Nel 1827 l’autore francese Victor Hugo pubblicò dramma storico di nome Cromwell. A suo tempo la prefazione di quest’opera fece da manifesto per il Romanticismo francese e, per non fartela troppo lunga, Hugo spiega come il concetto del grottesco e quello del sublime sono due facce opposte di una stessa medaglia. E Arkhane mentre sviluppava Deathloop doveva proprio sentirsi sotto l’influsso del drammaturgo francese visto quel che n’è uscito fuori: un bellissimo fallimento.
Non posso negarlo in alcun modo, dopo gli ottimi lavori partoriti da Arkhane dal 2012 in poi, nutrivo altissime aspettative per Deathloop; aspettative che nel susseguirsi delle ore di gioco non sono state soltanto disattese, ma persino deluse. È bene però chiarire la mia posizione fin da subito in merito al gioco: non si tratta di un prodotto pessimo, ingiocabile, da evitare come la peste. Deathloop invece è proprio quel tipo di gioco che scommetto sarebbe piaciuto a Hugo, talmente sublime in alcune sue idee quanto grottesco in molte delle loro applicazioni.
Deathloop propone il concept di gioco più ambizioso fra gli ultimi titoli dello sviluppatore, ma viene letteralmente martoriato da problematiche e sviste che pesano al punto da renderlo il meno riuscito di casa Arkhane. In particolare, le problematica legate all’IA sono così gravi da riuscire ad esondare anche in altri aspetti del gioco, andando a vanificare buone idee e componenti di gameplay che, altrimenti, avrebbero potuto far brillare Deathloop come una fulgida stella, all’interno di un anno videoludico piuttosto spento.
Troppa accessibilità può essere un problema? In Deathloop si!
Deathloop comincia (e ricomincia) da un traumatico risveglio su una spiaggia. Ci ritroviamo fin da subito nei panni di un uomo confuso, senza alcuna memoria di come possa essere arrivato in quel posto. Subito dopo essersi rimesso in piedi, davanti al personaggio e al giocatore si stagliano un gran numero di scritte immaginarie, che l’uomo inizialmente confonde come particolari residui di una sbronza.
Anche dopo aver rimesso i piedi per terra, queste scritte continuano a comparire e addirittura guidano il protagonista (che nel frattempo ricorda di chiamarsi Colt), quasi come se sapessero cosa sta accadendo. È proprio questa “voce” interiore a guidare Colt al suo rifugio, dentro il quale dopo aver ritrovato la sua ricetrasmittente, entra per “la prima volta” in contatto con Julianna Blake.
La donna sembra conoscerlo e spiega a Colt quello che sta accadendo: un esperimento riuscito ha bloccato la cittadina di Blackreef all’interno di un loop temporale che si resetta alla fine di ogni notte. Lui, Colt, faceva anch’egli parte dell’esperimento, ma fino ad ora ha cercato di spezzare il loop che invece Julianna vuole mantenere. Per poter riuscire a spezzare il loop Colt dovrà uccidere in un solo loop tutte le figure chiave del progetto, chiamate i visionari.
Non continuerò a inoltrarmi nella trama così da evitare spoiler, ma per esaurire l’argomento è necessario fare qualche appunto su di essa. Non ci troviamo davanti a una storia profonda o indimenticabile, anzi tutto l’opposto; eppure proprio per questo però l’ho trovata un punto di forza, la narrativa di Deathloop è leggera, gradevole, non si prende mai troppo sul serio, un elemento che va a braccetto con il sottile filo comico che la tiene assieme.
Forza e debolezza della semplicità
Ovviamente non ci saranno soltanto scritte immaginarie a guidarti, è presente un tutorial nel menù principale e diverse spiegazioni all’interno delle varie partite. Uno dei migliori pregi di Deathloop è la semplicità cristallina con cui spiega le meccaniche legate al loop. Sono infatti presenti più parti della giornata, in ognuna possibile muoversi in scenari diversi in base all’obiettivo, che sia il recupero di un arma, di una tavoletta, l’uccisione di un visionario o il ritrovamento di informazioni sensibili.
Alla fine di ogni parte del giorno potremo spostarci in un altra zona con un altro obiettivo, con però la possibilità di infondere l’equipaggiamento trovato. Tramite l’infusione è infatti possibile far “sopravvivere” i nostri oggetti al reset del loop, in modo da poter ripartire con qualche vantaggio.
La semplicità e la chiarezza in cui tutte queste meccaniche del loop vengono spiegate è qualcosa di estremamente raro nel mondo del videogioco, non avrai letteralmente bisogno di leggere o ripassare alcunché. Apprenderai tutto quello che devi fare e sapere in modo semplice e veloce.
A mio avviso, questo voler rendere troppo immediato il gioco offre un contraccolpo abbastanza deludente. Il core di Deathloop risiede nell’investigare riguardo la personalità o i segreti dei vari visionari, in modo da sfruttare le informazioni ottenute per cambiare i loro pattern di comportamento e riuscire così a eliminarli tutti insieme all’interno di una sola giornata.
Una meccanica interessante su carta, ma che va a banalizzarsi nella realizzazione. Sarebbe stato interessante poter investigare in modo autonomo sui visionari, così da poter sviluppare strategie e risoluzioni personali. Ciò che Deathloop propone in realtà è sicuramente più semplice ma meno efficace: vieni letteralmente guidato nella risoluzione di ogni visionario, letteralmente potresti non leggere qualsiasi dialogo, nota o informazione e riuscire comunque ad avanzare nel gioco.
