Il mercato videoludico cinese è pronto a conquistare l’occidente con furore. Vigil: The Longest Night, l’ultima fatica dei ragazzi di Glass Heart Games si unisce alla schiera di titoli “made in China”, come si suol dire, e al contrario delle credenze popolari, che vedono come scadenti i prodotti arrivati dalla Cina, questo titolo si pone in maniera assolutamente interessante e appetibile per i fan del genere.
Vigil: The Longest Night – un metroidvania souls-like
Come anticipato poc’anzi, questo titolo si pone come metroidvania con forti contaminazioni souls-like, o forse dovrei dire Bloodborne-like. Hai mai giocato a Salt and Sanctuary nella tua vita? Allora saprai come questo titolo unisce le meccaniche tipiche dei metroidvania a quelle di Dark Souls. Vigil: The Longest Night si pone nello stesso modo, rimanendo tuttavia molto più ancorato alla struttura da metroidvania e attingendo a piene mani dall’esperienza di Bloodborne.
L’ambientazione squisitamente gotica, le fiale di sangue per ricaricare la salute e le lanterne utilizzate come check point richiamano molto l’amatissimo titolo di From Software, nonostante sia doveroso sottolineare che Vigil: The Longest Night ha una sua identità molto precisa, similmente a quanto accaduto con Genshin Impact, altro titolo confezionato in Cina che prende evidentemente a piene mani da The Legend of Zelda: Breath of The Wild, mantenendo tuttavia una sua identità molto forte e distinta da altri titoli.
Parliamo ora della narrazione, saprai di certo che le opere di From Software hanno uno storytelling decisamente anomalo e particolare, la lore di gioco è celata nella descrizione degli oggetti, nei pochi dialoghi con gli NPC e persino nel level design.
Vigil: The Longest Night recupera parzialmente quanto visto nei souls e in Bloodborne unendolo con uno storytelling più tradizionale. Nel titolo sono presenti dialoghi e personaggi che spiegano la trama in maniera piuttosto lineare, in particolare le missioni secondarie sono raccontate in modo tradizionale. Resta tuttavia un alone di mistero dietro alla trama principale e spesso non si capisce dove il titolo ti sta portando a meno di non leggere in maniera più approfondita la lore in maniera “Fromsoftwariana”.
Ma di cosa parla questo insolito metroidvania? All’avvio del titolo ti ritroverai nei panni di Leila, differenza notevole con i souls in cui il primo step è la creazione del proprio personaggio in maniera decisamente più ruolistica. Leila è una Vigilante e si intende che l’addestramento per diventarlo si è svolto ben lontano dalla sua terra natia, eppure ora stai tornando proprio in quel villaggio che ti diede i natali per affrontare una prova che decreterà finalmente in tuo stato di vigilante. Le zone adiacenti al villaggio sono popolate da orride creature in una notte lunghissima che ricorda molto da vicino la notte della caccia di Bloodborne.
Un’anziana signora incappucciata introdurrà il mistero dietro alla tua missione e ti accompagnerà lungo il tuo viaggio con frasi enigmatiche, gettando un alone di mistero che potrà essere sollevato solo con un’attenta lettura del titolo. Non voglio farti spoiler su questo titolo ma ricorda bene che le tue scelte sono importanti perché Vigil: The Longest Night ha più di un finale.
Un gameplay sicuramente sufficiente ma che manca di labor limae
Vigil: The Longest Night a livello di gameplay si colloca a pieno titolo all’interno dei metroidvania vecchio stile. La presenza della mappa che si autogena man mano che proseguiamo nella nostra avventura richiama molto da vicino i metroidvania più classici come il leggendario Castlevania: Symphony of The Night e i primi Metroid, discostandosi dalle produzioni più recenti come Hollow Knight e il già citato Salt and Sanctuary che hanno deciso di fare dell’esplorazione puramente blind uno dei loro tratti caratteristici.
Questo non vuol dire che Vigil: The Longest Night non abbia una buona componente esplorativa, come sanno bene i vecchi giocatori appassionati del genere. Analizzare a fondo la mappa di gioco è divertente, grazie anche all’ottimo design, e utile per livellare e rendere più forte la nostra vigilante.
Leila può essere equipaggiata in maniera del tutto simile ai souls, due armi tra cui si può switchare liberamente con la pressione di un tasto, cinque oggetti consumabili e le fondamentali fiale di sangue, assegnate di default al tasto su della pulsantiera sotto lo stick sinistro. Come armatura sono presenti i classici slot del vestiario e gli anelli che attivano effetti particolari, del tutto analoghi come utilizzo a quelli dei souls.
In maniera invece molto dissimile dai souls, l’esperienza accumulata uccidendo nemici è permanente e non svanisce alla morte che, non essendo prevista a livello di gameplay, vi porterà all’ultimo salvataggio effettuato presso una lanterna. Quando si raggiunge un nuovo livello si guadagna un punto spendibile in uno dei vari alberi abilità presenti per ogni arma, necessario per sbloccare nuove combo e mosse ma anche per aumentare i danni inflitti con quella particolare arma, effetto raggiungibile anche potenziando da un fabbro l’arma stessa.
Abbiamo detto che il gameplay è molto simile ai classici metroidvania e il paragone con Bloodstained: Ritual of the Night viene spontaneo, è tuttavia doveroso sottolineare il fatto che Vigil: The Longest Night risulta meno fluido e più legnoso dell’ultima fatica di Koji Igarashi ed è evidente che lo studio cinese ha ancora molto da imparare, tuttavia il titolo resta assolutamente godibile ma con un lavoro di limatura più raffinato e una cura maggiore per le animazioni si sarebbe potuto fare davvero molto bene.
Come gira il titolo sulla piccola ibrida di casa Nintendo?
Vigil: The Longest Night è molto bello da vedere, i disegni sono ben realizzati e, in particolare, bisogna fare una menzione d’onore per il monster design che, in alcuni casi, risulta davvero ispirato. Come anticipato nel precedente paragrafo, le animazioni non sono eccezionali e, per quanto non siano assolutamente da buttare, si poteva fare qualcosa di più; il gameplay ne avrebbe senza dubbio beneficiato.
Anche la colonna sonora è di buona fattura, anche se non arriviamo ai livelli raggiunti con i già citati titoli del Maestro Igarashi. La longevità è buona se si va dritti al punto ma va detto che le quest secondarie non sono di certo memorabili e si traducono molto spesso nell’andare da una parte all’altra e sciropparsi una serie infinita di dialoghi.
Il titolo non è disponibile in lingua italiana e il livello di inglese necessario per avere una piena comprensione dell’esperienza e della lore è sicuramente più alto di quello medio, quindi prepara il dizionario!
Dal punto di vista prettamente tecnico il titolo si comporta piuttosto bene nel complesso ma la versione per Nintendo Switch è afflitta da tempi di caricamento biblici che possono arrivare a toccare i 5 minuti, che sia un richiamo alla prima versione di Bloodborne?