Nel corso della seconda decade del terzo millennio il pubblico videoludico sembra essersi diviso in due macro-categorie di gamer totalmente (e auspicabilmente) penetrabili l’un l’altra.
Da una parte abbiamo coloro che, facendo affidamento sui numeri, sulle risorse impiegate e sugli eventuali ‘curricula’ delle medie e grandi software house, ripongono la massima fiducia in queste ultime, aprioristicamente optando per le cosiddette produzioni tripla A a netto sfavore della loro controparte naturale: i titoli indipendenti, detti più semplicemente e diffusamente ‘indie’.
Dall’altra abbiamo i ‘talent scout‘, ovvero quella fetta di gamer che va in senso diametralmente contrario, dando vita natural durante una possibilità alle piccole (o perché no anche medio-grandi) produzioni sopracitate, confidando nella loro originalità e nelle loro potenziali proposte alternative ai titoli mainstream, i quali, come è risaputo, spesso soffrono di ridondanze e/o totale sottomissione alle aspettative del loro pubblico, sia che si tratti di nuove IP o di saghe consolidate.
Questa breve trafila di scambi di opinione vuole essere il tentativo di un rappresentante della prima macro-categoria elencata di dimostrare la già accennata permeabilità da parte di entrambi i fronti manifestando le perplessità destategli da alcune tra le suddette grandi produzioni, rigorosamente decantate da critica e pubblico.
Prima di cominciare ti ricordo che in tutti i casi si tratta di pareri personali di chi scrive non rispecchianti la totalità di iCrewPlay come testata e che, se non hai giocato tutti o qualcuno dei titoli elencati, potresti imbatterti in qualche spoiler, per cui fa’ bene attenzione durante la lettura! Ad ognuno dei cinque titoli assegnerò un sottotitolo adeguato che idealmente potrebbe accompagnarli.
Cominciamo!
I cinque titoli tripla A che potresti/dovresti evitare
5 – Monster Hunter World (2018)
Chi mi conosce sa bene quanto ami i titoli action-RPG, dove accanto all’azione c’è una buona dose di cervello da impiegare nella scelta della build e delle abilità del proprio o dei propri personaggi.
Quando nel 2018 incontrai Monster Hunter World non diedi in realtà molto peso a questa release. Il motivo fu semplice: non avevo mai giocato nessuno dei titoli precedenti, ergo da ignorante non potevo capire la portata che questo titolo ebbe a ragion veduta per fan vecchi e nuovi della serie. Mi fu presentato come una valida alternativa ai tali e tanti open world in cui le meccaniche di caccia spadroneggiavano, suddiviso in singole aree estese al punto giusto che scongiuravano ogni possibile dispersività.
Adorando la caccia (sempre nei videogiochi, nella vita reale non riesco a spiaccicare un ragno o una zanzara senza avere i sensi di colpa), acquistai il titolo alla prima occasione utile, ma fin dai primi minuti di gioco la convenzione venne meno.
Una grafica sgranata come si vedeva solo durante la settima generazione videoludica (e anche oltre, ma questa è un’altra storia); una navigazione estremamente sgradevole alla vista e scomoda da fruire; la necessità di farsi mille paranoie prima di lasciare il QG per avventurarsi a caccia (prima fra tutte il dover obbligatoriamente mangiare pasti) alla lunga furono il male minore: ciò che mi lasciò veramente con l’entusiasmo a terra fu l’implicito favoreggiamento del gameplay verso il multiplayer.
Ora, il principio del ‘gioca, crea, condividi‘, unitamente alla natura stessa degli esseri umani, aristotelicamente percepiti come ‘animali sociali‘, è cosa buona e giusta. Ciò che non è giusto è imporre a chi gioca di trovarsi necessariamente un gruppo di compagni o compagne di scorribande videoludiche e magari spingerlo a tediare la suddetta combriccola per l’acquisto del titolo. Questo il motivo principale per cui ancora non mi sono cimentato con Monster Hunter Rise (evento che probabilmente mai si verificherà).
Il mio sottotitolo per Monster Hunter: World è: “Mangia, se no non cresci!”
4 – Control (2019)
La mia esperienza con Remedy Entertainment può essere descritta con una parabola discendente: dopo un Alan Wake (2010) che adorai e un Alan Wake’s American Nightmare che nel bene e nel male riuscì a tenermi incollato allo schermo (non mi pronuncio sui primi due Max Payne, non avendoli giocati), affrontai un Quantum Break (2016) che mi convinse solo a metà (buona parte di tale metà era dovuta al cast stellare e all’esperimento riuscito fino a un certo punto della crossmedialità in game) e un Control che non mi convinse affatto.
Da un punto di vista puramente videoludico, Control sa essere un’ottima esperienza TPS, eppure il contorno generale poco coinvolgente; l’ambientazione tendenzialmente spoglia ed eccessivamente labirintica; il modo esageratamente criptico di esprimersi di taluni personaggi; il carisma opinabile della rossa protagonista Jesse non sono riusciti ad imprimersi né nel mio cuore né nella mia memoria, lasciandomi solo il ricordo di un’esperienza si piacevole ma passeggera, con quelle ore di gioco (parecchie) che avrebbero potuto essere spese su altri titoli magari più incisivi.
Il mio sottotitolo per Control è: “Dov’è la Signora della Luce quando serve?”
