Abbiamo raccontato del successo di Nintendo DS, l’ultima volta che io e te abbiamo parlato a quattr’occhi. Però va anche detto che il successo della console a due schermi è stato un po’ un goal a porta vuota: PlayStation Portable ha avuto anch’essa una buona dose di successo, è vero, ma entrare in diretta competizione con Nintendo nel suo regno, quello delle console portatili, poteva rivelarsi commercialmente fatale.
Nel caso del Nintendo GameCube, però, la situazione era un po’ diversa. Nintendo, poco dopo il debutto di Nintendo DS, era nota per quattro cose: essere innovativa, essere la casa di produzione hardware “per bimbi”, creare console resistenti, ed essere il fanalino di coda delle console wars. Quest’ultima debolezza, lo ricordiamo nuovamente, riguardava unicamente il mercato fisso, poiché sia Game Boy Advance che Nintendo DS al tempo se la stavano passando più che bene.
Le terze parti, giunte a questo punto, a stento volevano avere ancora qualcosa a che fare con Nintendo. Alcuni giocatori credevano che Nintendo volesse concentrarsi unicamente sulle console portatili, o addirittura “fare Sega” diventando a loro volta uno sviluppatore di terze parti come è successo, appunto, proprio a Sega stessa.
“Eh… volevi!”
Nell’escalation di costi data dalla guerra fredda tra Sony e Microsoft, si credeva che Nintendo non potesse competere; in risposta a questo, la Grande N rispose preparando una nuova console. Nintendo Revolution, com’era allora noto il successore di GameCube, rispondeva a ognuno degli stereotipi della casa di Kyoto finora menzionati: una console innovativa e resistente per famiglie. Stavolta, però, il fanalino di coda l’avrebbe fatto qualcun altro. Era appena nato Nintendo Wii.
L’unico modo possibile per replicare la rivoluzionaria intuitività di Nintendo DS era quello di andare a ripescare il concetto di Duck Hunt (che si tratti del videogioco o dell’omonimo giocattolo che lo precedette): un telecomando che facesse da puntatore per “toccare” lo schermo, ma con il quale potersi affidare anche a controlli di movimento grazie a un accelerometro. Il risultato di tutto questo era semplicemente chiamato Telecomando Wii, o in inglese Wii Remote, più comunemente soprannominato Wiimote.
Impugnando lateralmente il Wiimote, il risultato sarebbe stato un controller del NES.
La semplicità del Wiimote, dunque, si è rivelata efficace su due fronti: sia intendendolo come telecomando, sia utilizzandolo come rimando a uno dei primi controller concepiti da Nintendo. Ma non bastava la sola intuitività fine a sé stessa per vendere una console; per metterla davvero nelle mani di tutti, sarebbe stato vitale sacrificare uno dei pedoni più importanti della scacchiera. E la regina, in questo gioco, è il prezzo: Wii è stato venduto in Giappone all’equivalente di duecento dollari, senza alcun gioco incluso, e per una cifra intorno ai duecentocinquanta altrove in bundle con Wii Sports.
A dirla tutta, sacrificare la regina è stato relativamente facile: è bastato rinunciare a molte delle feature che la concorrenza dava per scontate. Il fulcro della ragion d’essere di Wii era il gaming puro: in altre parole, niente lettura di DVD e CD, nessun supporto all’alta definizione, e un utilizzo molto limitato della connettività. Il marketing di Wii, poi, ha enfatizzato molto sul target a cui la console era rivolta, cioè l’intera famiglia, spedendo la console sugli scaffali nella sua scocca dalle tinte d’avorio capaci di fare invidia all’iPod.
Orientali’s Karma
Il giorno di lancio di Wii è stato la definizione stessa della differenza tra “minoranza vocale” e “maggioranza silenziosa”. La gente “del mestiere”, primo fra tutti l’analista di mercato Michael “ne azzeccassi una che sia una” Pachter, ha visto nel monolito bianco di Nintendo la lapide della compagnia. Sorprendendo la stampa di settore, gli scettici e i detrattori, la console ha venduto bene da subito, e pure tanto.
