Usando i videogame si sono osservati cambiamenti fisici e psicologici piuttosto rilevanti nei gamer. Il cervello umano è quanto di più miracoloso e complesso si possa trovare in natura; una creazione così complessa che dopo centinaia di anni di studio scientifico, abbiamo appena iniziato a scalfire la superficie. Milioni di milioni di collegamenti bioelettrici o biochimici, le sinapsi, trasmettono impulsi elettrici ad aree specifiche del cervello e al resto del corpo, comunicando una quantità enorme di comandi e informazioni.
Mentre leggi questo articolo, gli occhi si muovono sul testo, catturano le immagini, il cervello elabora quanto vede, lo trasferisce ad un altra parte del cervello dove le informazioni vengono rielaborate e trasferite di nuovo. Le lettere vengono associate a suoni e significati a noi familiari per essere interpretati, il tutto ad una velocità incredibile. Azioni semplici come bere un bicchiere di acqua, alzarci dal letto, richiedono questi processi e il nostro cervello non riposa mai, nemmeno quando dorme.
Dopo aver appurato questo, veniamo al tema dell’ articolo; il cervello e i videogame, che relazione esiste, cosa hanno scoperto gli scienziati? In realtà poco, ma allo stesso tempo molto. Iniziamo parlando di qualcosa di semplice, azioni che compiamo in ogni partita più e più volte, ossia compiere una decisione.
Fight, Flight or Freeze
Uno studio del 1929 del dottor Cannon ha analizzato il comportamento umano e animale di fronte a situazioni negative, in particolare durante uno spavento. Visto che ci occupiamo di videogame e non di comportamento animale, facciamo un esempio nel nostro campo. Immaginiamo uno sparatutto, una partita PvP a squadre. La nostra squadra avanza, poi un headshot elimina un nostro compagno, una granata ci separa dall’ultimo membro in vita. Siamo soli, bloccati in una casa; sorvegliamo una delle due porte, giriamo la visuale verso l’altra e sorpresa: due nemici stanno entrando armi alla mano.
Qui entra in gioco lo studio del dott. Cannon. Questo signore ha osservato il comportamento in situazioni del genere, notando che tutti i partecipanti seguono uno schema definito, appunto fight, flight or freeze. Per freeze si intende una non reazione, per essere chiari, avete mai sentito l’ espressione pietrificato dalla paura? Fight or flight, rappresenta la scelta tra affrontare il pericolo o scappare a gambe levate. Dagli esperimenti effettuati paragonando i tempi di reazione tra un gamer e una persona che non usa videogiochi, emerge una sostanziale differenza, i gamer infatti si sono dimostrati più rapidi in questo genere di situazioni, con tempi di reazione anche inferiori a 0,37 secondi.
Stato di vigilanza e capacità spazio-visuale
Diversi studi sono stati effettuati per vedere se il lavoro svolto da un cervello abituato alle sessioni di gaming reagisce in maniera differente in altri ambiti. Uno studio ha preso in esame lo stato di attenzione, ossia la capacità di rimanere concentrati su un discorso, una lezione o altre attività che richiedono concentrazione per periodi prolungati (Kuhn, S. et al. 2013). Il dott. Marc Paulus si è occupato dell’argomento, passando in rassegna oltre 100 ricerche eseguite con gamer e non. Da questi studi emergono risultati ottimi, come un potenziamento delle aree adibite alla concentrazione prolungata nel tempo, e un miglioramento nelle capacità spazio-visuali.
Le abilità spazio-visuali, nello specifico, si riferiscono alla capacità di integrare le informazioni che provengono dallo spazio percettivo, di utilizzarle e organizzarle per svolgere adeguatamente differenti compiti. In parole povere significa che sviluppando questa abilità, il nostro cervello ricorda meglio un ambiente esplorato, coglie più facilmente cambiamenti e riconosce prima degli oggetti. Non ti capita mai il compagno di squadra che vede brillare oggetti quasi invisibili? Ecco a cosa ci stiamo riferendo!
Il gamer che addestra l’IA
In molti film avete visto un videogiocatore trovarsi nelle mani (o meglio nel pad) la responsabilità di salvare il mondo. Un lontanissimo film degli anni 80, War-Games parla di un videogiocatore che tenta di salvare il mondo dopo aver sfidato un supercomputer dell’ esercito in una partita ai videogame. In Ender’s Game i ragazzi più dotati vengono addestrati tramite simulatore a pilotare droni per combattere una minaccia aliena, finchè il protagonista (da vero proplayer) guida l’ intera flotta alla vittoria salvando la razza umana.