Il che è triste considerando che questo implica che bene o male la modalità di approccio è una sola: esistono leggere varianti su tema, ma la creatività di Arkhane in tale senso stavolta è venuta meno. E questo brucia viste le potenzialità narrative di Deathloop.
A sostegno del giocatore è stata anche inserita una difficoltà adattiva, ma questo elemento apre lo spiraglio a un discorso, purtroppo, molto più grave: l’intelligenza artificiale.
Quando un difetto è così grave da rovinare anche il resto
Nonostante il limitato approccio offerto da Arkhane, fino a qui il gioco poteva puntare a entrare nelle stelle dello sviluppatore. Poi, ci si scontra con il difetto più grave di tutta la produzione, ovvero un’intelligenza artificiale dei nemici letteralmente scandalosa.
Erano tantissimi anni che non mi trovato davanti a un IA così mal realizzata, disastrosa al punto da riuscire a far saltare i bulloni di qualsiasi altro ingranaggio. Un gameplay sparatutto che sarebbe potuto essere così divertente, viene letteralmente vanificato dall’inesistente resistenza di nemici che sembrano quasi zombie.
A un approccio stealth i nemici reagiscono spesso con una lentezza disarmante, sembrano non sentire rumori e raramente si accorgono di qualche alleato caduto, anche quando lo si elimina a pochi centimetri da loro. Anche le strategie messe in atto quando li si affronta con un approccio diretto sono altrettanto imbarazzanti: si limitano a caricarti frontalmente per finire come bestie al macello, spesso rimangono a guardarti prima di aprire il fuoco e molto, molto, di rado tentano di farti uscire da una copertura con una granata.
E per molto di rado intendo che nella mia run questa strategia è stata messa in atto solo 3 volte, mentre al contrario il numero di nemici che camminava addosso a pareti e oggetti è stato decisamente più alto.
Una questione di potere
Se comunque sparare a dei bersagli, nonostante sembrino più dei sacchi da boxe, può rivelarsi comunque piacevole, l’utilizzo di poteri sovrannaturali rompe il gioco in maniera definitiva. In Deathloop è infatti possibile recuperare arcani manufatti chiamati tavolette, ognuno dei quali è capace di donare al suo possessore un potere specifico.
La scelta è abbastanza ampia e varia da invisibilità, modalità berserk, translazione alla Dishonored e via dicendo. Alcuni hanno un effetto peggiore sul gioco di altri, soprattutto invisibilità e translazione che consentono al giocatore di muoversi indisturbato per tutta la mappa, talvolta persino correndo vicino ai nemici senza che questi si accorgano di nulla.
Deathloop interpretato in modo stealth è capace di rendere il gameplay ancora più noioso, visto che è possibile aggirarsi indisturbati in tutta la mappa senza nessuno a impedirti di farlo. Anche se le mappe cambiano un minimo in base all’orario, il backtracking si sente molto, in quanto grazie a poteri e scorciatoie è possibile raggiungere l’obiettivo della zona senza alcun tipo di problema o stravolgimento davvero impattante.
Proteggi il loop
Deathloop ha anche una modalità multiplayer, in cui il giocatore impersona Julianna. Devi sapere infatti che nelle parti iniziali di una mappa, c’è la possibilità che Julianna cerchi di ucciderti. Vittima anche lei di un IA imbarazzante, è possibile quantomeno avere un po’ di sfida abilitando il pvp, in questo modo altri giocatori potranno impersonare Julianna e darti del vero filo da torcere. In definitiva è una meccanica simpatica, anche se non esente da difetti.
Avendo molta più vita di Julianna pve, il corrispettivo pvp ha bisogno di un numero di proiettili maggiore per essere uccisa. Mancando macchine di rifornimento per munizioni nella zona iniziali, non potendo raccogliere armi da possibili nemici perché spariscono di mano una volta esauriti i colpi, si è praticamente morti. Purtroppo la cosa capita un pochino troppo spesso, cosa che il più delle volte lascia con un amaro senso di frustrazione.
Tecnicamente
In quanto a resa grafica Deathloop non è un gran bel vedere, un problema che Arkhane in genere si porta dietro da sempre. L’ultima loro fatica non fa eccezione: discreto tecnicamente, salvato da un comparto artistico di vera eccellenza. Guardando la versione PlayStation 5 del gioco viene da chiedersi per quale ragione non sia uscito anche su old-gen, mentre la versione PC è affetta da problemi di ottimizzazione abbasta gravi.
Per la resa visiva che offre il gioco consuma troppa GPU e CPU, anche se almeno il problema dello stuttering sembra essere stato risolto con l’ultimo aggiornamento. Non mancano però problemi di caricamento di texture, pop up e nelle fasi più concitate mi è capitato che l’audio di gioco andasse a singhiozzi.
Per quanto riguarda proprio il comparto sonoro, in Deathloop siamo all’eccellenza. Il doppiaggio di Colt e Julianna è magnifico sia in italiano che in inglese, gli effetti sonori curatissimi; le soundtrack sono tutte fantastiche, ma soprattutto adattissime nel fare da sottofondo a una Blackreef dalle tinte anni 60′.