Arboria, a prima vista, sembra il sogno di molti giocatori: un roguelite soulslike, che possa unire il sistema di combattimento tecnico tipico di questi ultimi, con i grandi rischi tipici della morte permanente. Un mix esplosivo…sulla carta. La realizzazione di un titolo simile, infatti, resta molto difficile, dato che i vari elementi devono essere sapientemente collegati e bilanciati fra loro.
Arboria, in un certo senso, parte da idee buone, che però peccano di una realizzazione non troppo esaltante. Siamo comunque davanti a ottime basi, che possono costituire un ottimo inizio per un gioco che, magari, verrà aggiornato nel corso del tempo.
Nessun guerriero vive a lungo, ma i guerrieri sono infiniti
La storia di Arboria è semplice e immediata: una tribù di troll vive su un gigantesco albero sacro, che ospita l’intero villaggio e un enorme complesso di gallerie sotto le sue radici. L’albero in questione, però, è afflitto da una malattia misteriosa, che lo sta portando lentamente alla morte.
I troll, però, sono legati a doppio filo all’albero in questione, dato che la sua morte significherebbe la fine della tribù. Serve quindi un guerriero che possa scendere nelle profondità della terra, guarire le radici, e salvare l’intera tribù. Come se questo non fosse un problema sufficientemente grave, uno dei troll sembra impazzire dopo aver indossato uno strano cappello e, poco dopo, il guerriero che decide di inseguirlo fa la stessa fine.
Data la situazione, lo sciamano del villaggio decide di evocare nuove generazioni di guerrieri, che dovranno addentrarsi sempre più in profondità, per guarire l’albero sacro e uccidere il guerriero impazzito.
Come puoi vedere, la trama è il classico pretesto necessario a motivare la varie vicissitudini. Ciò che fa spiccare Arboria, però, è la sua estetica particolare, che unisce elementi mistici ad altri totalmente futuristici, dando la sensazione che i Troll non capiscano fino in fondo il mondo in cui si trovino. Alcune registrazioni, infatti, ci fanno capire che il mondo di gioco è abitato anche da razze più avanzate, che potrebbero conoscere qualcosa in più.
Nonostante ci sia questo pizzico di mistero, però, la narrazione non riesce mai a decollare (come visto in Hades per esempio), restando sempre marginale e non riuscendo a sfruttare fino in fondo le potenzialità del mondo di gioco.
Davvero un soulslike?
Alla base, il gameplay di Arboria ricalca la classica struttura da roguelite che ormai abbiamo visto in tutte le salse: si entra in un dungeon, si esplora e ci si potenzia, si muore e si rinasce. Tra una partita e l’altra ci troviamo in un HUB centrale da cui potenziare il personaggio, in modo che le partite successive siano più semplici in qualche misura.
Questa tipica struttura, in questo caso è arricchita da una meccanica che ricorda quasi Rogue Legacy. Alla morte, infatti, non rivestiremo il ruolo dello stesso personaggio deceduto ma, al contrario, impersoneremo un nuovo guerriero. Questo potrà essere selezionato ogni volta tra diverse opzioni disponibili, tutte diverse.
A ogni partita verranno infatti generati casualmente tre personaggi diversi, con statistiche e tratti unici, che potranno essere positivi o negativi. Dopo aver fatto la nostra scelta, inizia l’esplorazione vera e propria.
Questa si svolge in dungeon generati proceduralmente e diversi da partita in partita. Come sempre, per arrivare al piano successivo dobbiamo farci strada tra le orde di nemici, raccogliendo equipaggiamento e potenziandoci. Troviamo anche qualche attività aggiuntiva, come eventi particolari o radici da guarire.
Queste ultime sono particolarmente importanti, dato che permettono di sbloccare nuove strutture una volta tornati al villaggio e, di fatto, permettono di avere più possibilità di vittoria nelle run successive. Per guarire una radice, però, è sempre necessario combattere alcune ondate di nemici, quindi è una scelta da ponderare bene.
Il combattimento vero e proprio è invece simile a quello dei soulslike, pur mostrando diverse mancanze che purtroppo non è possibile ignorare. Come sempre, troviamo un sistema di lock-in, unito a fendenti non troppo veloci, schivate e parate. Questo, però, non basta a creare un sistema di combattimento “alla dark souls”.