Possono questi e molti altri esempi verificarsi nella vita reale? Sembrerebbe proprio di si; una ricerca condotta dalla DARPA, un agenzia di difesa USA ha raccolto 25 soggetti abili nei videogame per testarli contro un gioco sviluppato da ricercatori governativi.
I soggetti vengono monitorati costantemente tramite il videogame, se si può chiamare tale. Quest’ultimo è incentrato sul dispiegare 250 droni via terra e aria in operazioni militari. I risultati delle partite vengono osservati, registrati e interiorizzati da un IA che in futuro potrebbe coordinare attacchi militari complessi, evitando l’errore umano. Un computer infatti ha una potenza di calcolo incredibile, l’unica cosa in cui pecca è la capacità di adattamento e improvvisazione, per questo i gamer entrano in gioco. Le doti dei gamer infatti vengono utilizzate per insegnare all’IA a reagire in maniera imprevedibile ed efficace per eliminare la minaccia nel miglior modo possibile.
Oltre a questo ambizioso progetto, i videogame sono già largamente utilizzati per la formazione di personale militare e non; giochi come Colin McRae Rally, simulatori di guida e volo di diversi mezzi vengono utilizzati in postazioni realistiche per insegnare agli autisti e piloti le manovre più a rischio senza perdere costosi trasporti o rischiare la vita umana. Altro esempio in campo militare sono i droni comandati a distanza; i piloti prima di guidare costosi mezzi comandati a distanza vengono addestrati al simulatore.
Il rovescio della medaglia
Non è tutto oro quel che luccica, anche se ci sono molti risultati positivi legati all’utilizzo dei videogame, questi come qualunque altra cosa hanno delle controindicazioni. Problemi di socialità, aggressività, calo della vista sono problemi riscontrati in giocatori che iniziano ad abusare dei giochi da giovanissimi.
Sono stati notati disturbi a livello psicologico in molti bambini e ragazzi che usavano i videogame per molte ore senza pause nella sessione o nella settimana. Giocare a lungo e senza riposo annienta qualunque beneficio possa derivare dal gioco, creando problemi piuttosto seri. Come se non bastasse in diverse occasioni ci sono stati dei decessi anche se nessuno è stato legato direttamente ai videogiochi.
Nella cronaca nera italiana di recente è comparso un articolo che parla del figlio di 8 anni di un ex calciatore, Michele Bacis. Il figlio infatti è tragicamente precipitato dalla finestra della sua cameretta la sera del 16 maggio. Una tragedia incredibile, un bambino che decisamente non meritava una fine così indegna, ma non è che l’ultimo caso in cui il dito viene puntato contro i videogame. Nessuno qui vuole difendere i videogame, a volte sono violenti, volgari, pericolosi, d altronde ne abbiamo parlato poche righe sopra. Ma come fa un videogame a uccidere? Di fatto è un’affermazione inverosimile, le circostanze sarebbero davvero fantascientifiche, ma ogni volta il dito accusatorio indica il mondo dei videogiochi.
Nel caso in questione, il piccolo Jacopo Bacis, secondo la procura di Arezzo stava giocando a Fortnite sul suo tablet. Diversi giornali nazionali affermano che il piccolo sia “volato giù dalla finestra perché inseguiva gli alieni di Fortnite“. altri giornali affermano che “si tratta di Fortnite, il gioco forse più diffuso del momento tra bambini e ragazzi. Secondo quanto appreso si tratta di un gioco che simula come, dopo una catastrofe, la Terra rischi di essere invasa dagli alieni e, dunque, stimola i videogiocatori al combattimento per difenderla”.
Da videogiocatore sappiamo quanto queste affermazioni siano lontane dalla verità, come pure dicono i giornalisti convinti che Fortnite sia un gioco in realtà aumentata e abbia convinto Jacopo a lanciarsi dalla finestra. Ovviamente si tratta di (passatemi il termine) cialtroni.
