Negli anni ’90 i videogiocatori di tutto il mondo hanno potuto assistere a una vera e propria esplosione del genere horror, serie iconiche come Resident Evil, Silent Hill e Alone in the Dark hanno conquistato (e terrorizzato) migliaia di appassionati proprio in questo decennio. Negli anni però, la percezione degli utenti sia del medium videoludico che del genere è cambiata, portando anche gli sviluppatori a modificare i propri prodotti.
L’esempio perfetto è senza dubbio Resident Evil, che coi capitoli 5, 6 e i due Revelations (e in parte anche col 4 a dirla tutta) ha assunto toni molto più action, salvo poi tornare sui suoi passi e reinventarsi con Resident Evil 7 e reibridare action e survival horror con Resident Evil Village. Le altre due serie citate non sono state così fortunate purtroppo, conosciamo perfettamente il destino di Silent Hill e di P.T. (ma continuiamo a sperare in un suo ritorno) e anche Alone in the Dark è scomparso dalle scene ormai dal 2008, non prima di aver salutato (e deluso) i giocatori con un goffo tentativo di reboot.
Il “problema” dell’horror è che ormai l’utenza, abituata a decenni di orrori videoludici e cinematografici, non è più così facile da impressionare; fortunatamente però di tanto in tanto spuntano gradite eccezioni partorite dalla mente di autori che sanno inquietare più che spaventare e hanno capito qual è a via giusta per far sopravvivere il genere. Un esempio perfetto è Visage, uno dei più riusciti horror degli ultimi anni, nato come tributo proprio a P.T., e del tutto a sorpresa, anche Song of Horror, l’oggetto di questa recensione.
Come accennavo in precedenza, al giorno d’oggi è difficile spaventare “per immagini”, si deve quindi puntare a creare atmosfere inquietanti, claustrofobiche e, soprattutto, ricreare un sonoro che tenga costantemente in tensione il giocatore ed elimini completamente la sua comfort zone: Song of Horror ci riesce alla perfezione, inserendo addirittura come colonna portante della trama le sconfortanti melodie che ci accompagneranno durante tutta la durata del gioco, ma analizziamo nel dettaglio questa sorprendente e inquietante opera!
Un racconto… da urlo!
Song of Horror è approdato da poco su console, ma la sua prima release è avvenuta a cavallo tra il 2019 e il 2020 in forma episodica; l’impostazione narrativa, che punta fortemente sul creare una continuità che tiene in considerazione gli eventi dei capitoli precedenti è ripresa dai titoli targati Telltale Games e Dontnod Interactive che, a parte poche eccezioni come Twin Mirror, hanno sempre mantenuto questa impostazione, che in verità può piacere o non piacere, ma risulta senza dubbio efficace e funzionale a tenere i giocatori col fiato sospeso tra un capitolo e l’altro.
Su console non ci sarà da aspettare, gli sviluppatori di Protocol Games hanno infatti deciso di rilasciare tutta la storia in un “pacchetto unico” che prende il nome di Complete Edition. Sinceramente penso sia uno dei pochi difetti che si possono attribuire all’opera, ed è più concettuale che tecnico; infatti, ho trovato ogni capitolo talmente denso dal punto di vista narrativo e pregno di lore, che la possibilità di gettarsi a capofitto quello successivo lascia poco tempo per riflettere ed esplorare quanto appena accaduto.
Naturalmente, la scelta sta al giocatore, che può tranquillamente scegliere di giocare i vari capitoli a distanza, e a dirla tutta è ciò che consiglio, prendersi magari due o tre giorni tra un capitolo e l’altro per non far risultare il troppo pesante, sarebbe un vero peccato dal momento che gli eventi messi in piedi dagli sceneggiatori e il modo in cui vengono narrati meritano davvero tanto e richiedono al giocatore molta attenzione per “vedere” anche le trame più nascoste e oscure.
Ancor prima di muovere i primi passi nel mondo di gioco, il titolo rende palese le sue forti ispirazioni alla letteratura angloamericana moderna, infatti, già nella selezione della difficoltà, i vari livelli di sfida verranno indicati coi nomi di alcuni celebri autori, per fare un esempio, la difficoltà Normale equivarrà a Edgar Allan Poe, autore de “Il Corvo”, mentre la difficoltà Difficile è riservata al “Solitario di Providence”, Howard Philips Lovecraft.
Il prologo continua fin dalle prime battute la palese volontà di omaggiare l’ambito letterario e ci vede vestire i panni dell’editore Daniel Noyer, ex alcolizzato che ha visto il suo matrimonio con Sophie (personaggio che ritroveremo più avanti) finire proprio a causa di questa sua dipendenza. Come in ogni opera noir che si rispetti, il tutto inizia con una chiamata che metterà in moto degli eventi inaspettati.
In particolare, il nostro capo Etienne ci metterà al corrente della scomparsa di Sebastian P. Husher, uno scrittore di cui stiamo attendendo il manoscritto per la pubblicazione e che risultato svanito nel nulla da pochi giorni, il tempo stringe e la casa editrice non può attendere, quindi per quanto Daniel sia riluttante all’idea di lavorare di venerdì sera, ci toccherà recarci a casa Husher, ma l’accoglienza non sarà delle migliori.
