Sviluppato dallo studio koreano Sonnori e pubblicato in occidente grazie a PQube, White Day: A Labyrinth Named School è un survival horror in prima persona che si è rifatto recentemente il look per approdare sulle console domestiche next-gen Sony e Microsoft e sull’ibrida Nintendo Switch. Noi abbiamo vissuto gli orrori di questa scuola proprio sulla nostra Switch e questa è la nostra recensione. Sarà riuscito il team Sonnori a rinnovare il loro concetto di terrore?
White Day: A Labyrinth Named School – il passato ritorna per spaventarci
White Day: A Labyrinth Named School è un titolo nato originariamente nel 2001 per PC, per poi essere trasportato su mobile nel 2009 e nel 2015 grazie a un remake prodotto da ROI Games. Il titolo convince ed eccolo arrivare finalmente in occidente nel 2016 grazie a PQube che portano il gioco su PlayStation 4 (perfino in edizione retail) e PC (puoi scoprire anche la nostra recensione). Quella che abbiamo analizzato con questa recensione è l’ultima edizione di White Day: A Labyrinth Named School, anno 2022, ed è una versione che mira a sfruttare l’hardwere delle console attualmente in circolazione con la speranza di ritagliarsi uno spazio fra i congeneri horror.
Da segnalare, che questa versione oltre al gioco originale e completo, include tutti i DLC usciti nel tempo. Per essere precisi, si tratta di oltre 30 costumi che coinvolgono i diversi personaggi principali del gioco. Il vestiario varia dalle divise scolastiche, agli immancabili costumi da bagno, a piccole citazioni di film horror ma non solo (c’è un abito che richiama Frozen) e perfino la possibilità di avere i personaggi come nella versione originale. Fondamentalmente, si tratta di aggiunte che non vanno a variare molto l’esperienza di gioco.
Ma veniamo alla trama principale di White Day: A Labyrinth Named School. Noi siamo Hee-min Lee, una giovane matricola che ci mostrerà subito, tramite i suoi pensieri a schermo, i propri sentimenti per una ragazza. Questa gli ha letteralmente rapito il cuore ma lui è impacciato mentre lei è abbastanza fredda e distaccata. Il prologo ci mostra i due scambiarsi fugaci occhiate, una foto che vola via, Lee che la raccoglie e la ragazza – che si chiama So-Young Han (tanto bella quanto popolare) – strappargliela di mano senza dire un parola. I
La giovane viene poi distratta da una collega e si allontana velocemente lasciando su una panchina il suo diario personale. Quale occasione migliore per il nostro Lee? Il protagonista decide quindi di raccogliere il diario e, approfittando del White Day ormai imminente (per chi non lo sapesse, si tratta di un’usanza nata in Giappone ma impiantata efficacemente anche in Corea del Sud e che vede impegnati i ragazzi nel fare un dono alle fanciulle di cui sono innamorati), prendere anche un regalo. Idealmente il piano è semplice: consegnare il diario e il regalo del White Day, dichiarandole così i suoi sentimenti. Il problema è che per farlo deve raggiungere la scuola della ragazza e qui iniziano i problemi.
Il problema principale è che Lee decide di andare a scuola, tale liceo Yeondu, in piena notte, dopo le lezioni. La scelta si rivela presto infelice: basta varcare l’ingresso e una pesante e inamovibile saracinesca andrà a chiuderlo dentro. Ecco quindi che la scuola diventa una gabbia, mostrando al tempo stesso un labirinto di storie, più o meno terrificanti, che non aspettano altro di essere svelate. Il folklore condiviso da White Day: A Labyrinth Named School non è affatto male e il sistema di disseminare le trame secondarie su documenti sparsi ovunque, premia gli esploratori.
Esplorazione che risulta piacevole sia per un buon livello d’interattività con l’ambiente, sia per l’ambiente stesso che, nonostante il suo iniziale anonimato, offre diversi spunti e regala un’atmosfera buona sia per il racconto che per gli inevitabili jumpscare che ci attendono. E a tal proposito, White Day: A Labyrinth Named School non fa molta paura: siamo lontano da titoli come Outlast, ma riesce a far sobbalzare anche se gli spiriti potevano essere sfruttati molto meglio. Tolto i boss, infatti, il gioco sfrutta le creature sovrannaturali unicamente per arrecarci danno e/o farci spaventare, appunto. Chi è quindi il nostro nemico principale?
Il bidello. Esatto, il nemico che ci perseguiterà per i corridoi (e non solo) è un bidello. Saremo onesti, le prime volte riesce a incutere timore, complice un accompagnamento sonoro di tutto rilievo (tintinnio di chiavi, melodia canticchiata, ecc.) che annunciano la sua presenza e allertano il nostro istinto di sopravvivenza. Purtroppo, però, siamo ben lontani dall’efficacia spaventosa della creatura di Amnesia o degli innumerevoli mostri di SOMA. Inoltre, la potenza stessa del bidello, che varia a seconda del livello di difficoltà selezionato a inizia partita, è sempre troppo tarata verso l’alto, rendendo presto frustrante scappare da lui e costringendoci a ripetere più volte intere sezioni di gioco.
