Wii U è uscito il 18 novembre del 2012 in America, il 30 dello stesso mese in Europa e Australia, e infine ha raggiunto gli scaffali della sua nipponica patria solo l’8 dicembre. Grazie anche alla struttura interna di Wii presente nella console, Wii U era compatibile con i giochi del suo predecessore e poteva persino usarne le periferiche con il nuovo software.
Dedichiamo questa retrospettiva a una console dalle premesse intriganti e dal potenziale straordinario, sebbene sappiamo già che questa storia non avrà un lieto fine. Perché, persino per gli standard delle console fisse di Nintendo, Wii U l’hanno preso in quattro gatti? Perché un’idea tanto solida si è tradotta in un disastro simile? Siamo qui, cappello alla mano, per riscoprirlo.
Controller di un certo peso
Ciò che ha distinto Wii U dalla concorrenza è stato il GamePad, enorme controller comprensivo di un touch screen da sei pollici circa (nonché di altoparlanti, microfoni, obiettivo interno, vibrazione, giroscopio e accelerometro) con il quale si poteva giocare senza usare per forza il televisore. Non si trattava però di una console portatile vera e propria, in quanto faceva esclusivamente da terminale wireless (con un segnale di portata alquanto miope) per la piattaforma.
Questa rivoluzione, oltre a permettere a due giocatori di fare a meno dello split-screen, ha permesso alla console di diventare la piattaforma di riferimento per il concetto di multiplayer asimmetrico: un giocatore usava il GamePad come se fosse una sorta di “game master”, con un ruolo diverso da tutti gli altri (un po’ come in Pac-Man VS. per Nintendo GameCube – tre giocatori su console come fantasmi, uno su GBA come Pac-man – per intenderci). Il risultato rendeva possibili partite a nascondino e altre idee similari esplorate già nel titolo di lancio per la console, NintendoLand.
Le altre due funzioni del GamePad comprendevano il supporto alla tecnologia NFC, ovvero near-field communication, rendendo il controller capace di rilevare la presenza di oggetti compatibili nelle vicinanze come piccoli pupazzetti di plastica e carte (in altre parole, gli amiibo), nonché carte di credito che supportano l’NFC. Ironicamente, l’idea di usare un touch screen era nei piani anche per Wii, ma Nintendo optò per i controlli di movimento tenendo da parte lo stilo per la generazione successiva.
Dopo i successi in tandem di Nintendo DS e Wii, la confidenza della Grande N era ai massimi storici. Poiché Wii ha capovolto le vendite letargiche di Nintendo 64 (massacrato da PlayStation) e Nintendo GameCube (caduto sotto i colpi di PlayStation 2 e Xbox), le speranze risiedevano tutte in Wii U per tornare alla vetta del dominio nel mercato delle console fisse.
Non solo, Nintendo ha rilasciato Wii U prima di Xbox One e PlayStation 4, ottenendo così un vantaggio temporale vertiginoso: la stessa strategia è stata usata da Xbox 360 uscendo un anno prima di PlayStation 3 e Wii, sebbene quest’ultimo abbia abbondantemente vinto. Tutto ciò che serviva a Nintendo era la possibilità di accaparrarsi le simpatie del pubblico dei “casual” con il brand di Wii, senza però tralasciare il bisogno di conferme (specie per le terze parti) dei giocatori hardcore. Così facendo, la console “stampasoldi” sarebbe stata assicurata… giusto?
Inaffondabile come il Titanic
La versione breve è che Wii U ha seguito la console fissa di Nintendo di maggior successo… con le vendite peggiori che la storia di Nintendo ricordi. (Virtual Boy permettendo, ovvio.) Le cause di questo flop epocale sono da imputare a una moltitudine di fattori: li analizzeremo qui sotto, senza seguire un ordine ben specifico. La situazione fu simile a quanto ho detto di Byleth – un ottimo concetto rovinato dal tempismo. Prepariamoci all’autopsia: ne avremo per un po’.
