L’ultima volta che ho rivolto un occhio critico a un gioco di ruolo è stato con Rimelands, tanto una lettera d’amore rivolta alla mitologia norrena quanto uno zoppicante tema delle elementari nel suo modo di porsi al giocatore. Eppure, le premesse buone c’erano: cosa succederebbe se queste venissero sviluppate come si deve, con il giusto mix di passione e talento?
La risposta è Children of Zodiarcs, che sin da subito dimostra tanta dedizione da parte del team di sviluppo che lo ha plasmato. Dai primi istanti di gioco, l’amore riposto nel titolo è evidente, dall’affascinante design artistico fino al complesso ma soddisfacente sistema di combattimento. Non abbiamo di fronte un Fire Emblem, ma Children of Zodiarcs ci si avvicina in modo quasi spaventoso.
Finest Fantasy Tactics: Poors and the Lions
Il filone narrativo di Children of Zodiarcs è di puro stampo sociale. La storia narra di bambini che vivono in povertà e cercano di sopravvivere ai soprusi delle caste più agiate. Nel loro tirare a campare, Nahmi e i suoi amici iniziano a rubare ai ricchi. Siamo dunque di fronte a un caso analogo a One Piece (non per il nome e la risolutezza della protagonista) nel suo contrasto tra i colori vivi dello stile artistico e una storia molto più cupa di quanto si possa supporre di primo acchito. Nei bassifondi, Nahmi e compagnia dovranno affrontare altri ladri, guardie cittadine e persino cannibali.
In tutto questo, l’unica mezza pecca del ritmo della narrazione di Children of Zodiarcs è – se proprio vogliamo essere puntigliosi – l’utilizzo dell’espediente noto come “as you know”. In pratica, già dai primi dialoghi si alludono a sfaccettature del mondo di gioco di cui i personaggi sono al corrente (“as you know…”, cioè “come ben sai…”) mentre il giocatore è all’oscuro. Quando funziona, è un ottimo incentivo per interessarsi al mondo di gioco ed evitare i cosiddetti “spiegoni”, ma quando non lo fa potrebbe anche risultare irritante.
Gli spunti interessanti offerti dalla trama vengono ulteriormente valorizzati da un’eccellente traduzione in italiano, che negli indie non va data per scontata nemmeno con i titoli più curati (viene subito in mente il platformer Iconoclasts, dalla trama similarmente incentrata sullo squilibrio distopico tra caste sociali). Naturalmente, però, la preoccupazione di ogni giocatore non tarda ad emergere: con una trama così magistralmente gestita, il gameplay si rivelerà forse una chiavica di proporzioni cosmiche? Un piccolo spoiler per quanto segue: no, non lo è – semmai, è l’esatto opposto: se la trama è buona, il gameplay è pure meglio!
Dice Emblem: Three Houses (of Cards)
Children of Zodiarcs sembra il classico gioco di ruolo strategico, ma citando i Transformers c’è molto più di quel che appare. I giocatori si muovono su una tradizionale griglia; gli attacchi, tuttavia, sono gestiti in modo unico nel suo genere. Mescolando carte e dadi, il sistema di combattimento diventa improvvisamente molto più strategico rispetto agli standard a cui siamo abituati, sebbene l’elemento della casualità voglia sempre fare la sua parte.
Nello specifico, le carte a nostra disposizione prima di sferrare qualsiasi attacco sono pescate casualmente, come altrettanto casuale è il lancio dei dadi per amplificare l’effetto del nostro attacco in modo spesso favorevole ma mai prevedibile. Il confronto in cui Children of Zodiarcs trionfa in un paragone con altri titoli che fanno uso di dadi come Rimelands è proprio questo: laddove quest’ultimo richiedeva una snervante combinazione di pazienza e fortuna, qui viene solo richiesta un po’ di attenzione da parte del giocatore, più un pizzico di strategia.
