Non è la prima volta che trattiamo di videogame violenti e di come vengono percepiti in generale dagli individui, sia quelli appassionati del mondo videoludico sia, soprattutto, da quelli che invece questo mondo lo criticano. Nella storia di questa fetta di intrattenimento ci sono stati molti casi che hanno scatenato una pioggia di critiche da ogni parte, soprattutto da chi vede questo passatempo come un rischio per la salute e un buon modo per diventare assassini sociopatici.
Uno studio rilasciato oramai nel 2017 ha però provato a confutare le teorie che vedono il giocatore appassionato di giochi di guerra o di titoli particolarmente cruenti come incapace di uscire dalla spirale di violenza che questi dovrebbero causare. Prima dello studio condotto da Gregor Szycik della Hannover Medical School in Germania, molte ricerche avevano indicato come sul breve periodo ci fosse un legame, sicuramente controverso, tra il gioco stesso e la mancanza di empatia.
Il team del dottor Szycik ha però esaminato gli effetti a lungo tempo che questo tipo di passatempo potrebbe avere sulle persone e, forse sorprendentemente per alcuni, non ha trovato alcune correlazione. “Interpretiamo i nostri risultati come prove contro l’ipotesi della desensibilizzazione e suggeriamo che l’impatto dei media violenti sull’elaborazione emotiva potrebbe essere piuttosto acuto e di breve durata” è quanto dichiarato dai ricercatori nel loro articolo.
I dettagli dello studio sui videogame violenti
Per fare tutte le verifiche del caso, lo studio ha coinvolto un totale di 30 persone: 15 giocavano regolarmente a videogiochi violenti, con una media di 4 ore al giorno, mentre gli altri 15 non avevano mai giocato a questa tipologia di titoli. I partecipanti sono stati scelti tutti di sesso maschile, non solo perché più propensi a questo tipo di gioco, ma anche perché i comportamenti aggressivi sono più diffusi tra gli uomini. Tra i nomi più famosi, questi individui si sono trovati a giocare ad esempio a Call of Duty e Counter Strike.
Al fine di evitare effetti a breve termine a tutti i partecipanti è stato chiesto di non giocare nelle tre ore antecedenti l’esperimento, iniziato con alcuni test psicologici e proseguito con una risonanza magnetica. Durante questo passaggio venivano mostrate immagini pensate appositamente per scatenare una risposta cognitiva legata ad empatia ed emotività, così da capire quali regioni del cervello venissero attivate.
Uno dei primi risultati interessanti di questo studio ha riguardato proprio il test iniziale, che ha dimostrato come aggressività ed empatia dei giocatori e dei non giocatori fossero di pari livello. Anche analizzando i risultati delle risonanze magnetiche si sono scoperti valori praticamente privi di differenze.
In una dichiarazione che ha seguito lo studio si legge come “Questi risultati hanno sorpreso i ricercatori, poiché erano contrari alla loro ipotesi iniziale e suggeriscono che qualsiasi effetto negativo dei videogiochi violenti sulla percezione o sul comportamento potrebbe essere di breve durata“.
Una specifica successiva chiarisce inoltre che, negli studi precedenti, i partecipanti non erano stati allontanati dai videogame violenti prima della ricerca stessa, fattore che potrebbe aver avuto un impatto sull’esito. Di fatto quei risultati avrebbero potuto essere “influenzati non solo dalla desensibilizzazione ma anche da altri fattori come una maggiore attenzione verso le azioni motorie o l’attivazione immediata di cognizioni aggressive“.
I limiti della ricerca riguardo l’empatia
Ovviamente si tratta di uno studio che ha in effetti dei limiti, soprattutto dovuti al ridotto numero di soggetti presi in considerazione e all’oggettiva difficoltà di lavorare con “risultati nulli”. In ambito scientifico si parla di risultato nullo quando ci si trova senza il contenuto realmente atteso, che differisce però da un risultato pari a zero.
Benché le 30 persone fossero state invitate a non giocare a videogiochi violenti, non è detto che non abbiano usufruito di contenuti multimediali di altro tipo, come film o pagine internet, a sfondo violento. Ciò significa che potrebbero essere stati desensibilizzati attraverso altri mezzi, andando quindi ad inficiare parte dello studio.
Tolto questo, c’è sicuramente da dire che si tratta di uno studio davvero molto interessante, perché pone le basi per una verifica più approfondita di ciò che tutti credono plausibile: ossia che massacrare esseri umani virtuali all’interno del mondo di gioco è la base di partenza migliore per uscire in strada e fare altrettanto. È una fortuna che, capaci di esulare dall’isteria tipica dei giornali e dei siti che tentano solo di portare a casa visualizzazioni, ci siano comunque figure di stampo scientifico che studiano eventuali correlazioni di questo tipo.
È il team tedesco in primis a riconoscere che sono necessarie ulteriori ricerche: “Speriamo che lo studio incoraggi altri gruppi di ricerca a concentrare la loro attenzione sui possibili effetti a lungo termine dei videogiochi sul comportamento umano“, ha affermato Szycik. “Questo studio ha utilizzato immagini emotivamente provocanti. Il prossimo passo per noi sarà analizzare i dati raccolti sotto una stimolazione più valida, come l’utilizzo di video per provocare una risposta emotiva“.
Per chi fosse interessato l’argomento, masticasse un bel po’ di inglese e fosse anche parecchio ferrato in psicologia, sul portale Frontiers in Psychology è disponibile tutto l’abstract della ricerca. Una lettura non propriamente estiva, ma sicuramente interessante.