Quello dei “survival” è un genere videoludico ancora abbastanza di nicchia, ma trattandosi per l’appunto di nicchie abbiamo a che fare con un numero minuto di fan pronto ad amare il suo genere preferito con un amore che conta per milioni. Forse è proprio questo che ha spinto il publisher indie QubicGames e lo sviluppatore Kayabros a mettersi in gioco con la loro variante del genere, Soul Searching.
Abbiamo in passato recensito i titoli di QubicGames con CHOP e Rimelands: Hammer of Thor, notando la loro tendenza ad accaparrarsi quanta più utenza possibile con un invitante sconto per chi già possiede altri giochi da loro pubblicati. Questo apre le porte a titoli di variabile qualità, ma altre volte può rivelarsi un autentico regalo. Potrebbe essere questo il caso anche per Soul Searching? Scopriamolo insieme.
“Fuori dal tempo e da questa realtà…”
Il primo impatto con la trama della modalità storia di Soul Searching è quasi spiazzante, al di là di un editor di personaggio di dubbia utilità data la scelta stilistica di unire un look in stile Minecraft per i personaggi alla pixel art con visuale dall’alto. Ma non finisce qui.
Diversi computer ci fanno domande esistenziali (in inglese, unica lingua del gioco oltre al turco) sul nostro intento di lasciare l’isola di partenza (“Homeland”, patria), mentre ci troviamo in un ambiente interamente astratto in cui prendiamo confidenza con i comandi di movimento. Prima ancora di essere in grado di rispondere anche solo a noi stessi, ecco che la stanza bianca astratta si dissolve lasciandoci inspiegabilmente sulle rive di un’isola deserta.
Nell’arcipelago che funge da universo narrativo al titolo, scopriamo di un’usanza importante: questo mondo va matto per il Soul Searching, un modo di approcciarsi all’avventura che si rivelerà cruciale anche nel modo in cui il giocatore si cimenta col titolo.
I “cercatori di anime” non sono semplicemente navigatori che esplorano il mondo, ma persone sensibili ed empatiche che fanno propri i crucci dei vari isolani. Lo diciamo sin da subito: nonostante lo stile grafico “pixelloso” con visuale a volo d’uccello, questo è un gioco apertamente, volutamente sgradevole, dove l’aggettivo si fa al tipo di crudezza vista nei film di Martin Scorsese. Già nella prima isola un nostro compaesano ci saluta con il rancore di chi sa che non ci vedrà probabilmente mai più, e sulle altre isole conosceremo presto depressi cronici, madri che hanno perso il loro primogenito durante la gravidanza, fatalisti, aspiranti suicidi e ogni genere di disagiati.
In tutto questo entra in gioco anche la mia divertita citazione ad Enrico Ruggeri nel titolo del paragrafo, perché l’esplorazione è intervallata a sporadici flashback monocromatici che rispecchiano una vita precedente, dove giochiamo in piccole mappe dal tema urbano che dispensano a spizzichi e bocconi un vago senso di quella che dovrebbe comporre la “lore” del gioco. Questi cambi repentini possono interrompere il passaggio da un’isola all’altra senza alcun preavviso, agendo occasionalmente da veri e propri jumpscare.
“… oltre i confini del corpo e dell’anima”
Il gameplay di Soul Searching è abbastanza minimalista, ma efficace nel suo approccio al genere della sopravvivenza, partendo dalle tre barre da non far svuotare: nel loro ordine da sinistra a destra: Fame, Sete ed Energia (cioè sonno). Per riempire le prime due non serve chissà quale fantasia, mentre la terza viene esclusivamente riportata al 100% con l’utilizzo del sacco a pelo sulla nostra barca.
La nostra imbarcazione gioca un ruolo da protagonista non meno centrale del nostro anonimo avatar. Ogni scorta di cibo che ci procacciamo sulle varie isole finisce automaticamente sulla barca, dove la consumiamo, così come l’acqua che riusciamo a reperire in ogni fonte. Tuttavia, per consumare automaticamente il cibo ci sono anche i fortunatamente infiniti banchetti che campeggiano sui tavoli della maggior parte delle isole come fonte di cibo separata, mentre l’acqua che raccogliamo nei vari laghetti ci disseta automaticamente. Proprio in questo emerge il minimalismo del gameplay: non c’è alcun menù per il nostro inventario, perché quel ruolo lo ricopre fisicamente l’imbarcazione stessa.
La barca si può anche personalizzare in due modi. Il primo, concettualmente il più semplice ed immediato, è quello di comprare una barca più grande, passando dalla zattera iniziale a mezzi di trasporto via via sempre più grandi. Il secondo, invece, consiste nell’acquisto di nuovi elementi con cui migliorarla, partendo dall’indispensabile canna da pesca che, consentendo di accaparrarsi scorte di cibo in mare aperto, rende i viaggi un po’ meno “suicidi”. Ogni altro elemento della barca, come remi, scalette per immergersi in acqua, tinozze, binocoli e quant’altro, può a sua volta venire “aggiornato”.
