la fidanzata dell’avatar del giocatore; seguendo questa trama, quanto mai classica nella sua semplicità, ci si ritrova ad esplorare otto differenti mondi, ambientati ciascuno in una casa delle bambole diversa, mentre il gameplay prevede che le bambole vengano sconfitte ribaltando il terreno sotto di loro. Insomma, è palese già da questa premessa inusuale che in tempi non sospetti Game Freak avesse tanto da dire.
Di certo, a Nintendo il potenziale di questi ragazzi non è sfuggito: dopo che Mendel Palace l’ha messo sulla mappa, due anni dopo il team di sviluppo si ritrova ad avere tra le mani nientemeno che Yoshi, il dinosauro che ha appena debuttato come cavalcatura di Mario nel titolo di lancio per Super Nintendo Entertainment System, Super Mario World. Il gioco nato da questa premessa, uscito stranamente sulla stessa console di Mendel Palace, si chiama semplicemente Yoshi in America, o Yoshi’s Egg in Giappone (da noi Mario & Yoshi). Forse per mantenere il gameplay di Super Mario World esclusivo al Super Nintendo, o magari perché l’idea di fondo era sempre stata lì, il gioco consiste in un puzzle game dove Mario, in fondo allo schermo, deve scambiare di posto i vari vassoi sui quali far combaciare i vari elementi che cadono dall’alto, per mirare alle combo migliori.
Non solo Pokémon, ma nemmeno solo Nintendo
Se però Mario & Yoshi non può approdare su SNES, lo stesso non si deve necessariamente dire di Game Freak: lo stesso anno è la volta di Smart Ball, noto in Giappone come Jerry Boy (dove “Jerry” è una traslitterazione nipponica di jelly, gelatina), un platformer con delle gelatine come protagoniste pubblicato da Sony nella sua era pre-PlayStation. Per quanto forse un po’ anonimo, il titolo ha comunque il suo fascino, abbastanza da non essere l’ultima collaborazione con l’altro colosso videoludico nipponico.
Ma prima che ciò avvenga, nel 1993 tocca di nuovo al brand di punta di Nintendo, con cui Game Freak balla un secondo tango: Mario & Wario, inedito in occidente, sancisce infatti il debutto del team di sviluppo con l’idraulico in salsa Super Nintendo, ma anche stavolta si tratta di uno spinoff dall’approccio inusuale. Mario deve percorrere il livello senza vedere nulla, a causa di un secchio messogli in testa da Wario (una situazione citata a casa di Copiona nella città di Zafferanopoli, nei giochi Pokémon); tocca dunque alla fatina Wanda, mossa con un apposito mouse per Super Nintendo (lo stesso usato anche nel più fortunato Mario Paint), muovere gli elementi del livello per farlo giungere sano e salvo a destinazione. Al traguardo lo attende Luigi, intento a camminare avanti e indietro guardando pigramente in basso (dando origine alla sua provocazione più nota di Super Smash Bros.).
Dopo Mario & Wario, però, ecco la prima “scappatella” di Game Freak: nel 1994 su Sega Mega Drive è infatti la volta di Pulseman, un simil-Mega Man basato sulla manipolazione dell’elettricità. Questa scelta tematica non è casuale: è infatti il debutto di Junichi Masuda, regista del brand Pokémon fino a Spada e Scudo dove Shigeru Ohmori ha preso le redini. Inoltre, alcune delle idee viste nel brand dei mostriciattoli si sono prima viste qui, come il Locomovolt di Pikachu o il tema di Neo Tokyo, riarrangiato in seguito come tema delle battaglie contro il rivale in Diamante e Perla. A parte questo, l’elettricità fa parte di quasi ogni elemento del gameplay, dagli attacchi dell’eponimo protagonista ai suoi spostamenti. E proprio come Mega Man, non si tratta affatto di un platformer facile, ma l’occidente questo non l’avrebbe mai saputo fino alla riedizione sulla Virtual Console di Wii nel 2009.