Ci ritroveremo infatti a esplorare una casa abbandonata, in cui il senso d’inquietudine è palpabile a ogni passo e viene accentuato da una costante e ossessiva melodia. Ben presto, Daniel sarà sopraffatto dalla casa e dalla sua misteriosa melodia e dovremo lanciarci al suo salvataggio. Se ti sembra che abbia rivelato troppo sulla trama, sappi che la narrazione è talmente fitta che questo prologo occupa a malapena la prima mezz’ora di gioco!
Entrando nel vivo del gioco, faremo conoscenza con La Presenza, il “nemico” principale del gioco, un terrore informe che ci darà costantemente la caccia e che dovremo arginare a qualunque costo. Una palese citazione al concetto di follia lovecraftiana (Song of Horror deve molto all’immaginario di Lovecraft anche per le ambientazioni gotiche e spettrali) che continuerà a perseguitarci per tutto il gioco assumendo forme sempre diverse di capitolo in capitolo.
Nel corso dei vari capitoli, infatti, la storia diventerà sempre più complessa, e vedrà nuovi filoni narrativi fare capolino dalle più oscure pieghe della trama e andare a comporre un quadro sempre più complesso e intricato, che riesce però a mantenersi costantemente a fuoco, senza mai diventare difficile da seguire, i giocatori più attenti però potranno scoprire collegamenti e piccole chicche nascoste che esalteranno ulteriormente la narrazione.
Da solo, al buio…
È fin da subito palese come, a livello di gameplay, oltre che nelle ambientazioni, Song of Horror voglia omaggiare il primo Resident Evil e i primi Alone in the Dark, andando però a ridurre all’osso la formula eliminando completamente la componente action e semplificando anche quella survival! Quello che resta è sostanzialmente un titolo nel quale a farla da padrone è la risoluzione di enigmi, in puro stile punta e clicca, ma la varietà di situazioni e la perfetta costruzione delle atmosfere contribuirà a rendere il tutto costantemente intrigante.
All’inizio di ogni capitolo potremo selezionare uno dei vari personaggi proposti, alcuni cambieranno di capitolo in capitolo, la permanenza di altri nella selezione invece sarà legata alla loro sopravvivenza! Infatti, ciò che contraddistingue Song of Horror è il permadeath dei protagonisti: non ci sarà via di scampo, qualunque errore potrebbe essere fatale!
Ad accrescere la sensazione di ansia del giocatore c’è anche la possibilità di incorrere in una morte istantanea! Se nel primo capitolo questa situazione potrebbe verificarsi solo in un paio di occasioni che ben presto saranno prevedibili, il tutto si complica a partire dal secondo capitolo in poi, in cui la mancanza di discrezione e furtività da parte del giocatore potrebbe significare una fulminea fine delle nostre disavventure.
A variare la formula e renderla più dinamica contribuisce l’antagonista principale, La Presenza, che cercherà costantemente di eliminare il personaggio di turno. Non potendo reagire ai suoi attacchi, dovremo ricorrere a dei quick time event per respingerla o per nasconderci, questi momenti daranno il giusto ritmo al gioco, evitando di far percepire ai giocatori meno abituati ai punti e clicca vecchia scuola un senso di ripetitività o lentezza.
Inoltre, una run non sarà letteralmente mai uguale all’altra grazie a un’accennata componente da GDR da tavolo: i vari personaggi infatti avranno delle statistiche che li favoriranno in uno degli aspetti del gioco, ci sarà quindi il personaggio più forte, ma meno veloce o furtivo, quello più debole, ma più sereno che sarà meno incline dunque a subire gli attacchi del nostro nemico invisibile e via dicendo. Per quanto alla morte di un personaggio potremo facilmente recuperare tutti gli oggetti raccolti fino a quel momento, il tutto sarà talmente ben strutturato che il senso di perdita lasciato dal permadeath sarà palpabile.
Comparto tecnico da brividi!
Il modo in cui si presenta tecnicamente Song of Horror è singolare, e potrebbe lasciare perplessi a una prima occhiata. Nel prologo del gioco infatti ci ritroveremo nell’ufficio di Daniel, la grafica che ritroveremo in questa ambientazione mi ha fatto inizialmente sottovalutare la produzione dal momento che sembra di trovarci al cospetto di un titolo nato a cavallo tra settima e ottava generazione, piuttosto che una produzione recente.
Avventurandoci nella seconda parte del prologo e nel primo capitolo però la musica cambierà drasticamente! Il gioco infatti graficamente dà il meglio di sé negli ambienti oscuri che contraddistinguono la quasi totalità della produzione, coi personaggi che risulteranno abbastanza plastici nei movimenti e nei totali, ma che nei primi piani riusciranno a restituire alla perfezione il senso di terrore provocato dagli incontri con La Presenza.
Anche il sonoro risulta davvero convincente, come anticipato, l’aspetto tecnico che negli horror ha ormai assunto un peso a tratti superiore rispetto alla grafica non solo restituisce un’ottima sensazione di tridimensionalità con rumori ambientali sempre presenti alle nostre spalle che daranno la costante sensazione di essere braccati, ma addirittura diventa parte integrante della narrazione con un onnipresente accompagnamento di pianoforte perfettamente giustificato all’interno della trama.
In definitiva, Song of Horror risulta un titolo estremamente convincente e con diverse frecce al suo arco che partono da una trama ben articolata e raccontata fino a un comparto tecnico davvero azzeccato seppur con qualche sbavatura. A chiudere questo oscuro quadro c’è un gameplay essenziale, ma che trova un giusto ritmo per il genere di appartenenza e risulta come uno dei progetti di genere horror più riusciti degli ultimi anni.