I videogame, anzi, i videogiochi sono un fenomeno in costante espansione, un mercato che non ha mai vissuto crisi o battute d’arresto. Uno tra i pochi settori che durante il periodo di lockdown ha visto un ulteriore crescita.
Il loro sviluppo ebbe una notevole spinta tra gli anni ’80 e ’90, grazie agli sviluppi in informatica dei PC e della tecnologia di intrattenimento iniziata con le brown box. Atari forse è stata l’azienda che è servita da trampolino di lancio per questo business, vendendo svariati milioni di dispositivi.
Agli inizi la grafica era piuttosto grezza, e i giochi di allora (Pac-Man, Missile Command, Super Mario e altri) non avevano o necessitavano di trame o traduzioni. Con il progredire della tecnologia, nei titoli viene inserito lo spazio per una storia che appassioni i giocatori.
Ovviamente questo genere di giochi, le avventure grafiche o narrativa, non ebbe grossa diffusione rispetto agli altri; il limite linguistico offriva mercato quasi solo nei paesi anglofoni. Anche alcuni capisaldi della storia dei videogiochi come Secrets of Monkey Island non hanno mai visto lingue alternative all’inglese originale.
Solamente con la diffusione oltreoceano dei videogame, alcuni sviluppatori intuiscono la possibilità di mercato data dal rendere più comprensibili i testi dei videogiochi. Una scelta all’avanguardia, ma certamente non rapida o economica considerando che lo sviluppo di un gioco all’epoca si aggirava tra 6 o 10 mesi, la traduzione aveva bisogno di almeno 8-10 settimane.
Traduzione, ovvero localizzazione dei videogame
Risalire al primo titolo tradotto in assoluto è cosa alquanto difficile. Agli inizi degli anni ’90 anche grandi sviluppatori come John Romero lavoravano in scantinati con 3 o 4 amici; tanto per farci un’idea le bozze dei codici e dei disegni di Space Invaders per esempio erano scritti su un quaderno a matita!
Più che traduzione di un videogame è più corretto parlare di localizzazione, ossia la conversione dei testi del gioco in lingua locale. La priorità è mantenere intatto il significato delle parole usate dagli sviluppatori per non alterare l’esperienza.
Per localizzare si intende anche l’insieme di modifiche o adattamenti di un prodotto per renderlo appetibile in un determinato mercato. La traduzione del nipponico Pac-Man più diretta sarebbe Puck-man, ma è stata scelta la forma con cui conosciamo il gioco per evitare doppi sensi, in quanto puck può indicare un folletto malvagio nord-europeo o avere assonanze con il verbo to puke, vomitare.
Spesso le localizzazioni erano realizzate da uno sviluppatore con un dizionario e gli errori erano più frequenti di quanto possiamo immaginare. La localizzazione di Zero Wing, un videogame giapponese del 1989 ha un errore grammaticale piuttosto evidente che ha generato una serie di meme in voga fino ai giorni nostri; Scwarzenegger, Obama, Trump e molti altri sono finiti in rete.
Un secondo ma non meno importante limite erano i supporti; scordiamoci DVD, patch online, anche solo i cd-rom? Tecnologie ancor lontane. Lo spazio dei floppy disc ad alta densità era di 1,44 MB, una canzone occupa tra i 3 e i 7MB, il che fa capire con quanto poco spazio dovevano lavorare gli sviluppatori.
Introdurre una o più localizzazioni significava ovviamente cancellare stringhe importanti del gioco, cosa impossibile chiaramente. Questo è senza dubbio il motivo principale che ha negato lo sviluppo di giochi in più lingue.
Cambiano i supporti
Con l’evoluzione informatica i floppy disc e le poco capienti cartucce vengono soppiantate da un supporto finalmente più capace e moderno; inizia l’era dei CD-ROM. Con ben 700MB di spazio gli sviluppatori trovano molto più spazio (500 volte un floppy). Oltre ai progressi nella grafica, le software house possono finalmente inserire localizzazioni per più paesi.
Ovviamente si inizia a selezionare le lingue, le traduzioni non sono gratuite, soprattutto se vengono fatte da professionisti per evitare figuracce, chi ha giocato a Kick-Off si ricorderà il famoso “cartellino gaillo” o il “calcio d’angalo”.
Nonostante i frequenti strafalcioni, diversi videogame affrontano problemi legati al tema della localizzazione, andiamo ad esaminare diversi punti con qualche esempio.