Tanto per cominciare, non troviamo la stamina e, di conseguenza, abbiamo la possibilità di schivare in continuazione o di parare (con l’abilità giusta) e menare fendenti senza bisogno di pause. A questo si aggiunge l’assenza di elementi che possano giustificare un buon posizionamento (come il backstab, sostituito da un aumento di danno, solo con un’abilità) e delle parate che sono praticamente istantanee.
Chiudono il cerchio delle animazioni cancellabili in qualsiasi momento. Queste, unite all’assenza di stamina, consentono a un bravo giocatore di schivare continuamente, dare un paio di spadate e schivare ancora. I nemici stessi, di fatto, non costituiscono una grande minaccia presi singolarmente, ma diventano pericolosi soltanto quando sono in gruppi numerosi.
Peraltro, proprio le animazioni e gli impatti sono poco convincenti, restituendo una sensazione di legnosità generale. Ad esempio, potremmo utilizzare una lama doppia, che consente al personaggio di colpire con un fendente, per poi girarsi e colpire nuovamente con la lama dietro il gomito. Capita spesso che questo secondo impatto non venga registrato, pur andando chiaramente a segno. La stessa cosa si può dire per altre armi, come il falcione.
La stessa varietà di armi, poi, è quasi fittizia: pur avendo un moveset diverso, infatti, le varie armi non corrispondono a veri e propri stili di gioco ma, di fatto, si usano nello stesso modo. Ad esempio, in Hades siamo costretti ad adottare approcci completamente differenti in base all’arma utilizzata, qui invece tutto si ridurrà alla stessa tattica.
La situazione è poi peggiorata dai nemici e delle arene, che in entrambi i casi mancano di varietà. Bene o male, i mostri incontrati nei dungeon sono varianti di pochi nemici, con piccole differenze. Allo stesso modo, le arene non portano vere e proprie differenze tattiche durante gli scontri, riducendosi a spazi che ospitano i combattimenti.
A questa formula base, Arboria aggiunge altre meccaniche, come gli elementi o le mutazioni (vere e proprie abilità con effetti vari), che però non riescono ad avere un impatto abbastanza grande per risollevare un sistema di combattimento che, di fatto, è una versione troppo semplificata di un soulslike.
Infine, tra una run e l’altra è possibile potenziare il nostro villaggio, sbloccando strutture varie e potenziando armi, mutazioni e altro. Per poterlo fare, è necessario guarire un certo numero di radici nelle varie run, aggiungendo poi la valuta di gioco, reperita anch’essa durante le esplorazioni.
Questo crea un senso di progressione costante che, come sempre in questi casi, aiuta a lenire il peso della morte, potenziando di volta in volta i personaggi successivi, anche stavolta in modo simile a Rogue Legacy. Una buona idea, che rende Arboria più vicino a un pubblico meno hardcore.
Quindi, Arboria è completamente da buttare? Assolutamente no. Il titolo riesce a essere sufficientemente rifinito per i giocatori poco esigenti, che magari cercano solo un dungeon crawler non troppo complesso per passare il tempo. Peraltro, tutti i problemi di gioco possono essere risolti con uno sviluppo post lancio degno di questo nome, che possa migliorare gli impatti, aggiungere più nemici e differenziare ancora di più le arene.
Un’atmosfera…strana
Arboria ha un comparto grafico discreto, che presenta ambienti abbastanza dettagliati ed effetti di luce niente male. A questo si aggiungono però delle animazioni legnose e gli impatti delle armi che non riescono a essere convincenti.
Il comparto artistico, invece, è composto da scelte estetiche discutibili, che creano un’atmosfera inquietante. Per esempio, i troll sembrano composti di fango, con dei corpi che sembrano quasi in decomposizione. Si aggiungono degli abitanti inquietanti, che non sfigurerebbero in un gioco horror. Chiudono il cerchio delle cutscene davvero mal realizzate, con inquadrature che a volte sono di difficile interpretazione.
Infine, il comparto sonoro è accettabile, con musiche che si limitano a fare il loro dovere e un buon doppiaggio. Fanno da contraltare gli effetti delle armi che, a volte, si attivano anche per fendenti andati a vuoto.