In primo luogo, il marketing di Nintendo è stato disastroso. Il nome della console creava confusione e basta: doveva essere un gioco di parole tra “noi” (“we”, pronunciato Wii in inglese) e “tu/voi” (“you”, che si abbrevia con la lettera U data la pronuncia analoga), ma sarebbe stato molto più diretto l’approccio classico di un “Wii 2” o di un “Super Wii”. Il trailer iniziale stesso suggeriva che il GamePad fosse “la periferica Wii U” per il caro vecchio Wii: quando, a ridosso del lancio, Nintendo specificò più e più volte che le due erano a conti fatti due console ben distinte, era troppo tardi.
Poi c’è la questione hardware. Con tutta la tecnologia riversata nel GamePad, Nintendo rimase con una console che – almeno sulla carta – era due volte più potente di PlayStation 3 e Xbox 360, ma che in pratica stava per venire travolta dai successori delle due, che erano dietro l’angolo. Inoltre Wii U aveva dei limiti tecnici autoimposti per evitare il surriscaldamento della console, il che portò ad alcuni port al tempo “last-gen” che apparivano peggiori delle loro controparti su Xbox 360 e PlayStation 3.
Per quanto Nintendo “l’abbia fatta franca” con Wii, il prezzo modico della console e la killer app venduta in bundle con esso ne hanno reso immediato e lampante l’appeal. Inoltre Wii aveva il beneficio di avere un hardware simile alla longeva PlayStation 2, dando agli sviluppatori un motivo per creare videogiochi multipiattaforma divisi tra versione PS3/360/PC e versione PS2/Wii.
Parlando di giochi, la penuria di software ha dilaniato questa console come poche altre. La Grande N ha enfatizzato molto il supporto delle terze parti, e Wii U è stata la console Nintendo dalla line-up di lancio più ricca vista fino ad oggi. Gli sviluppatori non sono mancati, nel primo anno: c’era ancora aria di gallina dalle uova d’oro, del resto. Tuttavia, nonostante i mesi di anticipo da parte di Wii U, il bacino d’utenza delle sue vere rivali – quelle che “dovevano ancora uscire” – superò quello della console Nintendo in meno di un anno.
Tra meno giocatori e hardware più debole, le terze parti hanno abbandonato la nave in fretta, incapaci di giustificare i costi di sviluppo per la console. In aggiunta, i kit per sviluppatori (versioni speciali delle console) erano un tipo di hardware per cui era notoriamente difficile sviluppare giochi. Per questo motivo, Nintendo dovette rimboccarsi le maniche e “fare da sola”; tra un passaggio tardivo all’HD e il peso di Nintendo 3DS, i periodi di magra erano tanti. Il risultato è stato quello di chiudere i battenti con solo 163 videogiochi pubblicati fisicamente (quello di eShop è un discorso a parte), ancora meno dei 296 di Nintendo 64. Un quarto del software Wii U veniva da Nintendo stessa.
Infine, Wii U aveva un’infrastruttura online ai limiti del minimalismo se confrontata anche solo con PlayStation 3 e Xbox 360: qualunque feature al di fuori del multiplayer online non era contemplata. Gli sviluppatori ebbero pure problemi nel creare DLC su questa console, dati i limiti per le dimensioni delle patch imposti da Nintendo stessa. Poiché al tempo i cosiddetti games-as-a-service stavano prendendo piede come modello di business proficuo, i giochi più dipendenti dal supporto online non arrivarono su Wii U, indipendentemente da quanto gravosi potessero essere per l’hardware.
Varare la nave con lo spumante del discount
Prima del lancio, il toto-prezzo era un gioco molto in voga tra gli appassionati Nintendo. Reggie Fils-Aimé, al tempo il carismatico presidente di Nintendo of America (e oggi solo carismatico), fu sibillino fino all’ultimo: Wii U avrebbe avuto “un prezzo competitivo”, ma non sarebbe stato “economico”. Il lancio negli Stati Uniti avvenne con due versioni: una bianca “di base” con 8 GB di memoria interna, e una nera “premium” con 32 GB e l’aggiunta di NintendoLand in bundle. Il 30 settembre del 2013, la versione premium venne riportata al prezzo di base, mentre il modello bianco veniva tacitamente tolto di mezzo.
Lo spazio disponibile di ciascuna console poteva essere incrementato con le porte USB, una autentica necessità per i download più gravosi. Nintendo tuttavia raccomandò di fare ricorso a unità di memoria alimentate esternamente, poiché una sola porta USB non forniva abbastanza energia. Per complicare ulteriormente il tutto, i giochi Wii ignoravano la capienza di Wii U ed erano limitati a 512 MB – lo stesso limite di Wii – a meno che non si espandesse il tutto con una scheda SD da 32 GB.