La navigazione, però, non è esattamente uno degli elementi più intuitivi di questo titolo, un vero peccato dal momento che le traversate marittime compongono parte della spina dorsale di Soul Searching. I remi vengono infatti gestiti singolarmente per virare nella direzione opposta al loro lato (remare a destra per virare a sinistra, dunque) mentre solo le imbarcazioni più piccole consentono di usarli entrambi per remare in avanti. Purtroppo questo riporta alla mente la sciagurata scialuppa del Monte Corona di Super Mario Sunshine, ma per fortuna esistono appunto i negozi, comprensivi anche di timone (con il quale la navigazione diventa finalmente “comoda”), motore e remi aggiuntivi, come detto poco fa.
La valuta del gioco è semplicemente l’Oro, e prende la forma di piccole pepite disposte convenientemente sui molti litorali del gioco, quando va bene. Quando invece va male, bisogna usare la scaletta per immergersi in acqua durante le traversate, esponendosi prevedibilmente a una quarta barra, quella del respiro, e avendo cura di non svuotarla andando incontro a un prematuro annegamento. Per nostra fortuna, è sempre disponibile sulle isole un mercante disposto a pagare cinque dei nostri oggetti commestibili con altrettanti pezzi d’oro. Usare questo stratagemma insieme alla pesca può rivelarsi cruciale per stare a galla anche economicamente.
Immergersi, però, può essere a sua volta vitale quando entrano in gioco i draghi, parte integrante dell’immaginario offertoci dalla trama di Soul Searching e uno dei pericoli maggiori incontrabili durante il gameplay. Al di fuori del benevolo dragone verde che ci raggiunge solo per conversare, quelli rossi sono apertamente ostili, e mentre l’attacco di uno solo permette la sopravvivenza buttandosi in acqua, quando arrivano in gruppi di quattro abbiamo a che fare con una situazione che si traduce solo nell’equivalente di una schermata di Game Over dai lunghi tempi di caricamento. In fase di recensione infatti il nostro personaggio ha perso i sensi per non aver avuto il tempo di dissetarsi, ma al risveglio ci siamo trovati a bordo della nostra barca privi sia di cibo che della possibilità di muoverci; su questo, però, ci soffermeremo più avanti.
Non che gli altri pericoli siano una passeggiata, però: può capitare anche di imbattersi in tempeste violente, corvi che ci rubano il cibo, rapaci giganteschi che ci strappano dalla barca o, semplicemente, di affrontare una lunga traversata senza avere con sé le provviste necessarie. Fortunatamente, però, possono venire in nostro soccorso altri ignari navigatori, sulle cui zattere possiamo trovare delle provviste con cui aumentare le nostre mentre i poveretti stanno ancora dormendo. In mancanza di comandi mirati esplicitamente al combattimento, poi, è davvero conveniente vedere altri futuri naufraghi intenti a dormire sugli allori (o giacere esanimi; il gioco non ci dà modo di capirlo).
Più avanti Soul Searching introduce il concetto di magia esplorando di più il tema delle anime a cui allude il titolo, ma è difficile parlarne senza fare spoiler: diciamo solo che uno dei tuoi compaesani sa bene di che parla quando ti suggerisce di andare su un’isola ben precisa, e che le anime in questione consistono nei piccoli vortici colorati che fanno capolino a più riprese anche in mare aperto. Una volta toccate, ci seguiranno permettendoci di compiere incantesimi, agendo da veri e propri punti magia. Il gioco, come fa con ogni sua meccanica, non spiega questo in modo del tutto chiaro, e in fase di recensione abbiamo appreso il funzionamento di questa meccanica in seguito a quello che riteniamo essere il peggior difetto del gioco, seppur in maniera indiretta: gli autosalvataggi.
Il gioco salva i progressi in automatico in due occasioni: ogni volta che passiamo dalla barca alla terraferma e viceversa, e quando perdiamo i sensi. In quest’ultimo caso, per svenire può bastare lo svuotamento di una qualsiasi delle barre, che a seconda del contesto può anche causare la nostra morte e riportarci all’ultimo salvataggio effettuato in condizioni di sicurezza. Il problema, però, è quando questo non avviene.
Continuare, di fronte ad un Game Over, può dimostrarsi davvero l’opzione più “dolorosa”. In seguito all’attacco di quattro draghi contemporaneamente, il gioco ci ha fatto svenire in mare aperto, lasciando però la barca nelle condizioni pietose in cui i dragoni l’hanno ridotta: nello specifico, con un solo remo rimasto come unica parte integra. Avendo noi già descritto qui i movimenti delle barche nel gioco, va da sé che il nostro mezzo può muoversi solamente in cerchio, rendendo così ingiocabile questo titolo indie. Un vero peccato, specie a fronte dei numerosi pregi che il gioco ha messo sul piatto prima di obbligarci a iniziare una nuova partita.
