Fin dagli albori dell’umanità, un desiderio imperversa nella nostra mente e non accenna ad arrestarsi: la volontà e curiosità di conoscere tutto ciò che riguarda il nostro pianeta ed anche altri, spingendoci addirittura a desiderare di scoprire, nello spazio, altre forme di vita o luoghi abitabili in previsione dell’esaurimento delle risorse dell’attuale Terra, espandendo quindi sempre di più i nostri confini e orizzonti.
Da questa premessa gli sviluppatori di Typhoon Studios hanno scelto di partire per dare un’identità ad un titolo che, seppur presentando una trama inizialmente banale e già vista in numerosi altri titoli (No Man’s Sky su tutti) non solo in ambito videoludico, grazie alla vena umoristica e alla varietà di un level design eccezionale riesce a mantenere una propria originalità. Journey to the Savage Planet è la prima ma riuscitissima opera prodotta da questo team in collaborazione con 505 Games, ed è un videogioco ricco di segreti immersi in un’atmosfera sci-fi con ambientazioni varie e coloratissime, un gameplay in costante evoluzione e un umorismo parodistico che diverte e non annoia mai. Il titolo è disponibile su PlayStation 4, PC ed Xbox One dal 28 gennaio scorso in digitale e dal 31 gennaio anche in versione fisica ad un prezzo di partenza ridotto di 29.99 euro (te lo anticipiamo subito, li vale tutti).
Una trama che non si prende mai sul serio (e non è un difetto)
Fin dai primissimi istanti di gioco capiamo che Journey to the Savage Planet non sarà un’avventura come le altre, seriosa e desiderosa di mandare un messaggio morale o un qualsivoglia insegnamento al giocatore: vuole soltanto divertire, e parodizzare, uno storytelling a dire il vero fin troppo abusato da anni, creandoci sopra una trama all’apparenza banale, ma dettata da un umorismo davvero divertente che mescola elementi no sense a battute e sketch geniali.
Appena entriamo in game veniamo accolti da un computer di bordo in quella che sembra essere una nave spaziale, che ci chiede di scegliere il nostro avatar: i personaggi presentati sono assurdi e dai volti e sembianze decisamente buffi (è possibile scegliere persino un cane), ma la cosa che più fa sorridere è il fatto che si intuisce immediatamente che questo aspetto sarà totalmente inutile ai fini della storia ed ininfluente per qualunque scelta del nostro protagonista.
Poco dopo ci viene spiegato chi siamo, dove ci troviamo e per quale motivo, da un’intelligenza artificiale dalla voce femminile (chiamata EKO) che accompagnerà il giocatore per tutto il corso dell’avventura: siamo una recluta dell’agenzia Kindred Aerospace che si occupa principalmente di esplorazione interplanetaria, ed abbiamo il compito di scoprire se nei pianeti che visitiamo è possibile sopravvivere. Ci ritroviamo quindi con il nostro mezzo di trasporto (chiamato Javelin) su un pianeta che intuiamo subito si rivelerà ostile, abbiamo subìto danni alla nave e soprattutto siamo sprovvisti di carburante per far ritorno a casa. Insomma una situazione tragica, ma che non ci farà perdere d’animo ed anzi ci spingerà a creare un piano per trovare le risorse necessarie per ripartire.
EKO ci invita subito a controllare i danni del veicolo ed a catalogare le forme di vita, sia piante che animali, all’interno del pianeta AR-Y 26 dove siamo inavvertitamente approdati. In questo modo potremo cercare di colonizzarlo e capire se è possibile che vi sia vita per l’umanità in questo bizzarro pianeta. Comincia così la nostra epopea, dopo che avremo indossato la tuta spaziale e preso l‘arma e l’equipaggiamento necessari per avanzare.
Al giocatore vengono subito proposte diverse missioni: oltre a quelle principali e prioritarie, che hanno un unico obiettivo finale ovvero scovare una riserva abbastanza abbondante di carburante, ci sono tantissime missioni secondarie ed esperimenti scientifici che ci permetteranno di migliorare il nostro armamentario e zaino. La maggior parte di questi però, rappresentano modifiche necessarie per poter avanzare da un luogo ad un altro (per esempio l’introduzione di un rampino da utilizzare grazie a speciali stelle vegetali posizionate per poterci muovere agevolmente in verticale all’interno della mappa, ed i suoi conseguenti miglioramenti ed evoluzioni).
In generale la struttura del gioco è abbastanza lineare, nonostante sia mascherata da open world vista la possibilità di cambiare luogo di approdo grazie a dei checkpoint accuratamente posizionati all’interno della mappa (in stile falò di Dark Souls per intenderci). Si basa principalmente inoltre su un backtracking preponderante, che ci obbliga, una volta completata una certa missione, a tornare sui nostri passi. Sono presenti quattro macroaree con conseguenti biomi differenti: ogni singolo bioma all’interno del mondo è diverso e le ambientazioni sono eccezionali, spaziano da luoghi ghiacciati, interni di un vulcano immerso nella lava, pianure lussureggianti, caverne buie.
