Gli shoot-em-up spesso e volentieri necessitano di un gimmick – un espediente – per potersi distinguere dalla massa, visto che la metaforica ruota è stata reinventata molte più volte di quante abbiamo interesse ad elencarne. Abbiamo anche già fatto la distinzione tra shoot-em-up e bullet hell nella nostra recensione di Ghost Blade HD, quindi eviteremo di ripeterci oltre una definizione generica.
A differenza dei normali sparatutto “con navicella” a scorrimento laterale, o shoot-em-up, in un bullet hell c’è una ben più alta enfasi su un enorme numero di proiettili su schermo, resi più facili – ma comunque impegnativi – da evitare dal fatto che il nostro personaggio va colpito al centro per poter essere abbattuto. Il gioco di cui parliamo oggi allude espressamente al concetto di hitbox (che, per farla breve, in un bullet hell è il già citato “centro” della nave) già nel tutorial, quindi cerchiamo di inquadrare al meglio il titolo.
Dezatopia è il protagonista della recensione di oggi, che cerca di differenziarsi dalla concorrenza con l’espediente di un motore grafico e di un comparto sonoro che traggono un’ispirazione inequivocabile dal Sega Mega Drive. In realtà c’è anche un elemento di gameplay intrigante in questa miscela, ma preferiremmo arrivarci per gradi. Se vuoi solo sapere se si tratta di un titolo di qualità o meno, la risposta è sì. Non parliamo per forza di una qualità eccelsa, ma comunque di qualcosa di assai godibile.
ALL YOUR BASE ARE BELONG TO US
A differenza di altri titoli che hanno saputo inventarsi qualcosa per fare le dovute variazioni sul tema (come ad esempio Jamestown+), non possiamo proprio dire che Dezatopia possa vantare chissà quale trama; persino Zero Wing, eterno meme che abbiamo appena citato qui sopra, aveva una sorta di coerenza narrativa. Al di là di un pizzico di lore (retroscena) a cui alludono le feature extra, di cui parleremo in seguito, difficilmente il gioco va oltre un generico “raggiungi la cima della torre e ferma Momoko”.
Se non altro, la ricerca di un senso dietro le peripezie di Akane (misogino, introverso e minuto ragazzo delle superiori) e Aoba (studente popolare con le ragazze, dall’indole gentile, alto e magro come un chiodo) è un incentivo decente per superarsi e ottenere quante più chincaglierie da guardare con calma alla voce “museo” del menù principale. Non è male, come compromesso: chi è interessato solo al gameplay avrà “solo” un bullet hell da spolpare alla ricerca del punteggio più alto, mentre chi vuole una trama e un contesto dovrà guadagnarsi ogni briciola di informazioni sulla backstory dei protagonisti.
Sparatutto, a tutti, con tutti, per tutti
Il gameplay è indubbiamente il piatto forte per quanto concerne Dezatopia. Partiamo con una premessa: mentre la relativa assenza di trama fa di questo un problema minore, l’esauriente tutorial di inizio gioco ci obbliga a ricordare che questo titolo presenta giapponese e inglese come uniche due lingue. Mentiremmo se dicessimo che la barriera linguistica ha trasformato l’apprendimento dei rudimenti del gioco in un’impresa proibitiva, ma non si tratta nemmeno di un tutorial semplice. Il fatto che qui si alluda sin da subito al concetto di hitbox (ovvero il rilevatore di collisioni in un videogioco, che nei bullet hell è il centro della navicella) è davvero l’ultimo dei problemi… nel senso buono.
Abbiamo detto che il tutorial non è semplice, ma ciò non significa che non sia facile; c’è una notevole differenza tra questi due termini, e si concretizza nel momento in cui – nonostante la pressoché totale assenza di pericoli – ci vengono impartite molte nozioni nel giro di pochi minuti. La prima cosa che ci dice Dezatopia è letteralmente “questo gioco usa molti pulsanti, e ricordare le funzioni di ognuno di essi è importante”. In realtà il gimmick del gioco è riassumibile facilmente, ma con il controller tra le mani sembra tutto molto più complesso.
I tasti frontali, in Dezatopia, corrispondono ciascuno a un’arma diversa, mentre la nostra navicella è sempre voltata verso destra. L’espediente che regge in piedi l’intero gameplay si basa solo su questo, ma è una trovata originale quanto basta da dare al gioco un’identità propria ben definita. Il tutorial si svolge in una sorta di galleria sotterranea dalle tinte volutamente anonime, sulla falsariga del classico Scramble di Konami.
Abbiamo dunque a disposizione un cannone frontale (A), un altro per colpire i nemici sopra di noi (X), uno per attaccare chi ci sta dietro (Y) e, infine, un altro per riempire d’acqua i bersagli sottostanti (B). Quest’ultimo, in particolar modo, vanta la duplice funzione di attaccare i nemici e di annaffiare le piante che talvolta fanno capolino nei livelli a scorrimento automatico. Ciò si traduce in un’ulteriore fonte di bonus, che come sempre abbondano per necessità visto il ritmo frenetico dell’azione su schermo.
Ogni arma può inoltre sferrare un colpo caricato se non la si è usata per un po’ (che, nelle tempistiche di uno shoot-em-up, si traduce in pochi secondi). Inoltre, al di là dell’occasionale bomba “pulisci-schermo” da usare solo come ultima risorsa, Dezatopia non si nega una meccanica aggiuntiva: la possibilità di usare più armi contemporaneamente, da due a… tutte, in pratica. Più armi si usano insieme, però, e più la navicella verrà rallentata, esponendone il nucleo ai mille pericoli che infarciscono i vari livelli.