La mappa di gioco in sé, quella con cui vengono scelte le missioni (la hub, insomma), non è nulla di eccezionale. Il giocatore può semplicemente muovere il cursore per scegliere la propria prossima missione nella storia, sidequest, o battaglia in cui vuole partecipare. Inoltre, c’è la possibilità di assistere ai dialoghi tra i personaggi posizionando il cursore sull’icona di una tappa già completata: non c’è altro modo per venire a conoscenza di alcuni retroscena – della lore – dietro al mondo di Children of Zodiarcs.
Durante le missioni, la formula da gioco di ruolo tattico sarà familiare a chiunque abbia mai giocato a un titolo appartenente a questo genere. I personaggi vengono mossi su una griglia, nel tentativo di piazzarli in punti strategicamente vantaggiosi per arrecare il danno maggiore. Attaccare fisicamente un nemico alle spalle tronca sul nascere ogni rappresaglia istantanea, mentre le mosse a lungo raggio possono benissimo avere bersagli indesiderati: è possibile colpire un proprio alleato o, peggio, curare un nemico.
Mentre nelle prime edizioni di Children of Zodiarcs non era possibile, questa nuova versione permette al giocatore di accelerare le animazioni durante il turno dei nemici. L’orecchio teso al feedback dei recensori della prima ora (e, per estensione, dei giocatori) è solo uno dei tanti dettagli che denotano la passione riposta in questo fortunato successo nato su Kickstarter.
Ognuno dei personaggi ha il proprio mazzo di carte che consiste in carte d’attacco, di supporto, di cura e di alterazioni di stato; i dadi, d’altro canto, vengono gestiti in modo differente, così come differiscono anche le loro stesse meccaniche. I dadi lanciati dopo la scelta di ogni carta di attacco riportano vari simboli sulle loro facce, e determinano se potremo pescare altre carte (carta), curarci (cuore), difenderci (scudo), usare il potere speciale di ogni carta (stella) e così via.
Persino le carte stesse si possono differenziare, in base al colore. Le rosse attaccano, le blu gestiscono le magie e con le verdi si effettuano le cure; nonostante questa scrematura cromatica, però, scegliere le carte alla cieca (“ah, okay, ho una carta rossa, ora attacco con questa”) porta solo a farsi del male se si ignorano i possibili effetti secondari delle carte a disposizione dei vari personaggi. Non è un lato negativo, anzi: il gioco rientra nella categoria “facile da apprendere ma difficile da padroneggiare”.
Quando ho stroncato (con non poco rammarico) Thief Town, ho portato l’attenzione alla tendenza di quel gioco nel non voler spiegare nulla; qui, invece, abbiamo a che vedere con un autentico manuale su come spiegare le cose al giocatore. Il tutorial, indifferentemente dalla localizzazione in italiano, è gestito in maniera esemplare. Le nozioni vengono impartite al giocatore con un ritmo tale da premiare il giocatore attento senza però al contempo mandare allo sbaraglio i più distratti.
Degne di nota sono anche le possibilità di personalizzare il proprio mazzo. Se non ti piacciono alcune delle carte che hai, puoi gestire il mazzo togliendo alcune carte e mettendone altre con cui aiutarti nelle situazioni più disparate. Se vuoi rendere un tuo personaggio un guaritore al cento per cento, nulla ti vieta di non dargli altro che carte curative. Questo si rivela essenziale non appena si inizia a fallire le missioni della campagna: le prime batoste si rivelano un ottimo punto di inizio per chi vuole sperimentare.
Tutto questo, come sempre, senza nemmeno contare i dadi stessi. Ogni personaggio ha a disposizione sei slot con altrettanti dadi (che, a loro volta, hanno altrettante facce…). Se uno dei tuoi dadi avesse quattro stelle, uno scudo e una gemma, il dado è personalizzabile in modo tale da donare una stella ad ogni faccia. Per poterlo fare, però, devi sacrificare uno dei dadi ottenuti completando le varie missioni; se tuttavia non te la sentissi di sprecarli, hai anche l’opzione di potenziare quelli già in tuo possesso.
