Il tema del viaggio è da sempre centrale nella cultura videoludica; basti pensare a gran parte dei JRPG, su tutti i vari Final Fantasy e Dragon Quest, serie nelle quali i protagonisti affrontano un viaggio lungo e pericoloso per sconfiggere il male, oppure a Journey, titolo del 2008 in cui il viaggio, supportato da un’ottima narrativa silenziosa (ancor più silenziosa dei futuri soulslike di FromSoftware) era letteralmente il gameplay, fino ad arrivare al recente Hellblade: Senua’s Sacrifice del 2017 che affrontava un diverso genere di viaggio: quello interiore.
Ninja Theory, la software house responsabile di Hellblade, e lo studio indipendente Mooneye, gli autori dietro Lost Ember, ovvero l’oggetto di questa recensione, sono stati in questi anni palesemente mossi dalla stessa volontà: intessere un racconto profondo e toccante che assumesse le fattezze di un viaggio per narrare in realtà storie di formazione dei personaggi e di accettazione della diversità o del dolore della perdita.
Il titolo è già approdato nel corso del 2019 prima su PC e in seguito anche su PlayStation 4 e Xbox One, e negli scorsi giorni è andato ad arricchire anche il parco titoli di Nintendo Switch, trovando una nuova e diversa incarnazione grazie alla portatilità unica dell’ibrida di casa Nintendo… ma sarà anche stavolta un viaggio emozionante?
Viaggia coi lupi
In Lost Ember impersoneremo Kalani, una giovane ragazza che ha da poco perso la vita e si è reincarnata in una lupa, non riuscendo ad accedere alla fantomatica Città di Luce. Il titolo prende molti elementi da cultura e riti del Centro e Sud America, attingendo a un immaginario collettivo, di base religiosa, che pone le sue basi sulla vita dopo la morte, su animali totem come per l’appunto il lupo e, soprattutto sul concetto di spirito guida.
Infatti, faremo fin da subito la conoscenza del nostro spirito guida, che da anche titolo al gioco definendosi una brace smarrita (per l’appunto Lost Ember in inglese): una piccola sfera luminosa fluttuante che ci farà letteralmente da guida, e compagnia, durante il nostro viaggio. Il legame tra Kalani e lo spirito nasce però dalla necessità di spalleggiarsi l’un l’altro nel viaggio che li condurra al paradiso rappresentato dalla Città di Luce, in quanto, per un misterioso motivo, nemmeno lo spirito riesce a entrare in questo luogo mistico.
Se Kalani è perfettamente consapevole che il paradiso recluso e la sua reincarnazione in forma animale siano una punizione per le sue malefatte durante la vita terrena, un alone di mistero accompagna la natura dello spirito guida per l’intero titolo. Se in un primo momento ci sembra di assistere a una storia lineare, esplorando il mondo di gioco troveremo altri ricordi che scandiranno la progressione e man mano ci avvicineranno a una verità molto meno scontata del previsto che andranno a caratterizzare i personaggi principali con sfumature inaspettate.
Il problema principale del titolo però è la sua scrittura: il viaggio di Kalani e dello spirito guida si concluderà in poco più di tre ore, ma ho trovato la prima metà del titolo estremamente lenta e noiosa, sostanzialmente incapace di attirare il mio interesse o di accendere il mio entusiasmo. Questo non vuol dire però che Lost Ember sia uno spreco di tempo, anzi, la storia narrata ha dei guizzi davvero interessanti, ma per raggiungerli ci vorrà almeno un’ora di gioco, quindi circa un terzo dell’esperienza totale, uno scoglio davvero imponente per molti giocatori: c’è da chiedersi in definitiva se il gioco valga la candela.
Nella vecchia fattoria…
Lost Ember presenta un gameplay ridotto davvero all’osso dato il suo genere d’appartenenza: potremmo quasi definirlo un walking simulator, ovvero un titolo totalmente incentrato su esplorazione e scoperta, ma che si lascia tranquillamente andare a delle sezioni platform grazie alla particolare caratteristica di poter prendere il controllo di animali diversi.
Fin da subito, la nostra Kalani rivelerà un’abilità sorprendente, ovvero quella di poter trasferire la propria coscienza nel corpo di altri animali così da poterne sfruttare le abilità. La varietà di animali controllabili è abbastanza limitata, ma comunque in linea col tenore generale della produzione, e riuscirà a fornire una buona varietà di situazioni: si passerà da talpe capaci di andare sottoterra a pesci col quale affrontare brevi sezioni acquatiche, passando per diverse varietà di uccelli come anatre per planare e colibrì per volare spediti.
Purtroppo la pecca peggiore del gameplay sta nel suo level design, difetto che nel peggiore dei casi porterà a dover ricaricare un checkpoint precedente perché alcune situazioni non prevedono soluzioni. Per esempio, in un punto del gioco ho preso possesso di un’anatra, ma planando troppo in basso per recuperare un collezionabile mi sono ritrovato bloccato in un punto nel quale non potevo né scendere né salire (e si, il terreno era franabile). Come già accennato in precedenza, in questi casi c’è bisogno di ricaricare il checkpoint precedente e sperare di non commettere di nuovo lo stesso errore: una situazione davvero spiacevole che rompe il ritmo del gioco stesso.
I salti poi saranno il peggior nemico di Kalani: talvolta capiterà di dover raggiungere un’area sottostante rispetto a quella in cui ci si trova, molto spesso però se non si seguirà il percorso previsto in fase di sviluppo, si andrà incontro a una dissolvenza a nero che ci riporterà al punto di partenza, in certi casi anche raggiungere semplicemente un sentiero sotto il punto in cui ci si trova può diventare un’esperienza davvero frustrante.
Una storia mostrata male
Purtroppo anche il comparto tecnico non riesce a colpire del tutto nel segno, specialmente dal punto di vista grafico, e questo è un vero peccato dal momento che, tutto sommato, la direzione artistica risulta anche parecchio ispirata.
Infatti, dal punto di vista estetico, Lost Ember ha uno stile che ricorda molto i lungometraggi in stop motion del regista Wes Anderson, in particolare il pluripremiato L’isola dei Cani. Questo peculiare stile riesce a sembrare allo stesso tempo semplice, ma complesso e curato, e il titolo riesce bene in questo, il problema è che il tutto viene proposto con una grafica rimasta indietro di una generazione, particolarmente su Nintendo Switch: se in modalità portatile si riesce a chiudere un’occhio su ciò che viene visualizzato schermo, in docked risulta tutto pesantemente sfocato e con dei modelli di flora e fauna che lasciano davvero molto a desiderare.
La situazione però è decisamente migliore dal punto di vista del comparto sonoro: l’intera esperienza sarà infatti accompagnata da una colonna sonora sempre gradevole e azzeccata, specialmente nei momenti più toccanti della narrazione e davanti alle rivelazioni più inaspettate, le tracce riusciranno a coinvolgere il giocatore e farlo sentire più vicino a Kalani. Probabilmente quindi mi sento di considerare la colonna sonora l’aspetto migliore della produzione per quanto comunque si riveli gradevole, ma non memorabile.
In conclusione, Lost Ember è un titolo che cerca di raccontare una storia di redenzione e accettazione del dolore, il tutto calato in un contesto mistico e al limite dell’onirico. Per apprezzare la narrazione però ci si dovrà armare di tanta, tantissima, pazienza data la progressione lenta e poco coinvolgente della trama; il tutto viene poi accompagnato da un comparto tecnico indietro di una generazione, che non invoglia di certo ad arrivare ai titoli di coda: non imperdibile, ma neanche da buttare.