La fantapolitica è un genere narrativo che ben si sposa con gli strategici in tempo reale, ma per creare un buon RTS occorre essere in grado di non cadere in trame scontate e/o in meccaniche già viste o comunque troppo comuni. Inoltre anche l’occhio vorrebbe la sua parte, con opportune rifiniture dal punto di vista tecnico ed estetico, complice il fatto che gli RTS sono titoli ricchi di dettagli non tralasciabili al fine di trionfare o quantomeno di godersi al meglio l’esperienza di gioco.
Ebbene, si dà il caso che Hell of Men: Blood Brothers, titolo inquadrabile a tutto tondo nel genere, non rispetti nessuno di questi obblighi, risultando così in titolo che non vale assolutamente il tempo dedicatogli dal più intenditore tra i gamer. Una colpa grave se si pensa che il titolo è stato in early access fin dal 23 settembre 2019.
Andiamo a vedere come mai!
Hell of Men: Blood Brothers, ‘fratelli di sangue’ e ‘nel sangue’
Il sottotitolo del gioco deve il suo nome alla prima campagna single player da esso proposta, la quale racconta la storia di due fratelli, Iwan e Stefan Kolowski, rispettivamente un fante e un artigliere che si ritrovano a combattere fianco a fianco in Bielorussia per fermare un’incalzante avanzata russa verso la loro natia Polonia.
Il tutto prende vita in un contesto fantapolitico che si ispira in parte a quanto avvenuto in Crimea nel 2014 ma più su larga scala e con dichiarate intenzioni belligeranti. Una malafede che non si riesce a decifrare considerando che Whacky Squad Studio, sviluppatore del gioco, è francese, mentre il publisher, Zerouno Games (che tra l’altro ha messo le mani sul progetto a fine aprile scorso, quindi ben dopo l’inizio dell’early access) è spagnolo.
Questa campagna principale prevede cinque missioni da giocare in successione, mentre la Campagna della NATO e la Campagna della Russia permettono di prendere parte al conflitto in maniera più generale, giocando nove missioni per ciascuna parte. La possibilità di giocare per entrambe le parti riporta alla mente una perla strategica e ucronica targata Massive Entertainment venuta alla luce nel 2007, vale a dire World in Conflict, che con la sua espansione, World in Conflict: Soviet Assault, dava la possibilità al giocatore di schierarsi periodicamente dal punto di vista dei sovietici.
Ogni missione è introdotta da una cutscene grafica che ne illustra il background narrativo in maniera simile a come avveniva nelle campagne dei primi due Age of Empires, sebbene in questo caso la qualità artistica di esse lasci molto a desiderare (come nel caso di Hot Brass, un titolo multiplayer che recensimmo circa quattro mesi fa, nel quale i disegni che costituivano le cutscene sembravano realizzati con Paint).
Meccaniche già viste, mappe deludenti
Per quanto riguarda il gameplay, esso fa eco a classici del genere anche non esageratamente famosi riprendendone diverse caratteristiche. Un’esempio sono le limitazioni al terreno edificabile. Infatti la porzione di terreno sul quale erigere la nostra base è limitata all’area coperta dalle centrali di energia elettrica, che dovremo preoccuparci di costruire man mano che lo spazio diventerà insufficiente. Tale meccanica ricorda molto quella del terreno profanato presente ne Il Signore degli Anelli: La Guerra dell’Anello (2004), RTS di Sierra Entertainment.
Il combat, in special modo la possibilità di trasportare le truppe facendogli prendere il controllo di un mezzo meccanico quale potrebbe essere un veicolo cingolato, ricorda molto quello di Codename: Panzers (2004), un altro classico della strategia videoludica, dove poteva verificarsi la stessa cosa ma all’inverso, ossia che, se un mezzo diveniva inutilizzabile a causa di un guasto di sorta, l’equipaggio poteva uscire e continuare la battaglia a piedi. Ben orchestrata la possibilità di sbloccare veicoli sempre più potenti inoltrandosi in territorio nemico e conquistando vari punti di controllo, probabilmente uno dei pochi punti di forza del titolo.
Per quanto riguarda l’avanzamento tecnologico, riemerge ancora una volta l’ispirazione agli Age of Empires, dove le età sono sostituite dai gradi.
Le risorse, immancabili, sono essenzialmente tre: cibo, munizioni e materiali, che vanno raccolte manualmente dai tecnici (a parte il cibo, che si trova su dei camion accanto ai quali va costruita una mensa) e sono distribuite casualmente sulla mappa. Tra edifici ed unità, la varietà è veramente scarsa e la voglia di impegnarsi nella paziente raccolta di risorse onde sbloccare tutto ciò che c’è di sbloccabile in una partita passa molto presto. A queste tre risorse si aggiunge la già menzionata elettricità, che diminuisce all’aumentare degli edifici costruiti.
La raccolta delle risorse è enormemente sbilanciata verso materiali e munizioni, mentre il cibo è piuttosto raro. Ciò rende il reclutamento delle unità lento e noioso da gestire,
Unity… Unity ovunque
Il titolo di questo paragrafo non è tanto una critica a Unity (che rimane comunque un validissimo engine se usato correttamente) quanto alla mancanza di qualunque tentativo da parte degli sviluppatori di camuffare Unity. Qualunque gamer che si diletti con gli indie riconoscerebbe numerosi elementi grafici distintivi (e.g. la vegetazione scheletrica) di questo popolare motore grafico senza neanche dover leggere il famigerato ‘made with Unity‘ che sempre campeggia all’avvio di questi titoli.
La grafica è infatti estremamente minimalista, e i movimenti delle unità caotici e difficili da gestire anche a causa dei cali di frame rate che si riscontrano semplicemente spostandosi con la visuale sulla mappa, un’eventualità che non dovrebbe mai verificarsi in un titolo RTS. Abbiamo inoltre già parlato delle cutscene fatte con un simil-Paint, alle quali si aggiungono le interfacce datate ed esteticamente poco gradevoli.
Ma la cosa più spiacevole di Hell of Men: Blood Brothers è la colonna sonora, la quale è stata riciclata in parte da titoli mobile cinesi, in particolare un beat ’em up free-to-play con il quale chi scrive ammazzava il tempo mentre viveva in Cina, il quale sembra essere miracolosamente sparito da ogni store online, compreso quello interno a WeChat (il social network e app di messaggistica istantanea cinese per eccellenza).
Aggiungiamo a tutto ciò un sonoro caotico tanto quanto i movimenti dei personaggi e un doppiaggio stereotipato ‘slaveggiante’ al quale mancano solo le imprecazioni dei giocatori russi di Counter Strike: Global Offensive e otteniamo il deludente comparto audio Hell of Men: Blood Brothers.
La promessa di Zerouno Games
Quando, a fine aprile 2021, Zerouno Games ha preso sotto la propria ala questo progetto, ha contemporaneamente manifestato l’intenzione di migliorarlo. Un’operazione fattibilissima considerando anche il vasto curriculum del publisher madrileno.
Da allora sono passati quasi due mesi esatti, e ancora non c’è traccia di questo aggiornamento epocale, che almeno secondo quanto sostiene il publisher spagnolo, dovrebbe stravolgere il titolo facendogli fare un gargantuesco salto di qualità. È anche vero che la full-release di Hell of Men: Blood Brothers è prevista per il 29 giugno. Ergo sicuramente ci sarà da rimettere mano al titolo nei prossimi per scoprire se questo favoleggiato miglioramento stia davvero bollendo in pentola oppure no. Resta il fatto che, per il momento, Hell of Men: Blood Brothers è un titolo di cui le nostre librerie Steam possono fare tranquillamente a meno.