3 – Final Fantasy XV (2016)
Quando il fu Final Fantasy Versus XIII vide finalmente la luce dopo dieci anni, una defezione di direttore artistico e un cambio di nome, fui uno tra coloro che gridarono al miracolo. Il mio pensiero, presumibilmente condiviso da tanti e tante, fu il seguente: ‘Dopo tutto questo tempo, chissà cosa avranno tirato fuori!’
La risposta, ahimè, mi si palesò davanti agli occhi man mano che la storia del quartetto di amici capitanato da Noctis Lucis Caelum procedeva: un prodotto evidentemente raffazzonato dal lavoro scombinato e nettamente distinto dei due direttori artistici, cui si tentò di mettere le pezze con i tre discussi DLC dedicati ai comprimari del sopracitato principe, da me non giocati e ai quali sinceramente ho poca voglia di mettere mano per mille motivi, non ultimo la rabbia che mi salirebbe qualora scoprissi che se li avessi giocati avrei avuto un Final Fantasy XV dalla storia completa.
Informazione necessarie ma non date permeano l’intera esperienza, tanto è vero che ho passato tanto, troppo tempo di gioco a farmi domande assurde quali: “Cavolo significa Magitek?”, “Perché i Daemon esistono?”.
Si può dire in realtà che abbia anche avuto il tempo di farmele dato che metà della grande mappa iniziale di Final Fantasy XV (sostituita in seguito da quell’odioso treno che ancora seguito a maledire) è completamente vuota.
Ringrazio Square Enix per aver dato la possibilità a chi gioca di cavalcare i chocobo, almeno loro sono simpatici e abbreviano le chilometriche distanze desolate normalmente da percorrere a piedi con una sgradevole sviolinata melliflua la quale paradossalmente non fa che rendere la vuotezza ancora più truce (un aggettivo che il gioco, soprattutto nel late game, merita molto).
Il mio sottotitolo per Final Fantasy XV è: “Lightning, ti rimpiango!”
2 – The Last of Us (2013)
Prima dell’oro, ecco un titolo circondato a ragion veduta da un’aura di sacralità la cui presenza in questo elenco potrebbe anche farti arrabbiare. Tuttavia non ho potuto esimermi dall’inserirlo e dal posizionarlo al di sopra di molti altri.
Il motivo per cui è così in su nella top si può in realtà riassumere nella seguente argomentazione, accompagnata da un quesito: The Last of Us è un videogioco fatto molto bene, con una trama coinvolgente, una regia da film, protagonisti interessanti e un gameplay scorrevole, ma, alla fine dei conti, cos’ha di così speciale e rivoluzionario rispetto a tanti altri TPS?
La mia personale risposta è: niente. The Last of Us non è (o meglio, non fu a suo tempo) un titolo che apporto particolari novità al mondo videoludico. Il fattore in più su cui poteva contare rispetto a molti altri titoli coevi e precedenti era un approccio semi-cinematografico alla regia che nel corso degli anni dieci di questo secolo si è consolidato come un marchio di fabbrica Sony (un’interpretazione, questa, mutuata da un mio collega più anziano e per ciò più saggio che mi ha fatto molto riflettere e finalmente scoprire cosa non mi convinceva del titolo).
Sarà anche per questo che non ho ancora giocato The Last of Us Parte II? In verità non so dirlo neanch’io, certamente sono consapevole che, qualunque cosa accada, non mi troverò difronte ad un titolo rivoluzionario.
Il mio sottotitolo per The Last of Us è: “Ora voglio anche The Order Parte II!”
1 – Corrido… ehm, volevo dire: Uncharted 4: A Thief’s End (2016)
And the winner is: sempre Naughty Dog, che con Uncharted 4: A Thief’s End, al di là del rimanere sulla stessa lunghezza d’onda dell’immediatamente precedente sia a livello cronologico che in questa top The Last of Us, ha aggiunto un altro elemento discutibile: l’anacronismo.
Ad Uncharted 4: A Thief’s End si può infatti pressappoco applicare la stessa argomentazione suggerita prima, la differenza sta nel fatto che, a fronte di un intero mondo videoludico che si è evoluto in favore di una sempre maggiore libertà d’esplorazione, Naughty Dog ha proposto una formula di gameplay rimasta arenata al primo Uncharted, uscito nel 2007.
Ora, per definire Uncharted 4: A Thief’s End un capolavoro senza macchia e senza difetto alcuno, esso avrebbe dovuto vedere la luce nello stesso periodo del progenitore Uncharted: Drake’s Fortune, il quale per l’epoca fu un titolo veramente avanti se si pensa che solo un anno prima aveva visto la luce Prince of Persia: The Two Thrones e nove mesi prima della release God of War II, rimasto relegato alla sesta generazione fino al porting del 2009 nell’ambito della God of War Collection.
E dunque, duole dirlo, ma se c’è stata (e c’è tutt’ora) gente che sostiene che Final Fantasy XIII (2010) non poteva essere il corridoio che in effetti fu, nemmeno un titolo come Uncharted 4: A Thief’s End non può essere tale nel 2016, a prescindere dalla propria natura. L’allargare a dismisura le aree (anzi, le ‘sezioni di percorso’) esplorabili, non salva Uncharted 4: A Thief’s End dal guadagnarsi il seguente sottotitolo: “Corridoio 4: la fine (si spera)“.
Così si conclude questa breve trafila di tripla A discutibili. Se hai voglia di leggere qualche altra top di iCrewPlay, ti consiglio questa qui, la quale è più o meno sulla stessa lunghezza d’onda di ciò che hai appena letto.