A molti dei fan della serie Pokémon, oltre a una curiosità su cos’altro possa aver creato il gruppo Game Freak, potrebbe saltare all’occhio il nome di Shigesato Itoi. Il game designer ribelle si distingue per essere, prima di ogni altra cosa, NON un game designer. Se questo incipit ti lascia in bocca un retrogusto di supercazzola, non temere: siamo già entrati nello spirito necessario ad esplorare i giochi di ruolo controcorrente e il loro impatto culturale.
Classe 1948: Shigesato Itoi nasce tre anni e tre mesi dopo il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki, quando la terra del Sol Levante si sta ancora rialzando e sta riacquisendo una propria identità moderna. Un uomo dall’indubbio spessore culturale e dall’eclettica propensione per i più disparati talenti, Itoi ha toccato ogni possibile anfratto dell’arte nel proprio senso più ampio: è stato scrittore, cantautore, webmaster, saggista, attore, pubblicitario. E dire che noi lo conosciamo solo per essere la mente dietro Ness, il ragazzino dai poteri mentali visto in Super Smash Bros. Ultimate.
“Io, mammeta, e tu”
Tutto è nato su Nintendo Entertainment System, o meglio, sul suo equivalente nipponico Famicom, contrazione di “family computer”. Il progetto MOTHER (ribattezzato EarthBound Beginnings una volta uscito in occidente tramite Virtual Console) di Itoi, più che come gioco di ruolo, è nato con lo scopo di sperimentare con le sue capacità narrative. Che poi ne sia nato uno dei giochi di ruolo più di nicchia, ma al contempo tra i più influenti, del panorama nipponico è un altro discorso.
Sin dalle prime premesse, il titolo vuole rovesciare tropi e cliché del gioco di ruolo con la sua ambientazione: Eagleland, ovvero l’America sotto un futile, ma divertente pseudonimo. Ecco così che le magie diventano attacchi derivati da poteri psichici, al posto delle spade vediamo mazze da baseball e al posto delle epiche cospirazioni millenarie di un Final Fantasy a caso vediamo sette religiose demenziali ossessionate dal colore blu. MOTHER e i suoi seguiti rappresentano il genere dei JRPG visto attraverso le demenziali lenti di un trip allucinogeno anni ’70, e non lo vorremmo vedere in alcun altro modo.
Shigesato Itoi, veicolando il messaggio attraverso una propria visione critica dei giochi di ruolo e dell’ambientazione fantasy che monopolizza il genere, non ha mai fatto mistero della passione che nutre nei confronti della cultura pop occidentale. Il sottomarino giallo dei Beatles fa capolino in EarthBound (il gioco da cui proviene Ness, noto come Mother 2 in Giappone) in una grotta, mentre la finestra di dialogo ne definisce “accidentali” le tinte canarino. Nell’introduzione, invece, vediamo un attacco alieno citare La Guerra Dei Mondi. Dilungarci nel citazionismo sfrenato proposto da Itoi attraverso le sue opere prolungherebbe oltremodo questo approfondimento, quindi preferiremmo procedere oltre.
Controcorrente come un salmone
Abbandonare l’università prematuramente, in una società ossessionata dalla carriera come quella giapponese, avrebbe fatto di Shigesato Itoi un reietto. Eppure, in una delle sue tante, lunghe interviste (abbastanza corpose da riempire libri, cosa che lui ha fatto) ha ammesso che “per vincere, a volte devi perdere”. Non sempre, secondo la filosofia di Itoi, il duro lavoro porta a buoni risultati; la componente fondamentale è l’amore riversato nelle proprie opere. La sua indole ribelle lo ha portato ad amare i Beatles: “Ci hanno insegnato cosa sia la libertà e che non sempre gli adulti hanno ogni risposta. Li ho amati al punto da sentirmeli a volume basso la notte, anziché studiare”.
Convinto dello sfruttamento positivo dell’insoddisfazione come energia principale con cui alimentare la propria vena artistica, Itoi ha applicato alla serie MOTHER il proprio atteggiamento dando vita a personaggi deliranti e, soprattutto, a momenti sopra le righe come gli hippie come nemici, personaggi non giocanti palesemente sbronzi dopo un sorso di “caffè” e molto altro.