Nessuna delle affermazioni sopra riportate potrebbe essere presa seriamente, si tratta di pregiudizi, o della gratificazione nell’addossare la colpa di una morte così ingiusta a un medium che non si comprende. Le domande che si pone per fortuna la procura sono ben altre. Sembrerebbe che il piccolo fosse solo in camera, mentre giocava ad un videogame adatto ad utenti con più di 12 anni (PEGI 12). Nessuno si sogna minimamente di screditare chi doveva sorvegliare il bambino, anzi ci stringiamo allo strazio della famiglia, solo non riteniamo corretto affrontare una situazione del genere accusando il titolo di Epic Games.
La dipendenza
Collegarsi alla console è un’azione per noi rilassante, una routine giornaliera come l’apericena con i colleghi o la corsa al parco mattutina. Dal nostro punto di vista si tratta di quotidianità, una piacevole interazione con altri giocatori per rilassarsi un poco dopo una dura giornata. Secondo diverse associazioni di psicologi, Internet Gaming Disorder è il nome corretto per il nostro hobby, diventato ufficialmente disturbo con la pubblicazione del DSM-5 nel 2013. Giocare compulsivamente, per molte ore mentendo sulla durata delle sessioni, scatti emozionali incontrollati, sintomi come astinenza e altri sono i campanelli d’ allarme della dipendenza da videogame. Una dipendenza definita alla stregua di altre come narcotici, tabacco o alcool, deleteria per l’individuo e la sua socialità.
Gli studi sono ancora in corso, mentre la dipendenza da internet è già stato riconosciuto come disturbo mentale. Il perno delle discussioni sulla dipendenza da gaming è capire se i videogiochi da soli sono la causa dei sintomi di assuefazione, o se sono con causali ad altri disturbi, come quello da internet, un problema con la competitività o altri fattori.
Diversi studi hanno notato una somiglianza tra le attività cerebrali di schizofrenici o ritardi mentali e quella dei gamer; resta tutto da scoprire se le somiglianze siano dovute ai videogame o siano semplici problemi dalla nascita, in questo caso resta da capire se chi ha questi problemi sia più attratto dai videogame di altri.
Si tratta comunque di una realtà da affrontare, sebbene siano indubbi alcuni vantaggi, possono essere presenti anche rischi; come per l’alcool un bicchiere di vino durante i pasti è un toccasana, una bottiglia di whisky appena svegli non tanto. Tutta questione di moderazione, sembrerebbe la soluzione per gli esperti, che raccomandano di tutelare i più giovani con orari prestabiliti e limitati per i videogame, consigliando attività all’aperto e soprattutto fisiche.
Hikikimori, l’isolamento
Qualcuno probabilmente ha già sentito il termine Hikikimori, premetto che non è un personaggio di un manga o della cultura giapponese. Il termine infatti significa “ritirarsi” nel paese del sol levante. Questo termine è stato coniato da uno psichiatra nipponico Satoru Saito nel 1998 (Kondo, 1997; Ministry of Health, Labour and Welfare, 2003; Saito T. 1998) che ha osservato sintomi simili in diversi adolescenti. Questi ragazzi sottoposti a forti pressioni familiari e sociali, risultavano apatici, letargici, con capacità comunicativa quasi annullata.
Il risultato è un ragazzo o ragazza che vive nella sua camera, con ritmo circadiano sballatissimo, una vita sociale schermata dalla sicurezza di un monitor. Questi “eremiti sociali” diventano fantasmi per il mondo reale, apparendo solo tramite i loro account social o di gioco. In questi casi vengono riscontrati gravi problemi psichiatrici come schizofrenia, ritardi mentali di vario genere, una totale opposizione a riprendere lavoro o scuola e periodi di isolamento di almeno 6 mesi continuativi.
Oltre ai danni psicologici spesso questi soggetti iniziano a perdere la volontà di lavarsi, incontrare familiari o conviventi, insomma si scollegano dal mondo, rifugiandosi nella loro stanza dove continuano a peggiorare.
Molti sono gli estimatori che analizzano i videogame come i sommelier fanno con i vini, o come fanno i critici di cinema e teatro. Il gaming è un settore che sta piano piano toccando altri settori prima separati nettamente. Basta pensare a Keanu Reeves in Cyberpunk 2077 o le trasposizioni in film tra cui Doom, Assassin’s Creed, Resident Evil e Silent Hill sono solo alcuni dei numerosi esempi.
I videogame sono un grande intrattenimento, un mercato florido con oltre due miliardi di utenti. Penalizzare una così vasto mercato sulla base di ricerche in corso con risultati dubbi è un crimine vero e proprio.