Riot Games diventa il prossimo “bersaglio” del Department of Fair Employment and Housing (DFEH) della California che ha iniziato una vera e propria battaglia contro ogni azienda che dimostra avere irregolarità sul posto di lavoro. E Riot Games sembra far parte di questa categoria, proprio come Activision Blizzard.
Quest’ultima è stata denunciata per molestie sessuali e discriminazione sul posto di lavoro, ma non solo; atti di razzismo, transfobia e molto altro sono venuti alla luce nel corso delle indagini e del processo in atto ancora oggi. Riot Games finirà proprio come l’azienda prima citata?
In realtà per Riot Games le accuse sono molto meno pesanti (almeno al momento) e riguardano principalmente l’informazione che l’azienda non è riuscita a dare correttamente ai propri dipendenti, ingannandoli. In pratica, chi lavora nell’azienda non conosce (per volere dell’azienda) i propri diritti nel partecipare alle indagini riguardanti Riot Games, né alle cause in cui è coinvolta. Questa storia va, quindi, avanti da un po’ di tempo? A quanto pare sì.
Un dipendente che non sa di poter parlare liberamente con il governo o le autorità locali delle pratiche legali del luogo in cui lavora, per il DFEH è oltremodo inappropriato e oltraggioso per l’intelligenza della persona stessa. Anche perché il dipendente deve essere messo in guardia da un dettaglio molto importante: parlando e testimoniando non avrebbe mai avuto ripercussioni.
Riot Games avrebbe tardato a mandare l’informazione ai dipendenti: scelta voluta o una piccola svista?
Da quel che si evince, il DFEH ha avviato l’accusa contro Riot Games da ormai due mesi, tempo in cui gli stessi dipendenti non erano stati avvisati dei diritti che possiedono. Il 4 giugno, il Department of Fair Employment and Housing aveva espressamente richiesto alla madre di League of Legends di procedere con l’attuazione delle loro richieste, ma ciò non è mai accaduto.
Recentemente, quindi, è uscito sul web il documento ufficiale da parte del DFEH dove dichiara quanto detto fino ad adesso in questo articolo: “siamo allarmati dal linguaggio negli accordi di liquidazione e separazione di Riot Games, i quali suggerirebbero che i dipendenti non potrebbero parlare volontariamente e liberamente con il governo di molestie sessuali e altre violazioni”.
“Gli accordi che tentano di impedire agli individui di presentare una denuncia o di assistere in un caso di DFEH sono contrari alle disposizioni anti-ritorsione e anti-interferenza del Fair Employment and Housing Act.” dice Kevin Kish, direttore del DFEH.
Riot Games si è subito prodigata a inviare una mail anche agli ex dipendenti mettendo in chiaro che la clausola citata dal DFEH non “esiste” e che loro non vietano assolutamente la libertà di parola.
A questo punto non sappiamo se ci siano già stati eventi simili a quelli di Activision Blizzard, ma si presume di sì in quanto i dipendenti non avrebbero neanche potuto avviare una causa legale: non avrebbero ricevuto alcun tipo di rimborso, secondo il loro contratto.
Anche in questo caso Riot Games se la caverà? Ti ricordiamo che nel 2018 l’azienda venne accusata di favorire le molestie sessuali sul luogo di lavoro insieme a episodi discriminanti e al centro di questa spiacevole situazioni c’erano un’attuale dipendente dell’azienda e un’ex lavoratore. Entrambi hanno avuto, l’anno seguente, un risarcimento di 10 milioni di dollari e, nello stesso anno, l‘amministratore delegato Nicolò Laurent venne accusato di aver molestato un’assistente esecutiva. Dalle indagini, però, non risultò esserci alcun tipo di prova.
Un altro caso Activision Blizzard? Il fatto che l’azienda madre di League of Legends abbia quantomeno risposto alle accuse, o almeno cercato di “risolvere”, fa ben pensare anche se tutto ciò non basterà agli occhi del DFEH. Giustizia, a quanto pare, non è stata ancora fatta; ti terremo aggiornato sulle novità in merito.