Sette anni sono un tempo lunghissimo, quasi infinito, se parliamo di videogiochi; anche nella nostra vita tuttavia è un lasso di tempo durante il quale possono succedere numerosi eventi, può cambiare tutto o quasi. A me è successo, quasi come Joel, ma sono una versione più matura del giocatore che ha goduto e spolpato il primo capitolo.
Naughty Dog si è presa tutto il tempo necessario per dare a The Last of Us un degno sequel, che fosse all’altezza di un titolo diventato ormai leggendario.
Innanzitutto vorrei ringraziarti, a nome di iCrewPlay, perché – nonostante il ritardo con cui abbiamo ricevuto il codice da Sony e conseguentemente il ritardo con cui questa recensione è uscita – stai leggendo la nostra opinione non rendendo vano il nostro impegno.
Per questo motivo, senza indugiare, tuffiamoci nel mondo di The Last of Us Part II.
Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi
Questo adagio tutto italiano si adatta alla perfezione in un mondo devastato dai cordyceps: si tratta di un fungo parassita (realmente esistente in natura) in grado di infettare l’essere umano fino a mutarne la fisiologia, facendo spuntare placche in testa – una imitazione malriuscita di un pop corn – e trasformando quello che una volta era un uomo in un essere urlante e artigliante.
Insomma, se l’umanità non si riunirà questi orrori erediteranno la Terra. Eppure, nonostante queste premesse, gli uomini continuano ad amarsi ed odiarsi, uccidersi e picchiarsi come se tutto questo non li riguardasse.
The Last of Us è un viaggio psicologico nella mente di Joel ed Ellie, un contrabbandiere e una sopravvissuta, negli Stati Uniti post pandemia. Il gioco originale si apriva con la morte della figlia di Joel, evento che lascerà nell’uomo un costante senso di colpa per non essere riuscito a salvarla.
E’ un bagaglio emotivo che scaricherà su Ellie, una ragazzina immune al virus, e alla quale inaspettatamente Joel si legherà al punto di rischiare tutto per lei e considerarla come una figlia.
The Last of Us Part II si apre proprio con il ricordo del salvataggio di Ellie, di cui dovremo affrontare le conseguenze.
Se sei tra quelli preoccupati che la scelta di Naughty Dog di far proseguire una storia con finale perfetto possa rovinare tutto, stai tranquillo: non è questo il caso.
Si tratta di un nuovo capitolo che introduce nuovi personaggi e tematiche, rafforzando la storia originale. Conversazioni già sentite assumono nuovi significati, mentre i personaggi si arricchiscono di nuove sfumature.
Alla fine, il gioco ci lascia con la stessa soddisfazione di avere affrontato un viaggio, una storia ben raccontata all’interno di quello che ad oggi è il miglior gioco di Naughty Dog.
The Last of Us part II si apre con Joel che parla con suo fratello Tommy, raccontandogli del suo viaggio
“L’ho salvata”, sembra quasi che Joel voglia giustificarsi per la scia di sangue che si è lasciato dietro. Non ha ucciso, ha salvato Ellie. Ma sa di non essere un eroe.
In questa sequenza molto intima, contrapposta all’inizio del gioco originale che prendeva avvio tra le esplosioni, è possibile intravedere la vera natura di The Last of Us Part II: è una storia sull’affrontare le conseguenze delle proprie azioni, in cui ciascuno dei protagonisti deve trovare la propria forza interiore, in un mondo in cui la vendetta può finire fuori controllo fino a farci perdere tutto.
Stavolta giocheremo nei panni di Ellie, che trascorsi più di 4 anni dagli eventi del primo capitolo, si è stabilita con Joel in una cittadina chiamata Jackson. La giovane abita ormai da sola e Joel va a trovarla ogni tanto, svelando quello strano rapporto padre figlia che li unisce.
Tutto sembra quasi normale: Ellie ascolta musica da un mangianastri, ha poster alle pareti e una lampada di lava sul tavolo (oltre a una PlayStation 3 in soggiorno), la casa di Joel è arricchita da foto di famiglia e sculture intagliate nel legno.
Perfino la cittadina di Jackson, con la neve e le luci natalizie ha un tocco dickensiano che ci fa quasi dimenticare gli orrori appena fuori dal recinto. L’intero mondo di gioco è ricco di piccoli dettagli che arricchiscono la storia e rendono il tutto più vivido e realistico.
Il giorno dopo Ellie si sveglia per andare di pattuglia. Indossa lo zaino, prende la pistola e sbadiglia. Sembra un giorno normale, come tanti altri. Solo che non lo è.
La storia, di cui non potremo parlare per ovvi motivi, si svolge nell’arco di 3 giorni, in contrapposizione alle 4 stagioni dell’originale. Inoltre si sposta costantemente tra passato e presente, introducendo personaggi che odieremo ma finiremo per adorare. Il tutto darà vita ad un calderone che contiene tutte le emozioni umane, mescolate con sapienza in modo da non sopraffare mai il giocatore.
Per quanto si tratti del più grande gioco di Naughty Dog è anche il titolo con il copione più risicato che si sia visto di recente. Dovremo imparare ad interpretare i personaggi e comprendere il non detto. I dialoghi sono asciutti, limitati allo stretto indispensabile. Il tutto ci restituisce una sensazione di realismo mai visto prima.