La vittoria schiacciante di Wii sin dal day one, con vendite senza precedenti, l’ha resa l’hardware di maggior successo della settima generazione di console. Fino al 2008, a ben due anni dall’uscita, Wii è stato un continuo oggetto del tutto-esaurito presso ogni rivenditore del globo, poiché “tutti, e pure i loro nonni” (letteralmente) e volevano una.
Il successo è stato tale che nel 2010, a quattro anni dall’uscita di Wii, la decisione di Sony e Microsoft – che a loro tempo derisero lo “sciocco leccalecca” di Nintendo – di fornire la loro versione del motion control (rispettivamente, PlayStation Move e Kinect) venne accolta dalle più svariate accuse di ipocrisia. A rendere questo schiaffo metaforico ancora più eclatante nel suo contesto è la potenza grafica della console, spesso appropriatamente riassunta come “due GameCube tenuti insieme dal nastro adesivo”.
Molti dei componenti interni di Wii erano infatti basati sul suo predecessore, già di suo un ottimo hardware a suo tempo, mirando però a una potenza ben maggiore. Un’ottima analogia è paragonare PlayStation 3 a una Ferrari, Xbox 360 a una Lamborghini, e Wii a una Fiat 500 Abarth: concettualmente semplice, ma assai funzionale.
Negozi online e gioco non-line
A livello di console fisse, con Wii abbiamo avuto il debutto di Nintendo con l’online, e anche qui la Nintendo Difference si è presentata… ma in senso negativo, grazie all’odiata meccanica dei codici amico, nelle generazioni successive fortunatamente abbandonati in favore dei ben più semplici username.
Nonostante i singhiozzi, Wii ha presentato uno dei migliori negozi online del suo tempo, il Canale Wii Shop, diviso in WiiWare (fondamentalmente un punto di ritrovo per i titoli indie minori, soggetti però a un opprimente tetto massimo per quanto riguardava le loro dimensioni) e nella Virtual Console.
Quest’ultima era (ed è stata in seguito su Wii U e Nintendo 3DS) la definizione stessa di “prendere due piccioni con una fava”: un’ulteriore fonte di guadagno con cui Nintendo poteva accontentare i fan più esigenti, presentando al contempo una scappatoia, un cavillo tramite un’alternativa legale all’emulazione, in quanto viene così resa illegale (anche a livello concettuale) quella gratuita.
Purtroppo la mancanza di un vero supporto esterno di memoria fino alla primavera del 2009 ha costretto molti degli utenti di Wii a “giocare a Tetris” con la memoria delle loro console, piuttosto che con il puzzle game stesso.
Inoltre, per quanto minore rispetto al passato grazie al più ampio bacino di utenza accaparratosi da Wii, la tendenza di snobbare un sistema Nintendo da parte delle terze parti si è dimostrata più dura a morire che mai: quando andava bene, arrivavano solo port assemblati in modo frettoloso e grossolano, mentre la situazione iniziò a cambiare solo in seguito, quando le vendite di Wii divennero impossibili da ignorare.
In risposta agli scetticismi, ci si chiede se un successore spirituale di un beat-em-up di nicchia (MadWorld) o un titolo strategico/gestionale con un giovanissimo re come protagonista (Little King’s Story) avrebbero venduto decentemente su altri sistemi.
Comunque, nonostante una percezione di grafica e potenza “inferiori”, Wii non ha rallentato la sua scalata del podio per un secondo, vendendo spesso e volentieri tanto quanto le altre console, superandole a più riprese durante i picchi di vendite dovuti all’occasionale killer app del momento. Molte delle congetture che davano Wii per spacciata all’inizio del suo ciclo vitale sono state le “ultime parole famose”, compreso un Pesce d’Aprile di GameSpot sull’ipotetico successo di Wii che è invecchiato molto, molto male.