Nella speranza di portare le funzionalità online al livello della concorrenza, Nintendo lanciò Nintendo Network, una nuova infrastruttura online resa disponibile anche su Nintendo 3DS. In aggiunta al multiplayer online, Nintendo rimpiazzò (in parte) i codici amico con un sistema basato sugli account. Il primo a trarre beneficio dell’allora neonato Nintendo Network fu Miiverse, il social network di Nintendo di cui abbiamo già parlato brevemente nel nostro speciale su Nintendo 3DS.
Al passo coi tempi, o quasi
Oltre a fare da forum a sé stante, Miiverse era integrato nell’interfaccia di sistema di Wii U, mostrando i Mii personali degli utenti permettendo loro di comunicare l’un l’altro tramite messaggi, screenshot o semplici scarabocchi tracciati su touch screen. Questo si estese a titoli altrimenti nati solo per l’utilizzo offline, nonché ad altre piattaforme: in seguito, infatti, oltre ai browser internet dei PC, il social network raggiunse anche smartphone e lo stesso Nintendo 3DS, permettendo messaggi da una piattaforma all’altra. In modo similare a 3DS, Miiverse poteva venire aperto in ogni momento, sospendendo il gameplay.
Così come le precedenti console di Nintendo, nemmeno Wii U supportava la riproduzione di DVD e Blu-ray. Ciononostante, la Grande N collaborò con distributori quali YouTube e Hulu per dare agli utenti contenuti video al di fuori del supporto ottico. Ce l’ha ricordato la notizia che abbiamo riportato qualche mesetto fa in merito all’abbandono di Wii U da parte di Hulu.
Il lancio di Wii U, tutto sommato, è stato dignitoso: 425.000 unità vendute nella prima settimana. Però ben presto la console si è trovata la strada sbarrata: le vendite calarono a 50.000 al mese nel gennaio del 2013, una picchiata da record che il mondo delle console non vedeva dal 2005. Questo fu dovuto ai già citati periodi privi di uscite e un marketing mal gestito per il quale Nintendo stessa si è cosparsa il capo di cenere, nonché la sensazione che la console fosse uscita un po’ troppo presto.
Per quanto Wii U sia stato lodato al tempo per essere un’eccellente “console secondaria” a causa di esclusive di indubbia qualità (da titoli first-party a titoli sviluppati anche da Nintendo, pubblicati da Nintendo o indie), le vendite rimasero in letargo, assicurando alla console una dolorosa medaglia di bronzo. A complicare le cose fu il compianto ex presidente di Nintendo, Satoru Iwata, che nel marzo del 2015 mise a tacere le voci sull’uscita dal mercato console… lasciandosi sfuggire che l’allora ignoto Nintendo Switch era in via di sviluppo.
Dalle ceneri al cielo
Il 31 gennaio del 2017, a poco più di quattro anni dal lancio, Nintendo annunciò che la produzione di Wii U era giunta al capolinea, con 13 milioni di console vendute fino a quel punto. Poco più di un mese dopo, sarebbe arrivato il nostro amato Nintendo Switch. Chiudendo il cerchio tracciato da The Legend of Zelda: Twilight Princess su GameCube e Wii, il titolo di lancio di Nintendo Switch sarebbe stato anche l’ultimo gioco first-party di Wii U. Parliamo di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, autentico canto del cigno per la console che ha permesso a questa sfortunata piattaforma di andarsene con dignità, sbaragliando la concorrenza ai Video Game Awards.
Con vendite così scarse, Wii U rimane uno dei più grandi flop commerciali di Nintendo. Ciononostante, a vendicarne la memoria abbiamo l’opinione comune che descrive la console come un hardware dal potenziale poco sfruttato, dalla ricca libreria e che ha spianato la strada a Nintendo Switch e al suo colossale successo. Reggie Fils-Aimé, prima di lasciare la poltrona di Nintendo of America a Doug Bowser, ha definito Wii U un agnello sacrificale per il suo successore, descrivendo il fallimento dell’ultima console fissa intesa in senso classico di Nintendo come un male necessario. Requiescat in pace.