Parlavamo poche ore fa dell’ennesimo rumor che vedrebbe l’esistenza di Resident Evil 4 Remake, grazie (o forse sarebbe meglio dire “a causa di”) un tweet dell’attore che ha impersonato Leon Kennedy già nel remake del secondo capitolo e che farebbe presagire come anche il rifacimento del quarto sia in lavorazione.
In realtà questo rumor gira già da un po’ di tempo ed ha acquistato ulteriore vigore dopo l’uscita del remake del secondo capitolo, da molti ritenuto un ottimo prodotto, tanto da arrivare a giocarsi il titolo di Game of the Year lo scorso anno.
Non si può dire lo stesso del terzo capitolo, anche se non si tratta in ogni caso di un pessimo prodotto.
L’età dell’oro dei remake
Resident Evil 4 Remake cadrebbe perfettamente in quella che a tutti gli effetti si può ritenere come una vera e propria “età dell’oro” dei rifacimenti, quella che abbiamo vissuto nella generazione che si sta avviando alla conclusione.
Cominciando ovviamente dal titolo Capcom uscito originariamente per la prima PlayStation, passando per un altro vero capolavoro come God of War (anche se si tratta di un reboot più che di un remake), fino alla nuova incarnazione di Tomb Raider.
Anche la next gen sembra voler da subito dare risalto a questo tipo di produzioni dal momento che Demon’s Souls Remake sarà tra i titoli di lancio di PlayStation 5, 11 anni dopo l’uscita dell’originale.
Inizialmente si potevano valutare questo tipo di progetti come un modo per fare buon viso a cattivo gioco in un momento storico in cui, evidentemente, venivano meno le idee per nuove ip di valore, ma vista la qualità dei prodotti che le varie software house sono state in grado di sfornare possiamo dire che ne sia valsa comunque la pena.
Ma vediamo come ha origine uno dei brand più celebri della storia videoludica.
La storia dei primi Resident Evil
La saga creata da Shinji Mikami per conto di Capcom vede i natali nel 1996, facendo la fortuna della prima PlayStation. Il contesto del gioco era semplice ma geniale e soprattutto era qualcosa che non si era mai visto prima: impersonavamo il membro di una squadra speciale, mandata per indagare su strani fatti accaduti in una cittadina della provincia americana, che lasciati nel mezzo di una radura dall’elicottero che li trasportava si ritrovavano a fuggire in un’enorme magione nel tentativo di mettersi in salvo da dei cani famelici.
Con queste poche immagini, realizzate con attori veri, inizia una delle saghe più importanti della storia dei videogiochi, nonché un genere di fatto nuovo, quello dei survival horror.
Si perché se con Alone in the Dark qualche anno prima si erano già esplorati i contorni dell’horror all’interno del mondo videoludico, il titolo di Mikami introduceva meccaniche completamente nuove: il nostro avatar, che potevamo scegliere tra Chris Redfield e Jill Valentine, si trovava a scoprire i segreti dell’inquietante tenuta popolata da zombi e mostri di vario tipo armato inizialmente solo di un coltello e di una pistola con 15 proiettili. Portare a casa la pelle, insomma, non era un gioco da ragazzi.
Il gioco era un capolavoro e divenne presto un grande classico per la capacità del team di sviluppo di tradurre in gameplay tutto quello che fino a pochi anni prima vedevamo solo nelle pellicole cinematografiche, in particolar modo grazie alle opere di George Romero e ai suoi film a tema zombi.
Non solo azione, però, perché durante l’avventura si aveva a che fare anche con tutta una serie di enigmi ambientali (mai particolarmente complessi per la verità) e una trama che seppur non memorabile era capace di calarti perfettamente nell’atmosfera malata che il titolo sapeva trasmettere.
Il successo del primo capitolo fu così grande che un secondo episodio era quasi d’obbligo, così nel 1998 arrivò quel Resident Evil 2 che, fatto non così frequente, seppe migliorare in maniera esponenziale tutti gli aspetti peculiari del primo episodio, dando anche la possibilità di affrontare la campagna principale da due punti di vista diversi, quello di Leon Kenney e di Claire Redfield.