Lo spazio e la volontà
Un esempio lampante è Final Fantasy 7: con quasi 11 milioni di copie vendute (solo su PSX entro il 1998) è il titolo che ha dato la maggior spinta alla diffusione di PlayStation. Il videogame è come ben sappiamo patrimonio dell’impero del Sol Levante, ma è stato pubblicato all’estero in lingua inglese.
Nonostante ci fossero quasi 700MB di spazio disponibili tra i vari dischi (ognuno dei 3 CD contiene circa 450MB per un totale di 1317MB) SquareSoft non ha mai pensato di localizzarlo in più lingue. Solo con la sua versione per PC i soliti fan creeranno un file con la traduzione quasi integrale del gioco.
Ma allora perché Final Fantasy 7 non ha mai avuto altre lingue, mentre il successore Final Fantasy 8 ha visto la localizzazione in diversi idiomi?
La fedeltà
Il primo problema con cui una localizzazione deve fare i conti è senza dubbio rimanere fedeli al significato originale della storia. Continuando a bersagliare Final Fantasy 7, ci ricordiamo di sicuro di Aeris, un personaggio importante nella storia del gioco, il nostro esempio.
Il suo nome è per esempio un errore nella localizzazione; cercando di mantenere una specie di legame con Cloud (cloud sarebbe nuvola, Aeris ricorda “aria” dal greco, aereo) hanno modificato il nome più corretto, Aerith a richiamare il legame con la terra (earth).
Purtroppo a volte i tester, così si chiamano coloro che si occupano di tradurre e correggere errori linguistici di varia natura, non riescono sempre a cogliere il significato della storia o di un passaggio in particolare. Ovviamente una frase su 3.000 tradotta con poca precisione è un errore umano e sorvolabile, ma se cambiasse il significato di una frase importante?
Se l’errore facesse credere i giocatori una cosa mentre gli sviluppatori intendevano altro? L’errore è sempre dietro l’angolo è spesso la paura di trasmettere un messaggio sbagliato o impreciso è il primo ostacolo alla localizzazione.
L’economia
Diciamoci la verità, pubblicare videogame non è un hobby, e anche se a volte questi possono essere gratis, non significa che gli sviluppatori non vogliano/meritino un compenso. Chi pubblica i videogiochi? Il publisher, l’equivalente della casa editrice per un libro.
Fondamentalmente questo scommette dei soldi, investe nello sviluppo di un gioco che può garantirgli il rientro delle spese e ovviamente un utile. Insomma gli sviluppatori ci mettono la loro “creatura”, il publisher si occupa di tutto il resto, dalla pubblicità al disco su cui incidere il programma.
Ovviamente, essendo la parte che finanzia tutta la baracca, il publisher ha diritto di veto in molti punti; tra questi ovviamente, viene scelta la cosiddetta customer base.
La customer base altro non è che una base di clientela; un gioco come Madden per esempio, che è l’essenza del football americano, venderà sicuramente qualche copia anche in Europa anche se il mercato principale sarà negli USA. Il publisher in questo caso valuterà sulla base di sondaggi o indagini di mercato se ad esempio in Italia, potrebbe essere venduto.
Se la customer base è attirata dal prodotto e le versioni precedenti hanno avuto un buon successo, tale da giustificarne la localizzazione, allora vedremo quasi sicuramente Madden in italiano. In caso contrario, il publisher, vista la scarsa popolarità del titolo, si concentrerà magari su altri paesi che possono apprezzare di più il prodotto. Se in Germania il football americano è molto diffuso, allora si opterà per una localizzazione in inglese (British English e American English) e in tedesco ad esempio.
Varie ed eventuali
Ovviamente ci sono sempre le eccezioni a confermare la regola. La nostra lingua, per quanto bella sia è comune solo nei nostri confini, forse anche in Canada, ma lasciamo perdere. L’italiano dunque ha un’utenza relativamente bassa, per cui è difficile (ma non impossibile), vedere una localizzazione di diversi titoli.
Lo spagnolo o il portoghese per esempio, che vengono parlati nei paesi d’origine e in tutto il continente sud americano hanno molte più possibilità di vedere una localizzazione nelle loro lingue. Si tratta di semplice diffusione linguistica, calcoli fatti in base alle copie vendute, al possibile interesse in un nuovo titolo che uscirà sul mercato.
Non tutti i videogame vedranno la localizzazione, moltissimi fattori possono ostacolare un processo che in alcuni casi sarebbe d’obbligo. Si possono incappare in errori di grammatica o di semantica, eppure nel 2020, conoscere l’inglese non fa così male.