Molto prima di Returnal, l’accoppiata spazio-imprecazioni su PlayStation 4 era degnamente rappresentata da The Persistence, interessante FPS Roguelike sviluppato da Firesprite.
Nel 2018, anno della sua uscita originaria, il titolo creato dallo studio composto da ex sviluppatori Psygnosis (aka Studio Liverpool) era un esclusiva per PlayStation VR, con la naturale conseguenza che fino ad oggi è rimasto un titolo abbastanza di nicchia. Tre anni e una generazione di console dopo, The Persistence abbandona le sue origini in realtà virtuale per approdare sugli schermi di tutte le piattaforme.
Per scoprire se l’operazione ha avuto successo o meno, senza indugiare oltre passiamo alla recensione vera e propria.
Nello spazio nessuno può sentirti imprecare
Trattandosi di un horror fantascientifico la trama segue un canovaccio abbastanza classico: una stazione spaziale, impegnata in una missione volta a colonizzare nuovi mondi, entra in contatto con un buco nero che causa un incidente molto grave.
A seguito di questo incidente tutto il personale a bordo viene sterminato e la macchina clonatrice presente a bordo, completamente impazzita, inizia a sfornare aberrazioni a ripetizione che presto infesteranno ogni singolo ambiente della gigantesca astronave.
In realtà anche la protagonista Zimri Eder è morta: diversamente dagli altri passeggeri, però, la sua coscienza è stata caricata sulla IA di bordo che la trasferisce in un esercito di cloni prodotti ogni volta che moriremo. Del resto siamo l’unica speranza di salvezza per l’intera, preziosissima, stazione spaziale e Serena, questo il nome dell’Intelligenza Artificale che ci assiste, ci ha portati indietro dalla morte proprio per riparare i motori della nave e sfuggire all’attrazione del buco nero.
Il gameplay
Più facile a dirsi che a farsi, perchè l’essenza di The Persistence sta tutta nel titolo: per avanzare nel gioco serve tanta, ma proprio tanta, perseveranza. Già in avvio di gioco il team di sviluppo ci avvisa che si tratta di un gioco pensato per essere difficile e offrire un livello di sfida tale che il giocatore possa trovare soddisfazione anche quando avanza di un solo passo, senza fare progressi sensibili nella storia.
Trattandosi di un roguelike ogni volta che moriremo, e almeno inizialmente succederà abbastanza spesso, verremo riportati alla Camera di Clonazione privi di tutto quanto avevamo nel nostro inventario ad eccezione di una particolare pistola denominata Estrattore di Cellule Staminali.
Pur non essendo una vera e propria arma, l’Estrattore diventerà ben presto uno dei nostri compagni più fedeli; non termineremo mai le munizioni e, cogliendo di sorpresa i nemici, premendo un semplice tasto spareremo un ago con cui prosciugare le loro cellule staminali ed eliminarli in maniera rapida e silenziosa.
Questo avrà un risvolto importante nell’economia del gameplay, poichè le cellule staminali sono indispensabili per migliorare le abilità di Zimri (dalla salute, all’abilità nel corpo a corpo) saremo spesso invogliati a portare avanti un approccio stealth nei confronti dei nemici. Nemici che peraltro non sono affatto stupidi e ci noteranno e inseguiranno se scorgeranno la nostra luce o qualche movimento di troppo, anche se non ci potranno seguire attraverso i vari ambienti (probabilmente perchè le chiusure automatizzate non li riconoscono come veri membri dell’equipaggio).
Del resto è il gioco stesso, tramite la nostra IA, a sconsigliarci un approccio diretto, più da FPS per intenderci: i nemici sono troppi e non sempre saremo attrezzati a dovere.
Inoltre Zimri non ha grandi doti atletiche che le consentano di sfuggire velocemente: oltre al normale movimento abbiamo un teletrasporto a breve distanza, utile per superare delle barricate ad esempio, e un più utile scudo portatile che funge da parata e se utilizzato col giusto tempismo ci consente di attaccare i nemici con l’estrattore. Niente corsa o salto, soltanto una sorta di supersenso che ci consente di individuare i nemici nelle vicinanze; si tratta di un’abilità che prosciuga materia oscura e quindi non potremo utilizzarla in maniera continuativa.