Un’altra cosa in cui Nintendo è stata un’autentica pioniera è stata la presenza di avatar personalizzabili, i Mii: questi “omini gonfiabili”, riproposti anche su Nintendo 3DS, Wii U e Nintendo Switch, nella versatilità del loro editor hanno rispecchiato da sempre l’intenzione di Nintendo di comunicare a tutti i giocatori a cui si rivolgeva, cioè… a tutti. Ma al di là di questa inclusività, cosa possiamo dire della libreria disponibile per la console?
“Una line-up wiincente”
Citare in questo sottotitolo la pubblicità con cui Sega – tramite un gioco di parole imbarazzante – annunciò il suo supporto a Wii sulle riviste di settore è una scelta obbligata. La semplicità dei comandi di Wii che ha messo la console in mano a giocatori di ogni target e di ogni età si è, prevedibilmente, rivelata un’occasione troppo ghiotta perché qualunque sviluppatore – di terze parti e non – potesse resistervi. Il risultato sono stati molti videogiochi che hanno saputo sfruttare la novità in modo intelligente.
Purtroppo, spesso e volentieri nel caso di alcuni titoli (ad eccezione di WarioWare: Smooth Moves) i controlli di movimento sembravano essere una prerogativa irrinunciabile. Al di fuori di Super Mario Galaxy e del suo seguito, entrambi capolavori capaci di rendere quantomeno tollerabile quest’obbligo, nel caso di altri giochi questa eccitante innovazione è invece andata a ledere la solidità del gameplay.
A farne maggiormente le spese sono stati i platformer a scorrimento laterale, due fra tutti New Super Mario Bros. Wii e Donkey Kong Country Returns. Entrambi richiedevano rigorosamente l’utilizzo laterale del Wiimote, ma nonostante un layout dei comandi ottimale per quanto concerne un platformer dal gameplay tipicamente bidimensionale, l’obbligo di scuotere il controller per compiere determinate azioni (soprattutto per Donkey Kong Country Returns) andava ad aggiungere un inutile strato di difficoltà.
Va anche detto, però, che non tutti i mali – in fatto di controlli – sono venuti per nuocere, e a volte hanno pure portato qualcosa di buono nelle varie proprietà intellettuali di Nintendo (e non) che ne sono state coinvolte. L’esempio più lampante è quello di Mario Kart Wii, riguardo al quale possiamo dire solo due cose negative: aver giocato un mero ruolo di tappabuchi per tutti coloro i quali erano in febbricitante attesa di Super Smash Bros. Brawl in Europa (confronta le date di uscita dei due titoli e capirai) ed essere una autentica fabbrica di imprecazioni in giocatore singolo.
Per il resto, l’episodio Wii della serie motoristica di Mario ha nascosto ore di divertimento sotto le mentite spoglie di una veste grafica pressoché identica a Mario Kart: Double Dash!!, grazie a un’implementazione quasi magistrale del Wiimote, per l’occasione trasformatosi in un volante.
Avere un telecomando che facesse anche da puntatore, poi, oltre a riportare in auge l’altrimenti morto e sep
olto genere delle avventure grafiche (come si è visto con Zack & Wiki), è stato una manna dal cielo per gli sparatutto, come ci ha dimostrato ampiamente Metroid Prime 3: Corruption. Per giocarlo, come è stato il caso dei due Super Mario Galaxy e della boxe in Wii Sports giusto per fare qualche esempio, era necessario il Nunchuk, la periferica che estendeva le funzioni del Wiimote dotandolo di una leva analogica capace di trasformare il controller in qualcosa di più tradizionale.
Per un’esperienza classica a 360 gradi, però, era necessario il Controller Tradizionale vero e proprio, venduto separatamente. Diversi giochi ne facevano uso, compresi Mario Kart Wii e Super Smash Bros. Brawl, ma lo scopo primario del Controller Tradizionale era la Virtual Console già citata.
