Tomb Raider fa parte dell’improbabile rinascimento che i film videoludici stanno vedendo ultimamente. Pokémon: Detective Pikachu ha portato in vita i mostri da taschino, The Witcher su Netflix ha combinato videogiochi e romanzi in armonia, Castlevania ha ricevuto un anime, Sonic ha dato vita ad uno dei film dell’anno, The Last of Us ha un adattamento HBO in cantiere e Resident Evil vedrà la pubblicazione di due show su Netflix. Lo scetticismo che un tempo riguardava il film supereroistico ora sta abbandonando anche quello videoludico: merito anche del sangue giovane che sta dando vita ai film, e il regista Ben Wheatley fa parte delle nuove leve cresciute a pane e giochi.
Capire i videogiochi prima di trasporli su grande schermo
Ben Wheatley ha firmato il contratto per dirigere Tomb Raider 2 lo scorso autunno, e ha raccontato a Polygon che il film è al momento fermo a causa del COVID-19. Nonostante lo shock per i cineasti dal palato fino che il direttore vanta tra i propri fan, il regista è un videogiocatore da tempo immemore. “Avevamo una cosa chiamata un Binatone, aveva quattro tasti. Avevo Pong, l’hockey, le pistole (light gun, ndr) e tutto quanto. Gioco ancora, compreso Counter Strike e il tremendo Factorio”. La differente struttura narrativa dei videogiochi lo ha ispirato a dirigere Free Fire, che considera un film videoludico. “Praticamente è una partita a Counter Strike, e l’ho progettato in Minecraft.”
Niente Space Invader, ma solo Tomb Raider
Non hai letto male: il regista emergente Ben Wheatley ha spiegato nell’intervista come tutti i suoi film – Tomb Raider incluso – nascono in Minecraft persino a partire dalle fasi di storyboard. “Minecraft è lo strumento di design più maneggevole mai creato. Quando abbiamo costruito il set per Free Fire in Minecraft, gli abbiamo poi dato vita in un magazzino usando scatole di cartone. Ci è stato molto d’aiuto”. In merito all’avventura di Lara Croft, Wheatley non si scuce al di fuori dell’entusiasmo per la sfida che gli si prospetta. “I videogiochi non riescono ad entrare nel cinema perché sono nati al di fuori; la magia sta nell’interazione, che viene meno durante l’adattamento.”