Quella che segue è certamente di una frase trita e ritrita, utilizzata tanto tra appassionati quanto tra addetti al settore dell’arte videoludica, eppure sempre attuale: ‘Nel mondo degli indie, quando non si hanno troppe risorse, bisogna puntare sull’originalità‘.
Falling Squirrel Inc. questo lo sa bene, e si è attenuta totalmente a questo principio dando vita a The Vale: Shadow of the Crown, un titolo che non si fa fatica a definire ‘per intenditori‘, eppure, fruendone, si percepisce subito che esso ha un valore molto più profondo: si tratta probabilmente di uno dei pochi videogiochi fruibili in toto da chi non vede, in grado di proporsi ottimamente anche a chi vede.
Non è la prima volta che noi di iCrewPlay parliamo di questo raro (ma non troppo) esemplare di audiogame. Già l’anno scorso gli dedicammo infatti un’anteprima, che puoi leggere qui.
Ogni elemento di questo titolo, che riesce sorprendentemente a mantenere ogni singola caratteristica del genere in cui si auto-colloca, ovvero l’RPG, è concepito su misura per divertire le persone prive del dono della vista, e al contempo tali attenzioni non penalizzano minimamente l’esperienza del pubblico vedente. Vedremo in seguito perché. Diamo prima un’occhiata alla storia che The Vale: Shadow of the Crown racconta.
The Vale: Shadow of the Crown, una storia di resilienza e di coraggio
Le vicende narrate in The Vale: Shadow of the Crown si collocano in un ambientazione medievale scevra di elementi magici, piuttosto legata alla realmente esistita media aetas europea, dura e cruenta.
In questa situazione nasce e vive Alex, figlia del sovrano del regno fittizio di Glades, la quale è tuttavia salvata dall’emarginazione sociale solo grazie al proprio sangue reale, essendo non vedente fin dalla sua venuta al mondo.
Oltre a questa condizione ci sono anche altre due avversità che complicano la sua vita: l’essere donna e l’essere secondogenita.
A fronte di un padre impietoso e assente, la ragazza cresce con l’affetto sia del fratello Theo, erede al trono, che dello zio Ivor, che le farà da mentore nell’arte del combattimento, ritenendo ingiusto trattarla diversamente da come avrebbe fatto se gli occhi di lei fossero stati in grado di vedere.
Alla morte del distante genitore, Theo gli succede, mentre per la nostra protagonista viene disposto che dimori in una fortezza ai margini del regno con una schiera di servitori al seguito, compreso lo zio Ivor, che la scorta durante la lunga traversata.
Tale viaggio si rivela non solo lungo, ma anche pericoloso, infatti viene interrotto dall’attacco delle avanguardie di un temibile esercito invasore che si dirige verso Nobell, capitale del regno di Glades e città natale di Alex.
Sopravvissuta all’attacco, la giovane, seppur malmessa da questa peripezia, deve tornare verso casa onde dare man forte a suo fratello. Ad aiutarla ci sarà Abdelrashid, un pastore incontrato lungo la strada che sarà i suoi occhi. Il lungo percorso si rivelerà anche una via verso verità nascoste.
‘Fidati dell’istinto, Alex!’
Come anticipato sia nella già menzionata anteprima dedicata al titolo che nel primo paragrafo di questa recensione, The Vale: Shadow of the Crown è un esempio di audiogame, ovverosia un’opera videoludica concepita per essere fruita anche, se non principalmente, dalle persone non vedenti.
L’esperienza visiva di gioco è infatti, con poche eccezioni consistenti solo nei vari menù e nella mappa di gioco, la quale peraltro non richiede interventi in cui l’occhio umano rivesta particolare importanza, ridotta ad un immutabile schermo nero, intervallato solo dalle schermate di caricamento (ragionevolmente molto brevi), e punteggiato da lucciole che cambiano colore da giallo a blu a secondo dell’ora del gioco, a uso e consumo del giocatore vedente, che potrebbe non percepire che il gioco stia effettivamente andando avanti.
Una voce fuori campo viene in aiuto del fruitore non vedente quando compaiono scritte a schermo rilevanti per l’avanzamento (al solito limitate ai soli menù).
Udito e tatto divengono fondamentali durante le fasi di combattimento, piuttosto numerose e cadenzate. I nuovi controller aptici giocano un ruolo preminente, sebbene The Vale: Shadow of the Crown sia fruibile tranquillamente anche con la sola tastiera (la configurazione controlli è peraltro orchestrata in maniera anatomica, cosicché il giocatore non vedente può trovare facilmente i tasti da premere mantenendo le mani rilassate).
Qualora si utilizzi un controller per giocare, esso coadiuverà l’udito nell’individuare la direzione degli attacchi. Il combat è infatti basato su un sistema di contrattacchi richiedente estremo tempismo. Da escludere nel modo più assoluto lo spamming, visto che Alex ha una stamina limitata, il cui esaurimento è percepibile dal solo affannare della ragazza (ribadiamo, non è visibile a schermo nessuna barra, né di salute né di stamina).
Il controller vibra in posizioni diverse a seconda della direzione da cui provengono gli attacchi (davanti, sinistra o destra). Dalla medesima direzione arrivano i rumori fatti dagli avversari, anch’essi indicatori di un attacco in arrivo.
L’udito serve anche ad orientarsi nelle situazioni di calma, in cui il gioco assume totalmente i tratti di un RPG. L’equipaggiamento è infatti personalizzabile, per quanto abbastanza elementare nella varietà (sono presenti solo livelli nudi e crudi, privi di statistiche eccessivamente complesse). Non mancano le quest secondarie, fondamentali per guadagnare rame onde migliorare lo stesso equipaggiamento.
Un altro elemento che è ormai quasi una costante per il genere è parimenti presente: la caccia. Da compiersi con arco e frecce affidandosi ancora una volta all’udito per mandare i colpi a segno.
Anche (e soprattutto) l’orecchio vuole la sua parte
Essendo la componente uditiva il cardine di The Vale: Shadow of the Crown, tanto l’effettistica quanto la colonna sonora sono curate eccellentemente e piacevoli, riuscendo nell’arduo compito di far dimenticare al giocatore vedente di possedere cinque sensi.
L’audio binaurale garantisce un’esperienza d’ascolto videoludica paragonabile in qualità ed efficacia a quella proposta in Hellblade: Senua’s Sacrifice (2018) di Ninja Theory.
Il tutto è coronato da un doppiaggio d’eccezione che annovera diversi nomi importanti di quest’arte. Da citare obbligatoriamente: Karen Knox, voce del personaggio di Melanie in Watch Dogs 2; Samer Salem, che proviene dalla televisione e ha interpretato il Guardiano della Fede David nella serie televisiva Il racconto dell’ancella; infine, Steve Cumyn, il cui ruolo più importante in ambito videoludico è stato quello di Hoyt Volker in Far Cry 3 (2012).
L’unica critica, per quanto irrisoria, che si potrebbe muovere al titolo riguarda la necessità di utilizzare cuffie per godere al meglio di quanto esso offre: esistono gamer che amano ancora l’audio in diffusione, dopotutto.