Insomma, tra spiriti pronti a farci “BO!” e bidelli pronti a prenderci letteralmente a colpi di mazza da baseball, White Day: A Labyrinth Named School regala un’esperienza horror dalla durata decisamente modesta (siamo intorno alle 8 ore a run) che si allunga in caso si volessero svelare gli altri finali (per un totale di 10 finali). Da cosa sono influenzati i finali? Principalmente dalle scelte che effettueremo durante i dialoghi con gli altri (pochi) personaggi che si trovano a scuola insieme a noi. E se te lo stai chiedendo, il cast non è male, complice un buon doppiaggio (anche in inglese) e un susseguirsi di eventi che sapranno, tra un cliché e un altro, trasportarci fino ai titoli di coda.
Gameplay
White Day: A Labyrinth Named School è un gioco vecchio di oltre venti anni e in quanto tale, si porta dietro tutta una serie di meccaniche vecchie e con cui bisogna, inevitabilmente, scendere a patti. Partendo dalle fondamenta, si tratta di un horror in prima persona fortemente improntato sui puzzle. Questi, a difficoltà crescente, sapranno mettere a dura prova anche i giocatori più navigati. Il gioco ci chiede non solo di sopravvivere ma anche, e soprattutto, di esplorare. Raccogliere indizi, oggetti, eseguire combinazioni e risolvere enigmi di vario genere (incluse sezioni a tempo).
Qui non c’è combattimento, il protagonista è disarmato e con lui ha solo un accendino, che si rivelerà essenziale per illuminare aree e restare, allo stesso tempo, celati ai nostri inseguitori (che se non fosse chiaro, sono immortali, non possiamo combatterli e quindi sì, ci ritroviamo nella ormai abusata formula del “gatto col topo” e noi siamo il topo). Sì, perché accendere la luce in un’aula, attirerà inesorabilmente il bidello di turno. Bisogna quindi valutare attentamente come muoverci, e soprattutto quando, e ad aiutarci ci sarà un pratico segnale a schermo che ci avviserà se il bidello è più o meno vicino a noi.
Così come dovremo valutare cosa analizzare. Come detto, il paranormale popola la scuola e se non saremo attenti, potremmo inevitabilmente finire vittime di qualche spirito o creatura più o meno terrificante e originale (nota: chi si aspetta un gran numero di creature terrificanti può rimanere deluso). A tal proposito, a seconda del livello di difficoltà scelto, avremo più o meno spiriti dentro la scuola, così come potremo avere qualche indizio in più sul cosa fare per procedere nella trama.
Studiare bene la mappa della scuola, eventuali nascondigli, zone di sicurezza, pannelli elettrici e quant’altro, diventa essenziale per garantire la nostra salvezza. E parlando di “salvataggi”, salvare il gioco in White Day: A Labyrinth Named School è poco comodo oltre che decisamente vecchio stile. Il salvataggio manuale, infatti, può essere effettuato solo utilizzando un pennarello. Un oggetto consumabile la cui presenza non è molto generosa. Non avremo quindi la possibilità di salvare quando vogliamo. Per correttezza, il gioco possiede un sistema di salvataggi automatici ma risultano anche questi poco comodi.
Venendo ai comandi, se navigare tra i menu studiando oggetti e documenti raccolti è pratico e immediato, lo è meno il cursore utilizzato per cercare oggetti (ereditato dall’edizione principale nata appunto su PC). Tra l’altro, gran parte dei cassetti o armadietti che andremo ad aprire saranno vuoti. Sono migliori i comandi nell’esplorazione del luogo (affidati alle levette analogiche per movimento e gestione della telecamera) con alcuni piccoli cerchi bianchi a schermo a indicare gli oggetti con cui poter interagire (anche se è capitato più volte di non riuscire a interagirci subito… soprattutto nelle fasi di fuga dal bidello).
Grafica e sonoro
Graficamente White Day: A Labyrinth Named School si difende abbastanza bene, soprattutto in modalità portatile (da segnalare alcuni sottotitoli troppo piccoli). Il lavoro estetico è notevole, la grafica è pulita e considerando la base di partenza (che è quella del remake del 2016) è stata sfruttata bene, soprattutto per gli ambienti e alcuni dettagli degli stessi. Alcune animazioni rimangono poco accattivanti e ci sono diversi bug legati soprattutto agli inseguimenti coi bidelli, spesso dotati di super poteri che gli permettono quasi di teletrasportarsi o varcare le porte senza aprirle.
Il sonoro è uno dei punti di forza del titolo, offrendo una carrellata di effetti efficaci e che contribuiscono a creare un’atmosfera di effetto e ancorata fedelmente al mondo koreano, con sinfonie e canti evocativi. Buono anche il doppiaggio. Abbiamo giocato l’avventura in inglese e le voci sono risultate efficaci in quasi tutte le situazioni, offrendo una caratterizzazione più che sufficiente al cast di protagonisti. Ultima nota, decisamente positiva: White Day: A Labyrinth Named School include dei sottotitoli in italiano con una traduzione abbastanza completa e quasi del tutto priva di strafalcioni.