I parchi di divertimento, come dice la stessa protagonista di The Park, sono luoghi magici in cui il mondo esterno e le sue problematiche restano fuori, anche gli adulti ritornano bambini.
Tanta gioia nasconde, almeno per i genitori, un grande timore: quello di perdere il proprio pargolo all’interno di queste enormi e affollatissime strutture.
Immagina quindi quanto possa essere peggiore la situazione se tutto avviene quando il parco è chiuso e con il calare delle tenebre tutto sembra molto più inquietante.
Quando il peggiore incubo diventa realtà
Questo è quanto avviene in The Park, horror psicologico appartenente al filone dei walking simulator. Uscito in origine nel 2015, si tratta di uno spin-off sperimentale di The Secret World, MMORPG di Funcom uscito qualche anno prima, che condivide gli stessi personaggi e le stesse ambientazioni.
In questo titolo esplorativo in prima persona, The Park ci vede esplorare l’Atlantic Island Park in cui il nostro amato pargolo si è intrufolato per cercare il suo amato orsacchiotto di peluche, in concomitanza con la chiusura del parco. Per trovarlo dovremo attraversare case stregate e attrazioni terrorizzanti, cercando di mantenere un briciolo di sanità mentale e trovare il piccolo prima che sia troppo tardi.
La protagonista del gioco è Lorraine, una giovane madre che appare sull’orlo della depressione cui sembra essere capitato qualcosa di sbagliato, tanto da fiaccarla dal punto di vista psicologico.
L’avventura inizia con Lorraine all’ingresso del parco, intenta a cercare il peluche del figlio Callum; mentre parla con un membro dello staff, il bambino svicola nei tornelli riuscendo ad entrare. Una volta sbloccato l’ingresso, la giovane madre inizia ad inseguire il figlio, che da questo momento in poi rimarrà sempre un passo avanti a lei.
Improvvisamente, non appena una voce in filo diffusione dichiarerà chiuso il parco, calerà la notte, rendendo tutto molto più tetro.
Nei panni di Lorraine, attraversando le varie attrazioni di questo enorme parco, dovremo sconfiggere le nostre paure e tenere a bada le emozioni per ritrovare Callum in una storia strappalacrime e non adatta ai deboli di cuore.
Man mano impareremo sempre più sull’Atlantic Island Park, sulla sua storia e sulle tragedie consumate al suo interno; contemporaneamente cominceremo a capire cosa è successo a Lorraine.
L’ambientazione riveste un ruolo importante nell’economica del gioco. E’ vero, potremo avanzare rapidamente attraverso le varie sezioni, ma in questo modo perderemmo molti elementi utili a capire cosa stia realmente succedendo.
Ci sono numerosi oggetti sparsi per il parco, principalmente scritti da leggere, che ci aiutano a comprendere cosa stia succedendo e perchè.
Scovarli aiuta a rendere il titolo più godibile, dal momento che non ci sono poi così tante cose da fare; anche rintracciarli non è poi così difficile dal momento che sono evidenziati e una vibrazione ci avverte quando saremo in prossimità di uno di essi.
Potremo anche chiamare Callum, funzione utile dal momento che il pargolo ci risponderà sempre, consentendoci di capire quale direzione prendere nel caso ci dovessimo perdere o fossimo indecisi sul percorso da seguire.
Per sfruttare al meglio questa meccanica il gioco ci consiglia di utilizzare delle cuffie. dal momento che attraverso gli altoparlanti il feeling non è così buono; per fortuna si tratta di una caratteristica utile, ma non indispensabile dal momento che il level design ci consente di avanzare in maniera abbastanza lineare.
The Park spaventa il giocatore in modo diverso rispetto agli altri horror sul mercato; pur essendo pieno dei tipici cliché del genere, mancano tutti quegli elementi che possono rovinare questo tipo di giochi. I jumpscare sono ridotti all’osso, con la maggior parte dei brividi causati dalle ambientazioni inquietanti o dai risvolti psicologici di quello che vediamo.
Per certi versi potremmo paragonare The Park ad alcuni racconti di Stephen King, con i loro cliché e l’orrore delle cittadine di provincia, tuttavia ci sono anche richiami ad altre tipologie di horror disseminati nel parco.
Segnali di Stile
Graficamente, il titolo è un po’ carente, con un aspetto grafico old gen che a tratti ricorda i titoli per PlayStation 3 e Xbox 360. Era senza dubbio un aspetto su cui lavorare, dal momento che pur girando abbastanza bene anche in modalità handheld, il gioco non ha un aspetto particolarmente riuscito.
Per quanto non sia necessariamente un aspetto in grado di inficiare l’esperienza di gioco, con un titolo in cui il gameplay è ridotto all’osso e non facciamo altro che muoverci, avere ambienti più dettagliati non avrebbe fatto male.
Abbastanza decente sia il comparto sonoro, specialmente con un paio di cuffie, che la localizzazione, limitata ai soli testi.