Ad ogni modo, le meccaniche più sibilline (come la magia) sono risultate subito chiare una volta riesplorata con maggiore attenzione una delle isole. Non è positivo che il gioco ci porti ad andare così tanto a tentoni, ma a conti fatti c’è una spiegazione quasi per tutto. Ad esempio, una volta che si sviene un enorme cetaceo emerge dalle profondità marine per sollevare la barca, e radunando le anime circostanti è possibile parlare con la colossale creatura per farsi spingere a rotta di collo verso l’isolotto al centro dell’oceano, a patto ovviamente di avere una barca in condizioni decenti.
Spendiamo infine due parole sulle modalità aggiuntive, partendo da una modalità quasi “arcade”, chiamata “Random Mode”, dove le isole vengono piazzate casualmente, non ci sono salvataggi di sorta (non che sia un male!) e, cosa più importante, si può giocare insieme fino a quattro giocatori. Per accomodare questa aggiunta, i personaggi non giocanti vengono privati del dono della parola.
Le “short stories”, invece, sono proprio ciò che intende il loro nome: siparietti di breve durata nei quali il gioco narra delle piccole storie vagamente correlate al gioco in sé (salvo una che replica lo svolgimento narrativo di uno dei flashback) e completamente surreali sia nella forma del messaggio che, talvolta, nel suo contenuto.
Ro-bit-son Crus-8
Avviciniamoci agli ormeggi di questa recensione parlando del comparto tecnico, partendo dalla grafica. Non c’è molto da dire in merito: abbiamo un ibrido tra la visuale dall’alto di Grand Theft Auto, una grafica dall’indubbio sapore retrò e la scelta di un avatar dal look tipicamente minecraftiano che presenta opzioni di personalizzazione limitate e pressoché inutili nel contesto in cui vengono inserite. Un aspetto meno “quadrato” per i personaggi del gioco, se fosse stato più ragionato tramite sprite più riconoscibili, avrebbe indubbiamente giovato. Per il resto, però, questa direzione artistica fa il suo lavoro e, il più delle volte, trasmette al giocatore il quadro generale dell’azione in modo chiaro, nitido e pulito.
Artisticamente parlando, però, è nel comparto sonoro che il gioco spalanca davvero le sue ali maestose. Se il fattore grafico è paragonabile a un assist, proseguendo la metafora calcistica è qui che Soul Searching va a segnare in rete. La scelta di presentare un voluto contrasto tra un motore grafico quasi arcaico e una colonna sonora paragonabile a tratti a un album dei Pink Floyd è da applausi a scena aperta: tra strumenti a corde i cui pizzicati sembrano lasciar trasparire l’anima del compositore e sonorità rock durante i flashback in bianco e nero. Un lato del gioco, questo, che sa anche quando tacere, passando al silenzio in favore del rumore della pioggia con un tempismo che denota rara maestria. I dialoghi del gioco, invece, vengono ritmati dai tipici mugugni di The Sims ed Animal Crossing, rendendo paradossalmente le frasi più angosciose del gioco ancora più efficaci e sferzanti. Promosso a pieni voti.
Per quanto concerne le ultime note sul gameplay, non c’è molto da dire. Spesso e volentieri l’esasperata ricerca del realismo nell’industria videoludica porta a prodotti eccelsi dal punto di vista tecnico, ma meno ispirati per quanto riguarda il loro fine ultimo di intrattenere il giocatore. A Soul Searching va riconosciuto il merito di aver tentato di ridurre l’ingombrante realismo al minimo, ma certe sbavature come il già citato utilizzo dei remi (e il gravissimo cul-de-sac in cui il giocatore può trovarsi) vanno comunque a ledere un’esperienza altrimenti molto più valida come introduzione al genere survival.
Arriviamo al porto con la longevità, dove veniamo a patti con l’effetto “a fisarmonica” del gioco: al di fuori dei surreali ed esistenzialisti siparietti offerti dalle “Short Stories” e dalla modalità “rapida” dall’indubbio sapore arcade, quando è avvenuto “l’incidente” abbiamo impiegato grossomodo un’oretta scarsa per tornare dove eravamo arrivati, esplorando bene o male tutte le isole segnate sulla mappa ottenibile a inizio gioco. Questo titolo può essere tanto congeniale agli speedrunner, quanto punitivo con loro. Arrivare impreparati a uno scontro in mare può rivelarsi fatale per il personaggio o, in caso di “malaugurata salvezza”, per l’intero salvataggio. Il ritmo del gioco dipende dal giocatore, nel bene e nel male, ma generalmente è un’esperienza meglio gustata lentamente.
Per i dieci euro che chiede il gioco, questo acquisto non è particolarmente gravoso ma va comunque ponderato in base a ciò che Soul Searching propone: se sei pronto a metterti in gioco, all’eventualità di dover rifare tutto da capo e se artisticamente ti convince, questo gioco ha ottime possibilità di meritarsi un posto fisso nel menù Home della tua Nintendo Switch. Altrimenti, rimane comunque consigliato per la sola colonna sonora, ma non senza approfittare prima di un doveroso sconto.