Giocando a Robozarro ci troviamo in una versione decisamente più grigia e meno viva della città degli angeli, il suo nome è Mech Angeles. La desolazione e la freddezza trasmesse dai colori spenti di quei palazzi sormontati da tetti inquinanti, entrambe in netto contrasto con le luci al neon che fingono di saper ravvivare l’ambiente circostante, ci invitano a fare i conti con la realtà distopica in cui ci troviamo.
Pare che i robot abbiano ormai preso il completo controllo della società e di noi esseri umani, a un primo sguardo poco attento, non sembra più esserci alcuna traccia. La realtà è leggermente diversa ma di tutte le poche persone ancora presenti in questa città, è forse la più importante di tutte a essere effettivamente scomparsa nel nulla; sto parlando del dottor Zarro.
Tralasciando quanto poco, nella nostra lingua, un nome del genere si adatti alla figura del più illustre esperto di robotica in circolazione, starà a noi giocatori cercare di fare luce su questa misteriosa scomparsa, avventurandoci nel laboratorio sotterraneo dello stesso studioso alla ricerca della verità. Il motivo? È molto semplice.
Alla ricerca di nonno
Subito dopo aver avviato una nuova partita, il titolo ci presenta un robot fluttuante chiamato B0-3 e una cara vecchietta seduta in poltrona. I due, in febbrile attesa di una chiamata importante, si stanno preparando a mettere in atto un piano che li possa aiutare a ritrovare il già citato dottor Zarro, marito della donna e ideatore del robot.
Dopo un breve dialogo indispensabile al fine di introdurci all’interno dell’ambientazione, il controllo passa immediatamente nelle mani di noi giocatori attraverso il corpo metallico di un secondo automa, fino a quel momento rimasto impassibile. Il suo nome è 0-Ramatron e la sua missione, ora anche nostra, è quella di ritrovare il proprio creatore.
Senza entrare in quelli che sono i dettagli della narrativa alla base di Robozarro, che di profondo e originale vanta ben poco, va detto che riuscire in quest’impresa si rivelerà essere tutt’altro che una passeggiata e gli ostacoli che dovremo superare, chiaramente sempre più impegnativi, spazieranno dalle classiche trappole mortali all’immancabile intelligenza artificiale fuori controllo.
Sebbene la semplice trama di Robozarro possa risultare piacevole grazie a dialoghi divertenti inseriti in un contesto potenzialmente interessante, i ritmi narrativi che la governano fanno spesso a pugni con l’immediatezza del gameplay che, pur avendo qualche difetto, rappresenta il cuore dell’intera produzione. Un maggiore equilibrio in questo senso, forse, avrebbe potuto coinvolgere i giocatori in maniera più attiva.
Un gameplay ancorato ai propri difetti
Come ti ho già accennato in fase di apertura, Robozarro è un videogioco platform 2D improntato all’azione in cui, puzzle ambientali e manovre evasive, cedono sovente il passo a sezioni più concitate fatte di scontri a fuoco e nemici da abbattere.
Il gioco sembra rifarsi almeno in parte ai classici run and gun del passato, presentando però la tipica struttura di uno sparatutto twin-stick dove le due levette del nostro pad, sinistra e destra, vengono rispettivamente destinate al movimento e alla mira del nostro protagonista.
Robozarro vanta un buon numero di meccaniche, molte delle quali vengono introdotte al giocatore attraverso il ritrovamento di nuovi gadget e/o armi, indispensabili per continuare ad avanzare all’interno del titolo. A rendere il tutto piú interessante ci pensa poi la carica di energia del nostro robot che, pur ripristinandosi velocemente con il passare del tempo, è sempre bene tenere sott’occhio.
L’utilizzo di strumenti specifici va infatti a gravare sulla nostra percentuale di potenza residua e questo, per quanto rappresenti un semplice dettaglio, aggiunge un pizzico di strategia a un gameplay che ne sente il bisogno.
Per quanto possa riuscire sicuramente a interessare gli insaziabili amanti del genere, assicurandosi quindi la sufficienza, Robozarro stenta ugualmente a brillare in quel che fa. Il potenziale di quest’opera risulta infatti trattenuto, quasi inespresso, nonostante la già citata varietà di meccaniche e l’accenno di profondità dato dalle risorse accumulabili che, presso distributori automatici sparsi per i livelli di gioco, possono essere scambiate con granate e altro ancora.
Infine, a contribuire alla sensazione di modestia generale ci pensa una mappatura dei comandi poco lungimirante, capace di risultare inutilmente scomoda per gran parte dell’esperienza.
Le poche pretese del comparto tecnico
Dopo aver parlato di un comparto narrativo a tratti penalizzato e di un numero tanto soddisfacente quanto parzialmente pleonastico di meccaniche di gioco, è arrivato il momento di introdurti a quello che è il comparto tecnico di Robozarro; altro campo in cui il videogioco si limita a portare a casa un risultato poco più che dispensabile.
Partendo dalla sua grafica a 16 bit fino ad arrivare alle sue tracce musicali, l’impatto audio-visivo di Robozarro risulta perfettamente in linea con l’atmosfera che si respira all’interno del titolo. Tutto sembrerebbe essere al posto giusto eppure, nonostante questo, quasi nulla riesce efficacemente nel superare la barriera del minimo sindacabile.
Inutile dire che lo stile artistico alla base del gioco sembra essere ispirato a grandi titoli del passato, ma in un mercato indipendente sempre più ricco di esponenti che si rifanno a certe influenze, distinguersi dalla massa rappresenta forse la chiave di volta nella realizzazione di un’opera che possa lasciare il segno. Purtroppo, pur aggiudicandosi la piena sufficienza grazie anche a un comparto tecnico che comunque risulta solido e funzionale all’intera esperienza, Robozarro fallisce in questo intento.