E’ possibile capire se un titolo centra il bersaglio, settando nuovi standard per un genere, quando nascono degli emuli che ne riprendono i punti di forza.
Stiamo naturalmente parlando di Resident Evil VII, con il suo horror da vivere in prima persona; Silver Chains, il titolo di cui parliamo oggi, è senza dubbio derivativo dal franchise Capcom.
Per fortuna, va detto subito a scanso di equivoci, dal settimo capitolo della celebre saga nipponica riprende l’atmosfera, sviluppandola però in maniera differente.
Il mese di gennaio ci ha dato un’anticipazione di quello che sarà Resident Evil: Village, primo vero test per le capacità della nuova generazione di console.
Purtroppo la demo, The Maid, è stata resa disponibile solo per PlayStation 5 che al momento è più rara di una copia non buggata di Cyberpunk, quindi se hai fame di una nuova esperienza horror la soluzione c’è.
Due anni dopo l’uscita originaria su PC, Silver Chains approda su PlayStation 4 per cui, bando ai preamboli, addentriamoci nella recensione.
Una magione ricca di segreti
L’avvio di Silver Chains segue pedissequamente i canoni del genere, salvo essere ambientato agli inizi del XX secolo.
Un incidente d’auto ci lascia appiedati davanti un’antica magione, completamente al buio tranne una finestra illuminata da cui si intravede una silhouette probabilmente femminile.
Quasi sulla soglia, in maniera molto conveniente, il nostro protagonista sviene per ritrovarsi all’interno dell’edificio.
All’inizio la nostra unica preoccupazione è quella di fuggire ma, man mano che la trama si dipana, le nostre priorità sono destinate a cambiare dal momento che il poco accogliente edificio nasconde più di quel che sembra a primo impatto.
L’incidente vicino alla magione non è del tutto casuale e più andremo avanti, più scopriremo qualcosa in più sul passato del giovane protagonista.
La storia narrate in Silver Chains è abbastanza scontata, quasi da manuale dell’horror, ma decente. Nulla di particolarmente innovativo, i colpi di scena sono facilmente anticipabili, ma la trama è scritta bene al punto da spingerci a continuare a giocare. Che è quello che dovrebbe fare ogni gioco.
Eliminati l’elemento in prima persona e la magione semidiroccata le similitudini con Resident Evil VII finiscono qui.
In Silver Chains non ci sono armi e non si combatte; il suo gameplay è più affine ai titoli di Bloober, con qualche differenza. Il fulcro del gioco sta nell’esplorare l’enorme casa risolvendo all’occorrenza alcuni semplici, ma efficaci, enigmi.
Nel fare questo incontreremo alcuni nemici che cercheranno di ucciderci, e tutto ciò che dovremo fare sarà correre a nasconderci. Si tratta di momenti abbastanza scriptati e poco spaventosi, in cui dovremo nasconderci nell’armadio più vicino e attendere finchè la musica non cessa di risuonare. A quel punto siamo liberi di muoverci.
Purtroppo il gioco è troppo breve; a primo impatto sembra un po’ più lungo per via della gran mole di backtracking presente, così come per la presenza di alcuni passaggi in cui non sappiamo bene cosa fare che ci vedranno impegnati a girare in tondo per la magione alla ricerca dell’oggetto necessario a proseguire, della stanza in cui far partire una cutscene e via dicendo.
Sapendo cosa fare in ogni momento, il gioco si riesce a completare in 2 ore scarse, anche di meno se la IA inconsistente dei pochi nemici non ci crea problemi.
Segnali di Stile
Tra i punti di forza di Silver Chain c’è sicuramente il comparto grafico. Pur trattandosi di un indie low budget, il gioco è piacevole a vedersi con buoni effetti di luce e ombre e un discreto framerate. Infatti dall’inizio alla fine vengono mantenuti 60fps senza rallentamenti o crash di sorta, con un’ottima qualità nella resa degli interni.
I pochi PNG presenti, invece, sono resi molto male: poche le animazioni, di bassa qualità e più simili a bambole che ad esseri umani o creature demoniache.
Il comparto sonoro è invece una via di mezzo. Se il doppiaggio (solo inglese) è di buon livello, Silver Chains non riesce a fare buon uso degli effetti sonori.
O meglio, è uno di quei titoli che punta tutto sui rumori forti e i jump scare. Elementi che a lungo andare annullano ogni pretesa di immersività e ormai non riescono neppure a spaventare il giocatore, ma solo ad annoiarlo.