Come da tradizione del genere, la maggior parte del tempo di gioco sarà destinata a raccogliere le risorse necessarie sbloccare e costruire le armi a nostra disposizione nelle apposite postazioni (praticamente delle stampanti 3D) e a sviluppare quanto più possibile le abilità di Zimri.
Per quanto riguarda le armi abbiamo a disposizione le categorie classiche: armi da fuoco, da mischia, granate e armi sperimentali. Se le prime 3 tipologie non necessitano particolari spiegazioni, nel caso delle armi sperimentali sappi che troveremo davanti ad alcuni sieri in grado di renderci invulnerabili o di addomesticare qualunque nemico o di armi a base di teletrasporto in grado di stroncare qualunque resistenza.
Ovviamente qualsiasi arma non è eterna e una volta finire le scorte in nostro possesso sparirà dall’inventario obbligandoci a tornare indietro per produrne di nuove; questo perchè attivando la stampante potremo creare un oggetto per volta, sarà invece possibile effettuare più potenziamenti.
Una volta raccolta l’arma selezionata dovremo attendere qualche minuto per accedere di nuovo. Per poter creare quanto ci occorre dovremo raccogliere dei gettoni appositi e i fabchip, indispensabili per pagare la stampa alle macchine, che fungono da veri e propri negozi ingame.
Tanto i fabchip, quanto gettoni e cellule staminali sono disseminati per la mappa in quantità abbastanza moderata, rallentando un po’ il ritmo di un gioco che fa dello sviluppo del giocatore la sua principale caratteristica. Nulla di irrimediabile, ma è una nota sicuramente stonata.
Un elemento innovativo del gioco, giustificato da un malfunzionamento dei sistemi di bordo, è la generazione procedurale della mappa di gioco. A causa dell’incidente, la stazione ha attivato la propria macrostruttura autoconfigurante, per cui ogni volta che ricominceremo dall’hub primario il percorso da fare sarà sempre abbastanza diverso. Non del tutto comunque, dal momento che ci sono alcune sequenze scriptate che gli sviluppatori hanno utilizzato per posizionare i classici jumpscare o alcuni momenti importanti per la storia, tuttavia la varietà di ambienti aiuta il giocatore a non annoiarsi e a mantenere alta la voglia di procedere.
Ad aiutare i giocatori meno avvezzi al genere è presente una modalità assistenza che, sebbene sconsigliata dal gioco, ci consente di abilitare alcuni aiuti come un minore impatto dei danni causati dai nemici o un rallentamento degli stessi, così da rendere l’esperienza di gioco meno faticosa. Visto il tipo di gioco probabilmente abilitare questi aiuti ci fa perdere qualcosa ma è positivo che gli sviluppatori siano voluti venire incontro a tutti i tipi di giocatori.
Segnali di stile
The Persistence tradisce in parte la propria origine di gioco per VR: gli ambienti bui e angusti della stazione spaziale venivano affrontati meglio con il visore, aumentando parzialmente le chance di sopravvivenza. Il lavoro di adeguamento grafico alla next gen è sicuramente positivo, con il raytracing sugli scudi anche se la modalità prestazioni a 60 fps rimane preferibile. Se gli ambienti della stazione spaziale risultano molto curati e convincenti, lo stesso non si può purtroppo dire dei nemici che sembrano presi di peso da qualche generazione addietro. Le creature infatti, oltre ad avere una scarsa varietà, appaiono piuttosto grezze e con poligoni poco rifiniti, anche in questo caso probabilmente le colpe sono da ascrivere alla natura di The Persistence pensato per i parametri del VR. Il comparto sonoro, con il sottofondo musicale mai invasivo, è un ottimo accompagnamento per un’avventura che probabilmente non è spaventosa toutcourt ma mantiene costantemente alto il livello della tensione.