Questa stravaganza ha reso i suoi giochi molto cult per un ristretto pubblico americano, altrimenti troppo bacchettone per amare questo genere di titoli. EarthBound è stato l’unico a raggiungere l’America, ma una campagna marketing che ha tentato di cavalcare l’onda del disgusto scatenata da Ren & Stimpy ne ha tarpato le ali finché il Ness di Super Smash Bros. non ne ha ravvivato l’interesse. Quel che è certo è che la sua eredità non è andata sprecata: lo studio da lui fondato, Ape, oggi è noto come Creatures Inc., ovvero ciò che insieme a Game Freak e The Pokémon Company dà vita alla trinità dei mostri tascabili, dove l’idea di un gioco di ruolo dalle ambientazioni urbane continua a vivere.
L’allunaggio nipponico
La voglia di svecchiare il genere dei giochi di ruolo, con la serie MOTHER, ha già attecchito quando Moon sbarca sulle PlayStation nipponiche nel 1997. Sovvertire le idee su cui si basano i GDR, ormai, l’ha fatto persino lo stesso Final Fantasy (il VII, per la precisione) nello stesso anno, proponendo uno specchio deformante con cui decostruire le convenzioni narrative del genere, tra ambientazioni che ormai del fantasy hanno ben poco e protagonisti con cui dare la vaga illusione di essere l’eroe senza macchia e senza paura. Per questo motivo Moon, o Moon: Remix RPG Adventure come avremo modo di conoscerlo in occidente per la prima volta su Nintendo Switch, ha pensato bene di rovesciare un altro dei dogmi dei giochi di ruolo: il concetto stesso di eroe.
A pensarci bene, non dev’essere particolarmente difficile separare il protagonista dal giocatore, in quanto due entità diverse: l’eroe salva il mondo, mentre il giocatore ficca il naso nelle case altrui e sale di livello uccidendo mostri per poterlo fare. Ed è così che Moon ha avuto l’ardire di rovesciare ogni cardine narrativo mettendo il giocatore nei panni di sé stesso nel gioco in cui si sta cimentando, con la propria console, il vero protagonista. Il gioco-nel-gioco consiste in un mondo dove ogni malefatta compiuta dall’altro protagonista (noi), in nome di un buon equipaggiamento e di tanta esperienza per lo scontro finale, è già avvenuta. Sta al giocatore il compito di salire di livello accumulando “l’amore” degli altri personaggi e di riportare una giustizia reale nel mondo della fantasia.
Mettere in dubbio la moralità dietro le scelte del giocatore è una tendenza che, al di fuori di una sadica strizzata d’occhio nel caro vecchio Lemmings, è diventata una gradita moda solo ultimamente, da Pokémon Versione Bianca e Versione Nera a Spec Ops: The Line, passando più recentemente per Headliner: NoviNews. Ma dov’è che questa predica si incontra con la passione occidentale per la cultura orientale, cresciuta a macchia d’olio negli ultimi anni? Per rispondere, dobbiamo tirare in ballo un nome menzionato nel nostro scorso speciale ma che non abbiamo approfondito: quello di Toby Fox.
Uno sviluppatore “pieno di determinazione”
Toby Fox, noto anche con lo pseudonimo Radiation, ha iniziato la sua scalata nel mondo della cultura underground del web creando una hack di EarthBound: la cosiddetta The Halloween Hack, ambientata diversi mesi dopo gli eventi del gioco su cui si basa. In seguito alla macabra scomparsa dei genitori di una ragazzina nella città di Twoson, il cacciatore di taglie Varik viene assunto per fare luce sul mistero, scoprendo gradualmente cose sempre più raccapriccianti. Nonostante la vena horror del titolo, è stato il talento musicale di Fox a renderlo noto: le sue composizioni per il fumetto multimediale di Andrew Hussie, Homestuck, lo hanno condotto a diventare parte integrante del team creativo dietro a quel progetto. Ad accomunare due cose tanto diverse è stato, appunto, un brano appartenente alla colonna sonora di entrambe: Dr. Andonuts’ Rage o, come lo ha ribattezzato l’autore in occasione di Homestuck, “Megalovania”.