Non che Nunchuk e Controller Tradizionale fossero le uniche periferiche, tutt’altro: l’era Wii ha presentato uno tra i più alti numeri di add-on mai visti per una console Nintendo, tra il volante Wii Wheel per Mario Kart Wii e la Wii Zapper inclusa in bundle con Link’s Crossbow Training (o viceversa) indispensabile per giocare a The Conduit, passando per la Wii Balance Board con cui abbiamo imparato ad amare (ed odiare) Wii Fit.
Addirittura esistono varianti multiple del Controller Tradizionale, che vanno dai “maniglioni aggiuntivi” del Controller Tradizionale Pro al design del controller di Nintendo GameCube riportato sul palcoscenico appena in tempo per l’uscita del terzo Smash.
Pilates e pirates
Per quanto riguarda la pirateria che ha contraddistinto Nintendo DS, pur non presentando lo stesso Far West, la situazione ha visto un continuo gioco di guardie e ladri tra Nintendo e gli hacker. I frequenti aggiornamenti di sistema (quelli “di stabilità”, per citare l’avvocatese con cui Nintendo tuttora maschera le sue ispezioni nelle console) hanno incluso patch con cui chiudere le scappatoie sfruttate dagli hacker.
La scena homebrew – che, come dice il nome, include[va] anche i titoli amatoriali – si è dimostrata attiva fin da subito, grazie ad esempio all’Homebrew Channel notoriamente installato grazie a una falla nella programmazione della versione Wii di The Legend Of Zelda: Twilight Princess.
Anche la riproduzione non autorizzata di DVD è stata resa possibile dagli hacker, anche se stando a Nintendo sarebbe necessario un upgrade all’hardware in quanto la lettura dei filmati è logorante per il lettore di dischi. La Grande N non mente: tecnicamente, la poca memoria interna della console – usata per il buffering – rende necessaria una rotazione del disco molto veloce al fine di evitare caricamenti lunghi, finendo per accorciare eccessivamente la speranza di vita del lettore ottico.
Il canto del cigno e la rinascita della fe-Wii-ce
Gli ultimi anni di vita del Wii hanno visto la console andare in pensione con dignità con due revisioni. La prima, nel 2011, è stata la Family Edition di Wii, con la quale la console si è presentata in vari colori in tema con il gioco incluso in bundle. Per quanto identica all’originale in forme e dimensioni, l’abbandono alle porte per i controller del GameCube (in una situazione analoga allo slot per cartucce Game Boy Advance nel Nintendo DSi) per contenere i costi ha limitato le opzioni di controllo per giochi come Super Smash Bros. Brawl, Mario Kart Wii e GoldenEye 007.
La seconda ed ultima incarnazione economica di Wii, uscita in Canada e anche da noi quasi in sordina, è stato il rosso Wii Mini: piccolo, compatto e interamente concentrato sull’utilizzo offline del Wiimote. In altre parole, la versione ridotta si è rivelata perlopiù una macchina per giocare a Wii Sports (ed eventualmente altri titoli Wii, ovvio, tenendo però sempre a mente le limitazioni nei controlli), il cui prezzo contenuto le è valso una ristretta cerchia di appassionati.
La sfera online di Wii si è eclissata nella primavera del 2014, scrivendo a chiare lettere la parola fine sulla vita della console, sebbene l’ultimo titolo di Wii può fregiarsi del 2019 come anno di uscita: l’onore spetta infatti a Just Dance 2020, che per amor di retrocompatibilità (e di bacino di utenza) vede Ubisoft “ben contenta” – su sua stessa ammissione – di saltare il successore della console, lo sfortunato Wii U.
Infatti, il 2014 è stato anche l’anno in cui quest’ultima console era nel pieno del suo ciclo vitale, nonché dei suoi guai: il fatto che l’appena citato Just Dance 2020 l’abbia saltato è emblematico della relazione complicata che Ubisoft aveva instaurato con Wii U. A dimostrazione di ciò, una certa scappatella dela software house francese con altre console nel caso di Rayman Legends è stato il casus belli che ha fatto da apripista al fuggi-fuggi generale che ha visto tutte le terze parti abbandonare la nave. Ma questa è un’altra storia, per un altro giorno.