La trama comunque è raccontata prevalentemente attraverso lunghi dialoghi con l’intelligenza artificiale che ci accompagna, email ed oggetti che scansoniamo nel mondo di gioco e anche attraverso una pubblicità dissacrante e repentina che ritroviamo all’interno del Javelin, con spot pubblicitari davvero assurdi e che spesso utilizzano la sensazione di disgusto per creare imbarazzo nel giocatore. Nonostante manchino importanti colpi di scena, Journey to the Savage Planet si conclude con un finale semplice ed una trama in generale che colpisce solo per la sua vena umoristica. Ma in fondo non si prende mai sul serio, e va bene così.
Un Gameplay vario ed in costante evoluzione
Journey to the Savage Planet è una avventura esplorativa in prima persona che però non è possibile, e anzi sarebbe sbagliato, definire limitatamente in un singolo genere: questo titolo infatti riesce ad alternare elementi platform, a fasi da classico sparatutto in soggettiva, da gioco di ruolo ed elementi di crafting; alle volte, quando si affrontano alcune particolari creature, vengono addirittura introdotte meccaniche stealth!
L’elemento preponderante è chiaramente quello esplorativo, in quanto esaminare ed analizzare la flora e la fauna del pianeta resta un elemento imprescindibile, ma non è assolutamente limitante ed anzi serve quasi come incentivo ulteriore a proseguire nell’avventura, per scoprire con sempre maggiore curiosità quali mostruosità incontreremo. Sono inoltre presenti dei boss, non estremamente originali da affrontare a livello di gameplay (in quanto è possibile sconfiggerli nellla maggior parte dei casi grazie ad elementi ambientali presenti nella mappa) ma a livello di design estetico sono abbastanza originali.
Una meccanica di cui non abbiamo ancora parlato ma che merita una certa attenzione è la componente cooperativa: si tratta di un sistema esclusivamente online che ci mette in contatto con altri giocatori, anche nostri amici, e ci permette di esplorare in compagnia questo mondo tanto inospitale e di avanzare assieme. Questa meccanica dona molta longevità all’opera, che può essere giocata sia in single player che in multiplayer, ma l’esperienza risulta quasi completamente diversa con un altro giocatore al nostro fianco perché decisamente più divertente.
Nell’evoluzione del gioco, comunque, ciò che colpisce maggiormente è il continuo raggiungimento di nuovi sbloccabili, attraverso il raccoglimento di risorse come silicio, carbonio e alluminio all’interno della mappa, di power up e abilità che ci permettono di migliorarci e di avanzare in luoghi precedentemente irraggiungibili. Questa meccanica GDR è ulteriormente confermata dalla presenza di moltissimi segreti nei vari biomi del gioco, a partire da grosse bolle gelatinose fluorescenti di colore arancione (100 per la precisione, sparse) che migliorano la nostra vitalità man mano che ne raccogliamo.
A livello di armamentario infine, il giocatore possiede una sola arma da fuoco tenuta nella mano destra, che può sparare più o meno colpi (che sono potenzialmente infiniti) e può essere migliorata. Il mondo di gioco presenta varie modalità di approccio ad uno scontro grazie ai vari elementi naturali del pianeta, come granate tratte da piante che esplodono al lancio, oppure bombe colme di acido o elettriche od anche il GROB, una sostanza che attira gli animali se lanciata e funge da esca in quanto presumibilmente odora ed ha sapore di cibo. Tutte queste componenti vengono trasportate nella mano sinistra, come anche un oggetto a forma di siringa che sarà necessario per ottenere campioni delle creature che incontriamo, assieme allo scanner che analizza e categorizza enciclopedicamente il tutto (se utilizzato premendo però un altro tasto specifico del controller).
Un comparto tecnico (quasi) perfetto
A livello grafico in Journey To The Savage Planet gli sviluppatori hanno fatto davvero un ottimo lavoro, non tanto per quanto riguarda i dettagli delle animazioni quanto per la profondità e la varietà delle ambientazioni coloratissime. I boss sono pochi ma esteticamente eccellenti e le creature e piante con un design originale sono tantissime . L’unica pecca reale riguarda la presenza eccessiva di bug tecnici che alle volte limitano l’esperienza, andando ad intaccare il normale procedimento della nostra avventura, con spostamenti repentini di camera, o trasferimento di creature da un luogo ad un altro senza una reale logica, o addirittura il “cedimento” del terreno che mi ha obbligato a morire autonomamente perché finito in quello che i giocatori chiamano il cosiddetto “sottomondo”.
Per quanto riguarda il comparto sonoro invece, purtroppo questo titolo eccelle solamente a livello di rumori ambientali, con rumori divertenti da parte delle diverse creature. Manca però una colonna sonora di impatto, che avrebbe potuto garantire all’opera un posto davvero importante nella collezione degli amanti del genere.