Il terzo capitolo non ebbe lo stesso successo, ma a quel punto la saga iniziò ad sfornare tutta una serie di capitoli, altri degni di nota come Code Veronica, mentre altri assolutamente dimenticabili.
Da menzionare l’ottimo Resident Evil Rebirth che uscì per il meraviglio Game Cube e che fece conoscere le potenzialità di una console tanto bella quanto sfortunata, quantomeno da noi in occidente.
L’evoluzione del quarto capitolo
Sempre per Game Cube, nel 2005, vide la luce quello che rimane tuttora uno dei miei 5 giochi preferiti di sempre, quel Resident Evil 4 che grazie a tutta una serie di scelte di game design e ad un supporto hardware notevole portò una ventata d’aria fresca non solo nella serie, ma nel settore videoludico in generale.
Per la prima volta si vide una visuale in terza persona da dietro le spalle, cosa che in seguito fece la fortuna di giochi come Gears of War, ma a stupire erano soprattutto la varietà delle situazioni e la bellezza del gameplay, che per la prima volta nella serie si dimenticava dei fondali prerenderizzati e regalava a Leon Kennedy, il protagonista, una rinnovata capacità di movimento.
La critica maggiore che venne fatta al titolo, in verità praticamente l’unica, era che Resident Evil 4 rispetto ai precedenti aveva perso un po’ quei connotati horror che avevano contraddistinto la saga soprattutto nei primi due capitoli, virando più su atmosfere action e meno survival.
Su questo aspetto si può anche discutere, ma è anche vero che non mancano durante la campagna momenti di tensione e ambientazioni inquietanti, seppur in maniera minore rispetto al passato.
Diciamo che la bellezza del gioco portava a dimenticare tale aspetto.
Come detto, Resident Evil 4 non era solo bello, ma reinventava completamente il concetto che si aveva fino ad allora del brand: cambio della visuale, libertà e fluidità di movimento nettamente migliorata rispetto al passato, impronta maggiormente action e cambio anche piuttosto drastico delle ambientazioni ci regalarono un gioco che tuttora, a 15 anni di distanza, rimane indimenticabile e da cui tanti titoli che sono seguiti hanno preso ispirazione in maniera più o meno marcata.
Cosa aspettarsi da Resident Evil 4 Remake?
Con l’uscita del remake del secondo capitolo e dato il successo ottenuto, fin da subito si è iniziato a vociferare in maniera insistente circa la possibilità che anche Resident Evil 4 avrebbe beneficiato dello stesso trattamento.
Ma cosa è lecito aspettarsi da questo titolo che sarebbe logicamente pensato per console nex gen?
Grazie alle potenzialità di PlayStation 5 e Xbox Series X è lecito presagire che il gioco potrebbe avere un restyling nella direzione di renderlo ancora più inquietante di quanto magari non sia riuscito ad essere nella sua veste originale; ce lo immaginiamo sempre con l’iconica visuale in terza persona da dietro le spalle, dal momento che una scelta diversa lo snaturerebbe in maniera eccessiva.
Il titolo era già all’epoca molto più vasto rispetto ai precedenti (in media di almeno il doppio), quindi ci piacerebbe veder continuare questa tendenza magari con l’aggiunta di qualche area, anche opzionale, che lo rendano ancora più profondo da esplorare. Non abbiamo gradito, insomma, la scelta fatta con il remake del terzo capitolo in cui una parte intera, quella della torre dell’orologio, è stata completamente rimossa. Se remake deve essere, sopratutto di un gioco di tale portata, deve regalare a chi giocò l’originale qualcosa in più e deve avere un impatto travolgente in chi non provò l’esperienza ai quei tempi, anche solo per questioni anagrafiche.
Insomma, le aspettative per Resident Evil 4 sono alle stelle, ma è giusto ricordare che, ad oggi, siamo ancora nel mero campo delle mere speculazioni e che un annuncio ufficiale in merito ancora non è stato rilasciato.
Ovviamente, incrociamo le dita sperando sia solo questione di tempo.