Quando il lavoro diventa un hobby: da Pokémon in poi
Passano altri due anni e giunge il momento fatidico: Game Freak nel 1996 si ritrova alle prese con tutto ciò per cui sarebbe stata ricordata da questo punto in avanti, quel progetto nato nella fantasia di Tajiri anni prima con il nome Capsule Monsters. Molti dei semini che hanno dato vita alla serie, da subito una gallina biancorossa dalle uova d’oro, sono in realtà stati piantati anni prima dalla serie MOTHER, con cui Shigesato Itoi si divertì a creare un gioco di ruolo in salsa moderna, ambientandolo nell’America degli anni cinquanta-sessanta, citando i Beatles e alternando momenti struggenti alle vette più alte dell’umorismo demenziale nipponico. Ci sarà un motivo, d’altronde, se Ness in Super Smash Bros. sembra una versione poligonale dello sprite del protagonista di Pokémon al di fuori delle battaglie. Ma di MOTHER e di EarthBound, probabilmente, è meglio parlare più approfonditamente in un secondo momento.
I proventi di Pokémon, già succosi nella patria del franchise, nel 1998 stanno svuotando anche le nostre tasche, così Satoshi Tajiri ha modo di lavorare anche a un proprio progetto su Super Famicom. Nasce così Bushi Seiryūden: Futari no Yūsha, gioco di ruolo ambientato nel Giappone feudale dove i combattimenti contro i nemici sono gestiti cambiando il gameplay in quello di un platformer, dando così vita a una versione più sensata di Zelda II: The Adventure Of Link. Il gioco trabocca fascino da ogni pixel, ma se rimane solo in Giappone è per un motivo dolorosamente ovvio: siamo già nel 1998, e mentre il pubblico nipponico non si sarebbe fatto problemi ad evitare che i propri Super Famicom non prendessero polvere, in occidente l’equivalente della console – il Super Nintendo stesso – si trova già nelle soffitte per molta, troppa gente.
Il 1999 è l’anno di Pokémon Versione Oro e Versione Argento, ma in Giappone (di nuovo) non è solo il Game Boy la console di riferimento per Game Freak. Infatti, per quanto incredibile, la seconda avventura amorosa del team di sviluppo avviene nientemeno che su PlayStation, con Click Medic. Definibile come un incrocio tra Pokémon e Trauma Center, il titolo presenta un character design evidentemente nato dall’ormai insostituibile penna di Ken Sugimori e un gameplay che alterna fasi di dialogo in cui tranquillizzare il paziente ad altre in cui lo si opera dall’interno, dopo essersi rimpiccioliti. Va anche detto che Trauma Center nascerà su Nintendo DS solo sei anni dopo: prima di allora un gioco simile verrebbe visto come qualcosa troppo di nicchia in occidente per essere considerato lucrativo in qualsiasi modo.
Ritorno di fiamma delle vecchie fiamme
Al termine di questi sei anni, però, la voglia di comunicare una visione artistica al di fuori del gioco di ruolo più importante di Nintendo torna a farsi sentire con Drill Dozer, o Screw Breaker in Giappone, un platformer inusuale per Game Boy Advance. Il giocatore, nei panni della piccola Jill, deve pilotare un piccolo mecha dotato di un’enorme trivella (anni prima dell’anime Gurren Lagann!) i cui sensi di rotazione corrispondono ai due tasti dorsali: L per il senso antiorario ed R per il senso orario. Ogni livello prevede il raccoglimento di tre ingranaggi (“gear”), ognuno dei quali sblocca una nuova marcia (sempre “gear”) con cui trapanare gli ostacoli più ostici e portando dunque il giocatore ad affrontare le fasi di esplorazione con un ordine ben preciso.
Un titolo innovativo e con lo stesso coraggio mostrato dai titoli per Super Famicom a fine anni ’90, ma stavolta premiato negli Stati Uniti con la localizzazione. Tale successo però non ne ha garantito un’uscita in Europa, dove probabilmente (non abbiamo mai avuto spiegazioni ufficiali) la sua cartuccia più grande delle altre e il sistema di vibrazione in essa contenuto ha costituito un problema, affiancandosi così a WarioWare: Twisted! che sui nostri lidi ha avuto lo stesso destino, anche lui con una cartuccia grande, stavolta per nascondere il giroscopio fulcro del gioco (il tira-e-molla sulla sua uscita ha notoriamente portato Nintendo la Rivista Ufficiale a recensirlo ben due volte). A girare il dito nella piaga ha già pensato Super Smash Bros., dove la versione italiana di Brawl ed Ultimate ha espressamente chiamato la piccola Jill con il nome Lucia, ad indicazione di una localizzazione europea praticamente già completa. Per rivivere l’esperienza del rumble di Drill Dozer, si può ricorrere ad alcuni emulatori su Android, in quanto la vibrazione del cellulare può venire usata dal gioco stesso.