E’ decisamente il capolavoro di una generazione videoludica
La struttura di gioco è simile ad altri titoli di Naughty Dog, come è normale che sia. Abbiamo un punto da raggiungere, lo troviamo e avanziamo verso di esso affrontando le avventure lungo la strada. Ci sono alcune aree in cui potremo esplorare alcuni edifici liberamente, nella zona di Seattle, ma il gioco si svolge in maniera più o meno lineare con mappe personalizzate che ci consentono di giungere alla meta attraverso edifici in rovina, stazioni della metro sotterranee e parchi ricchi di vegetazione.
Nonostante questa linearità c’è una sorprendente varietà di luoghi da visitare e un forte senso della scoperta.
Immancabili naturalmente le sezioni stealth ricche di tensione, battaglie cruente, inseguimenti e perfino qualche puzzle ambientale.
La storia si costruisce lentamente, ci vogliono ore prima di incontrare altri esseri umani, prediligendo in un primo momento le relazioni e la crescita dei personaggi. Attraverseremo degli edifici e vediamo le rovine di un mondo che è del tutto estraneo a questi giovani sopravvissuti che saranno interessati più alle provviste che non alle lavagne ricche di informazioni e previsioni economiche.
Man mano che si avanza nella storia il ritmo cresce di intensità, con l’intervallo dei flashback già menzionati. Si tratta di momenti che ci lasciano respirare, rallentando l’azione. In uno di questi flashback, esploreremo un museo con Joel ed Ellie. Nessun combattimento, solo due personaggi che costruiscono la loro relazione. Una delle migliori sequenze del gioco, più efficace di qualsiasi sparatoria.
Il gameplay è rimasto praticamente immutato dal primo capitolo, specie nelle sezioni stealth. Passeremo molto tempo a sgattaiolare tra i nemici, tagliando per i palazzi, nascondendoci sotto treni e camion.
E’ un sistema stealth pensato per farci muovere, reagire ed improvvisare mantenendo alta la tensione
All’ottima resa concorre il level design, uno dei migliori di Naughty Dog, con ogni situazione che può essere affrontata in vari modi: stealth, action o un mix dei due. Dovremo costantemente entrare e uscire dall’ombra, eliminando i nemici con tattiche da guerriglia. Un minuto saremo un cacciatore letale, quello dopo una timida preda.
La IA riesce a fornire una buona sfida: tanto gli umani quanto gli infetti utilizzeranno varie tattiche, cercheranno punti di vantaggio, afferreranno le nostre gambe mentre siamo nascosti sotto un camion oppure avanzeranno negli edifici come una squadra SWAT. Il risultato è più dinamico dell’originale, imprevedibile ed eccitante.
La prima volta che ho giocato a The Last of Us Part II, l’ho in parte frainteso. Tutti gli esseri umani nel gioco hanno un nome e i soldati chiamano i loro amici caduti e utilizzano i nomi nelle chiacchiere che possiamo sentire. Pensavo che fosse per farci sentire colpevoli di avergli piantato un coltello nella schiena.
In realtà si tratta di una scelta tematica fatta da Naughty Dog. Non dimentichiamo che è una storia di vendetta e i nomi ci ricordano che non si tratta di nemici senza volto, ogni persona che eliminiamo potrebbe avere dei cari che, proprio come noi, vorranno vendetta.
Bene e male sono una mera questione di prospettiva, in un mondo in cui le persone agiscono per la sopravvivenza.
E’ una visione abbastanza olistica: storia e gameplay in armonia. Anche un minigioco in cui strimpelliamo una chitarra perfettamente funzionante nonostante tutto, ha uno scopo in una storia più ampia.
Ogni meccanica e aspetto della storia rinforza le tematiche del gioco. Il combattimento è sporco e confusionario, dovremo guardarci le spalle perché gli agguati sono all’ordine del giorno. In una scena, Ellie uccide una persona che fino a qualche istante prima sta giocando con Hotline Miami su PS Vita. Sembra una persona normale, in una situazione normale. Ma ci attacca. E’ autodifesa e sopravvivenza. Un attimo dopo sta sanguinando per terra, mentre il gioco sulla console continua.
Anche la citazione di Hotline Miami è calzante, visto che nel gioco si ripetono sezioni ad alta violenza con sezioni più tranquille in cui ritornare sul luogo del massacro.
Il tutto è gestito da una magnifica grafica 3D, dettagliata ai limiti del fotorealismo. Tanto la natura, quanto la violenza sono riprodotte in tutta la loro magnificenza.
I corpi presentano i segni dei morsi e dei colpi, con arti spezzati e fori d’uscita dei proiettili. Potremo sparare a qualcuno con una freccia esplosiva e vedere i pezzi di carne volare fino al soffitto e poi gocciolare, così come un colpo in gola porterà la vittima a morire tra spasmi e suoni strozzati. Tutto contribuisce a creare un clima di inquietudine.
La recitazione di alto livello rende tutto più difficile: quando un personaggio piange, ci verrà un nodo in gola. Se diranno una cosa intendendone un’altra, lo capiremo.
Tutti i tic, le mani tremanti, attori e doppiatori hanno dato vita ad performance di grande livello. Non solo i personaggi principali, ma anche quelli più trascurabili sono memorabili in qualche modo.
Arrivato in fondo a The Last of Us parte II ero ancora eccitato dagli eventi delle ultime ore, che mi ha portato anche a rivalutare alcuni personaggi e i loro moventi.
Raramente mi sono trovato arrabbiato, sollevato, divertito e triste come alla fine del gioco. Tanto da ricominciare il gioco in modalità “Plus”, con occhi e orecchie aperte per cogliere tutti quegli indizi che mi erano sfuggiti inizialmente.