Una volta padroneggiati questi rudimenti di gameplay, tramutare l’elemento della casualità da potenziale fonte di frustrazione in un’indubbia virtù diventa abbastanza facile. Di nuovo, anziché trovarci di fronte al dilemma “Vinceremo? Boh…” tipico di Rimelands e – spesso e volentieri – anche di titoli più noti come Fortnite, saremo pronti ad adattarci ad ogni situazione sin dal momento in cui capiremo di doverci posizionare con le spalle al muro al termine di ogni turno. Non rimane molto altro da sviscerare: vediamo di tirare le conclusioni – oltre ai dadi – nei confronti di questo gioco di strategia.
Dungeons and conclusions
Dal punto di vista grafico, siamo ben al di sopra della sufficienza per quanto lo spazio per migliorare ci sia. Purtroppo, le animazioni avrebbero potuto essere più curate e risultano anche fin troppo semplicistiche in alcuni punti, ma non distrae dal gioco in alcun modo. Giocare a Children of Zodiarcs in modalità portatile, in particolar modo, rende i diorami talmente nitidi e godibili da metterci di fronte a un’apparente casa delle bambole, più di quanto non lo sia mai stato il castello di Peach. La nitidezza delle ambientazioni, in particolar modo, ci ricorda piacevolmente i due Dissidia Final Fantasy usciti su PSP; se l’età di questi giochi fa di questo un paragone infelice, poi, sta a te deciderlo.
Non è solo quanto abbiamo descritto finora a portare una ventata d’aria fresca; anche la colonna sonora crea atmosfera in ogni occasione, e le nostre orecchie ringraziano. Nemmeno questo aspetto è totalmente esente da difetti, ma la leggera sensazione di anonimato derivata dai toni (musicali) vagamente occidentali di questo mondo fantasy può essere imputabile al gusto personale: mea culpa, ovviamente, per essere stato plasmato dai giochi di ruolo nipponici nella concezione dell’immaginario di spade e incantesimi.
In altre parole, se ami le melodie di World of Warcraft, probabilmente con Children of Zodiarcs ti sentirai a casa. Colgo l’occasione anche per dilungarmi anche sul resto del comparto audio, privo di doppiaggio integrale ma con una vasta gamma di grida di battaglia capace di farci sentire una passione proveniente anche dai lottatori. Il cambio di leit motiv da un personaggio all’altro durante le battaglie attribuisce alla playlist del gioco un ritmo un po’ singhiozzante, è vero, ma non arriva mai a distrarci quanto non abbia fatto Project X Zone su Nintendo 3DS qualche anno fa.
La longevità è legata a doppio filo con il genere di appartenenza di Children of Zodiarcs: un gioco di ruolo strategico, al di là dell’occasionale menù di selezione capitoli, tende ad essere abbastanza “monouso”. Non sarà mai usa-e-getta come le avventure grafiche (e come lo si è disastrosamente rivelato essere Sinless), ma comunque è un tipo di gioco abbastanza “inutile” una volta raggiunti i titoli di coda. Ciononostante, in questo viaggio di sola andata, tra side-quest, scontri opzionali e possibilità di personalizzazione, la varietà non manca. Questo va dunque a beneficio di una longevità sopra la media.
Con il gameplay chiudiamo il cerchio di Children of Zodiarcs. La combinazione tra un contesto narrativo potenzialmente pretenzioso, un genere dalle premesse limitate come il gioco di ruolo strategico e un’enfasi sugli elementi casuali è senza dubbio un azzardo che rischierebbe di alienare chiunque. Tuttavia, i ragazzi di Cardboard Utopia hanno mescolato il tutto con una tale cura e con tanta passione da superare brillantemente la prova contro ogni pronostico.
Contestualizzare questo traguardo alzerebbe il voto oltre la soglia dell’oggettività, perciò saremo onesti e limiteremo il nostro entusiasmo – non siamo di fronte a un titolo che merita il bacio accademico -, ma per solo diciotto euro ci siamo davvero quasi. Cardboard Utopia è davvero un team di sviluppo da mettere nei nostri radar, e Children of Zodiarcs è – come Shovel Knight – un esempio di ciò che succede quando ad avviare un Kickstarter sono le persone giuste.