L’era Nintendo DS, per Game Freak, vede una concentrazione massiccia sul brand Pokémon. La loro prossima digressione non si vede fino al 2012 su Nintendo 3DS, con HarmoKnight: un ritorno di Game Freak al genere da loro più amato, in un ibrido tra gioco di piattaforme e titolo musicale. Il risultato è un runner, ovvero un platformer a scorrimento fisso, dove salti e attacchi ai nemici vengono gestiti a ritmo di musica. Nemmeno qui c’è modo di sfuggire alla colossale ombra di Pokémon: ogni mondo del gioco presenta infatti un livello extra sbloccabile, nel quale la melodia presa da uno dei titoli della serie ammiraglia di Game Freak viene accompagnata da un restyling degli elementi di sfondo, trasformando le mongolfiere in Poké Ball, le sculture rocciose nel vulcano in statue di Reshiram e così via. Ciononostante, questo titolo evidenzia un’espansione nel tuttora piccolo (intorno ai 100 impiegati) studio di sviluppo giochi: nello specifico, una piccola divisione di stampo occidentale, capitanata da James Turner, capace di occuparsi dei progetti più piccoli.
La nuova Game Freak al galoppo
Il primo “indie” nato da questa espansione si vede un anno dopo, dando vita ad un altro ibrido tra due generi apparentemente inconciliabili: la simulazione di corsa equestre e… il solitario. Questa la premessa dietro Pocket Card Jockey, gioco per 3DS e cellulari in cui il protagonista, un fantino alle prime armi che si ritrova nell’aldilà a causa di un incidente equestre causato dalla sua incompetenza, viene riportato in vita per potersi rifare all’ippodromo, gestendo la propria cavalcata giocando a solitario. La stravaganza tipica dei giochi del Sol Levante ha attribuito a questo titolo un fascino capace di conquistarsi una propria nicchia di fan, ma l’ambizione di Game Freak li porta a considerare anche altri lidi.
Il loro prossimo titolo (in collaborazioe con SEGA), infatti, punta a creare un platformer che mescola la velocità di Sonic ai livelli di Rambi il rinoceronte di Donkey Kong Country, ma esce nel 2015 su ogni console… tranne proprio quelle di Nintendo. Il risultato ammicca al pubblico più “adulto” (e avvezzo allo stereotipo sulla “Nintendo infantile”) di PlayStation 4, Xbox One e PC già nel suo titolo: Tembo The Badass Elephant, ovvero “Tembo l’elefante cazzuto”. Il compartimento di mosse del personaggio in questione si presenta molto vario, vantando attacchi come una picchiata capace di sfondare interi edifici e una proboscide con cui improvvisarsi vigile del fuoco. Nonostante la premessa carica di personalità e di carattere, la seconda opera (dopo HarmoKnight) dell’inglesissimo James Turner viene accolta per lo più da indifferenza.
L’ultimo outing esterno a Nintendo è nel 2017 con Giga Wrecker su Steam, per poi approdare su tutte le console (Switch compreso, stavolta) due anni dopo sotto il nome di Giga Wrecker ALT. Un ritorno alle origini di quel Pulseman con cui Game Freak omaggiò a suo tempo Mega Man, in questo caso la ragazza protagonista si ritrova, in seguito a un incidente a inizio gioco, a venire riportata in vita sotto forma di cyborg capace di dominare il metallo (se stai avendo dei flashback della serie animata Avatar: La Leggenda di Aang, è normale). L’esplorazione del titolo prevede un classico Metroidvania intervallato a puzzle basati sul raccoglimento dei rottami. L’apatia con cui è stato accolto Tembo a suo tempo è del tutto assente tra le opinioni della critica, sebbene queste ultime non si siano rivelate rosee come avvenuto con Pokémon.
E questo ci porta ad oggi, ultima tappa del nostro viaggio attraverso la storia di Game Freak estraniata dal contesto dei mostri tascabili: Little Town Hero è ora previsto per Nintendo Switch entro quest’anno, un gioco di ruolo basato sulla più totale amalgamazione tra il villaggio in cui è ambientato il gioco e il gameplay delle battaglie, in cui si possono coinvolgere gli abitanti e si combatte a ritmo di “idee”, e la cui colonna sonora, grazie alla partecipazione del talentuoso Toby Fox (di cui, di nuovo, parleremo più in dettaglio un’altra volta), già promette un valore artistico con cui ricordarci ancora una volta che dovrebbero essere i Pokémon a giacere nell’ombra di Game Freak, non il contrario.