Incredibile a dirsi, ma l’autore di una semplice hack di uno dei franchise Nintendo meno sfruttati si è ritrovato nel 2013 a ricevere il consenso della critica con il suo al tempo più recente progetto, già nella fase di finanziamento tramite Kickstarter: parliamo di Undertale, o “Undertale: l’amichevole RPG dove nessuno deve per forza morire”. Toby Fox ha unito in questo progetto lo stile artistico di EarthBound (per non dire di MOTHER in toto) alla bussola morale dei giochi di ruolo già sviscerata in Moon, gioco di cui Fox ammette candidamente la natura di precursore, anni prima. Il risultato è stato un titolo tanto incline ad essere rigiocato (in maniera non dissimile da NoviNews) quanto variopinto nel suo cast di molteplici personaggi.
Dopo un boom iniziale della fama della sua creatura e una fase di meme con cui gli internauti trovavano ovunque la presenza di cenni ad Undertale, e in seguito all’esordio dell’episodico secondo capitolo Deltarune, Toby Fox ha visto un’ulteriore spinta alla sua fama in un cameo dell’iconico Sans in Super Smash Bros. Ultimate come costume Mii (accompagnato da un esclusivo remix di Megalovania) e la partecipazione alla colonna sonora di Little Town Hero di Game Freak, andando così a chiudere il cerchio aperto nel mio scorso articolo di approfondimento. Ma che ne è stato, alla fine, di Shigesato Itoi?
La mamma ti aspetterà sempre, a casa tua
Mother 3, il terzo capitolo di MOTHER, doveva uscire per Nintendo 64 facendo affidamento alle potenzialità della periferica Nintendo 64DD – esclusiva al Giappone – con cui leggere speciali cartucce dell’allora imponente portata di 64 megabyte. La peculiarità del gameplay consisteva in un approccio randomico in stile The Binding Of Isaac, sfruttando lo scorrere del tempo alla stessa maniera di Animal Crossing. Annunciato nel 1996, Mother 3 ha persino fatto capolino sotto forma di corposi trailer, quanto bastava a farne intendere quantomeno un buon progresso nello sviluppo. Itoi, però, ha sempre preferito distinguersi più nella narrazione che nelle fantasiose idee di gameplay sperimentate da Nintendo sin da quando Wii non era altro che pura e semplice fantasia. Nel 2000, la cancellazione di Mother 3 ha fatto mettere il cuore in pace ai vari fan della serie sparsi per il globo mentre il resto di loro ha trattenuto il fiato in attesa di una smentita. La loro attesa è durata fino al marzo del 2006, quando lo stesso numero 50 di Nintendo: La Rivista Ufficiale (dal quale ho ricavato parte del materiale per questo articolo) ha confermato l’uscita, su Game Boy Advance, di Mother 3, prevista per un mese dopo.
Nonostante il fascino di stampo goffamente nipponico dell’umorismo presente nel gioco, alternato ai momenti commoventi che l’hanno elevato a magnum opus della serie (“Divertente, strano, straziante”, recitava lo slogan), Mother 3 non ha mai lasciato i lidi del Sol Levante. L’unico modo per godersi questo titolo è una (ottima) traduzione svolta da un gruppo di fan particolarmente alacri. A rigirare il dito nella piaga, il protagonista di Mother 3, il biondo fifone Lucas, ha affiancato Ness in Super Smash Bros. Brawl nel 2008: la rassegnata strafottenza del terzo Smash nel fare spoiler sul gioco da cui proveniva il nuovo arrivato ha tacitamente confermato la determinazione di Nintendo nel mantenerlo confinato al suolo giapponese.
La serie, ufficialmente, si è conclusa qui; Shigesato Itoi ha dichiarato, “stavolta preferisco essere io il giocatore”, incoraggiando così gli sforzi dei fan per dare vita al fangame Mother 4. Nel marzo del 2017, i creatori di questo apocrifo quarto capitolo hanno annunciato di voler cambiare il progetto (nomi, look, interfacce…) in modo tale da renderlo legalmente inattaccabile: visti gli sforzi degli avvocati di Nintendo nel preservare le loro proprietà intellettuali, questa scelta preventiva è stata comprensibile. Il seguito spirituale della trilogia di MOTHER è tuttora in lavorazione sotto mentite spoglie: una storia, questa, che vedremo dipanarsi in futuro.