Il nuovo anno ha portato tantissime novità nel mercato videoludico, tra una Next-Gen “difficile da trovare” e scuse mirabolanti da parte di alcune software house, ciononostante, la pace di questo “clima innovativo” è stata interrotta da un’azione molto dura da parte della Comunità Europea riguardante il “geo-blocco” dei titoli in vendita sugli store digitali come Steam. Per chi non lo sapesse, Il geo-blocco è una pratica che limita l’accesso a un prodotto online a seconda della posizione geografica dalla quale si effettua l’accesso a internet, pratica ricorrente nel mondo digitale su piattaforme quali YouTube e Netflix, ma anche nel mondo dei videogiochi.
La Commissione Europea punisce Steam senza pietà!
I protagonisti di questa “brutta esperienza” sono nientepopodimeno che Steam e altri cinque editori videoludici quali: Bandai Namco, Capcom, Focus Home Interactive, Koch Media e ZeniMax Media. La solenne e meritata punizione arriva direttamente dall’Unione Europea, la quale ha severamente sanzionato il comportamento scorretto delle sopracitate software house nella vendita dei propri titoli mediante l’utilizzo di chiavi di gioco geo-bloccate.
La punizione arriva sotto forma di una salatissima multa che si aggira intorno ai 7,8 milioni di euro, con la piattaforma di Valve costretta a pagare la propria parte per intero. Diversamente, la sorte si è rivelata un po’ più magnanima per gli altri editori i quali, a differenza di Steam (che ha rilasciato un comunicato con le chiare intenzione di fare ricorso), hanno deciso di collaborare seguendo le direttive imposte dall’Unione Europea. Per queste software house la “pena pecuniaria” è stata ridotta dal 10% al 15%. In seguito trovi l’elenco completo dei “cattivi”.
- Valve (Steam): € 1.624.000;
- Capcom: € 396.000;
- Bandai Namco: € 340.000;
- Focus Home Interactive: € 2.888.000;
- Koch Media: € 977.000 euro;
- ZeniMax Media: € 1.664.000.
Ovviamente questa indagine non è un fatto così recente, infatti, già nel 2017 l’ente Europeo aveva già cominciato a interessarsi all’argomento, mentre le sei società incriminate erano già state individuate nell’aprile 2019.