Mentre tutte queste trovate ben si prestano alle follie del genere dei bullet hell, ce n’è un’altra che (sebbene fantasiosa su carta) si traduce in uno dei punti meno convincenti del gioco, vista l’esecuzione zoppicante del concetto. Occasionalmente, all’interno del livello, si aprirà un negozio in cui spendere i punti guadagnati, in modo non dissimile dal mitico Fantasy Zone. La possibilità di comprare versioni potenziate delle singole armi dovrebbe venire facilitata, almeno in teoria, dalla possibilità di muovere la navetta in direzione dell’arma desiderata, ma essendo la bancarella virtuale nello stesso schermo dove avviene l’azione, spesso e volentieri la scelta delle armi viene forzata in base ai colpi da evitare.
Una volta che mettiamo piede nel resto del gioco, possiamo scegliere due diversi tipi di ordine in cui affrontare i livelli, in stile Star Fox. Qualunque strada prendiamo, però, per accedere allo stage finale dovremo completare la serie di livelli entro i quindici minuti. Di nuovo: la difficoltà non è proibitiva, ma rimane comunque alta. I cuori che appaiono nell’interfaccia rappresentano le nostre vite, ma abbiamo una barra della salute separata che ci permette di subire un paio di colpi. In aggiunta a questo, a giungere in nostro aiuto ci sono i checkpoint appena prima dei boss.
Gli scontri con i boss di Dezatopia tengono fede ai crismi del genere: enormi, ricchi di armi, e soprattutto dalle doti balistiche difficili da contrastare con le giuste schivate. L’utilizzo contemporaneo di tutte le armi può essere occasionalmente d’aiuto, ma in linea di massima rimane abbastanza sconsigliato. Semmai, è bene sbarazzarsi quanto prima della fastidiosa modalità “Fixed Fire”, che consiste in un cambio on/off per il proprio fuoco; con “Free Fire” è invece possibile sparare solo quando si tengono premuti i pulsanti, che è anche ciò che il buon senso impone.
Non rimane molto altro da dire, al di là della modalità Museum selezionabile nel menù principale. Come anticipato, è qui che possiamo goderci i frutti di ciò che abbiamo sbloccato: artwork, profili dei personaggi, stralci di trama e quant’altro. Per ottenere questi bonus è necessario raccoglierli nei livelli, sebbene la casualità con cui vengono rilasciati dai nemici rende questa facile scappatoia a favore della longevità del titolo abbastanza difficile da ignorare. Tra le opzioni per il gioco, infine, è anche disponibile la possibilità di giocare a questo titolo in widescreen, ma consigliamo vivamente di optare per il formato 4:3 con cui il gioco è stato chiaramente concepito.
“Gli bucherò le gomme e bye bye…”
Ed è citando Abiura di me di Caparezza che ci avviamo alle battute finali, iniziando a tirare le conclusioni con qualche considerazione sul motore grafico. L’idea di omaggiare l’era 16-bit delle console vanta non poco fascino quando viene eseguita con sapienza e cura, e com’era prevedibile nel caso di un indie raramente ci sono vie di mezzo: o trionfa l’inesperienza, o al contrario emerge una pregevole fattura artigianale. Se hai dato un’occhiata agli screenshot finora, avrai notato come Dezatopia non avrebbe sfigurato al fianco di Gunstar Heroes di Treasure nel medesimo anno di uscita.
Lo promuoveremmo anche a pieni voti, se non fosse per una pillola che non intendiamo indorare in alcun modo: se sei fotosensibile e hai sofferto di epilessia, questo gioco non fa per te. Evitalo, gioca a “la volpe e l’uva” per convincerti a non giocarlo se necessario – fingi che il voto sia uno zero spaccato, ma non giocarlo. Dezatopia, per tutti i pregi che può avere, sembra aver dimenticato che lo sfarfallio delle immagini è un tabù dal 1997, e insieme alle fulminee descrizioni dei boss tende ad ignorare gli standard umani dei bulbi oculari del giocatore.
Discorso similare, seppur forse in misura minore, per quanto riguarda il comparto audio. Anche qui la tipica “chitarra elettrica sintetica” apprezzata in quasi ogni gioco uscito su Sega Mega Drive ci dedica non pochi assoli, ma non sempre questo si traduce per forza in melodie tanto memorabili da venire inavvertitamente fischiettate sotto la doccia. Siamo sopra la sufficienza senza dubbio, ma non è nulla per cui valga la pena di setacciare la libreria di Spotify.
Sulla longevità, come abbiamo già detto, la presenza di molti elementi da sbloccare va ben oltre la misera caccia ai punti fine a sé stessa. Una volta tanto, abbiamo a che fare con un gioco dove è la longevità a trainare gli elementi di trama e non il contrario. Non per questo, tuttavia, abbiamo di fronte un gioco paragonabile a Final Fantasy XV: qualunque sia il tempo che intendi dedicare a Dezatopia, dipende unicamente da quanto tu sia disposto a ripetere i medesimi stage alla ricerca di quel ritratto e di quella descrizione che cerchi.
Il gameplay, come già detto, è il fiore all’occhiello del gioco che ti servirà a capire quanto davvero questa variazione sul tema dei bullet hell possa valere la pena di sborsare sedici euro. La filosofia del “massì, proviamo, al limite cambio idea” qui non sussiste: se c’è qualcosa di Dezatopia che non ti convince in questa recensione, l’attesa di uno sconto è inevitabile, ma se invece i lati positivi sono riusciti a convincerti con la loro superiorità numerica fa’ tuo questo gioco senza ripensamenti.