ScourgeBringer è l’ennesimo indie che si affaccia alla formula roguelite, cercando di portare qualcosa di nuovo in un genere che ormai è chiaramente spremuto fin troppo. Parliamo quindi di un titolo che può avere successo solo se è in grado di offrire qualcosa di nuovo, proprio come hanno fatto capolavori come Hades, Dead Cells o Spelunky 2.
Per essere precisi, poi, questa recensione si basa sulla versione mobile di ScourgeBringer, che quindi ha particolarità tutte sue e, soprattutto, che si pone come la piattaforma perfetta per questo genere di giochi, soprattutto se prendiamo in considerazione controller come Gamesir X2 Pro.
Una storia apocalittica
La storia di ScourgeBringer inizia quando un enorme monolite squarcia il cielo, portando morte e distruzione nelle città umane, che vengono completamente annientate dalla potenza di fuoco di questo strano artefatto volante. I pochi esseri umani si sono quindi raggruppati in veri e propri clan e hanno iniziato a mandare spedizioni all’interno del monolite volante, cercando quindi di capirci qualcosa…e fallendo miseramente.
Ecco quindi che entra in gioco la protagonista, ovvero la ragazza più forte del suo clan. La giovane donna è infatti una maestra di spada, che decide di avventurarsi all’interno del monolite per cercare risposte e, magari, per distruggerlo. Come sempre, quindi, ci troviamo davanti a un mero pretesto che giustifica le run, anche se decisamente ricco di fascino.
Esplorando i livelli ci troviamo davanti a diversi manoscritti, che possono essere letti per capire qualcosina in più della lore di gioco. Non parliamo di qualcosa di troppo esteso, ma piuttosto di piccole aggiunte come quelle viste in Dead Cells, dove la trama resta comunque su un piano secondario. In ogni caso, resta un’aggiunta gradita, che sicuramente contribuisce ad aumentare il fascino del mondo di gioco.
Le partite di ScourgeBringer
Ogni partita di ScourgeBringer si svolge in un dungeon generato proceduralmente, diviso in stanze staccate tra loro all’interno delle quali avvengono i combattimenti. La disposizione delle stanze, i nemici e gli oggetti trovati durante la run cambiano di volta in volta e la morte è invece un punto di non ritorno verso il primo livello del dungeon. In poche parole, siamo davanti a una struttura classica.
Anche ScourgeBringer si basa infatti sui combattimenti, che avvengono nelle singole stanze del dungeon. Questi sono estremamente rapidi e vedono la nostra protagonista fronteggiare un numero variabile di piccoli nemici, ognuno con attacchi a ravvicinati e a distanza. Per poterlo fare, abbiamo dalla nostra parte un eccellente sistema di combattimento, con un skill ceiling molto alto.
La nostra eroina ha a disposizione una velocissima combo di attacchi leggeri, un singolo attacco pesante e la possibilità di scattare rendendosi anche invincibile. Si aggiunge poi un’arma a distanza, che spara una raffica di proiettili a ricerca automatica. Questi basi vengono però ampliate con tante piccole meccaniche, le quali fanno decisamente la differenza.
Tanto per cominciare, l’attacco pesante può essere utilizzato sia per stunnare i nemici – solo quando è presente un punto esclamativo poco prima di un attacco – sia per respingere proiettili in arrivo, poco prima dell’impatto. In entrambi i casi, la finestra di contrattacco deve essere precisa, altrimenti rischiamo di subire danni piuttosto che di infliggerne. Questo torna particolarmente utile contro i mini-boss e i boss, che possono essere stunnati per diversi secondi, a patto di colpire al momento giusto.
Gli attacchi normali caricano invece quelli a distanza, che a loro volta permettono di sconfiggere facilmente nemici posizionati in alto. Infine, lo scatto può essere utilizzato sia come schivata, grazie al suo frame di invincibilità, sia per infliggere danni e muoversi tra i vari nemici.
A tutto ciò si aggiunge la possibilità di saltare a mezz’aria e di correre sui muri, che a loro volta possono essere sfruttati come piattaforma di lancio per nuovi salti. Il risultato è un gameplay rapido e fluidissimo, dove il giocatore più abile può muoversi continuamente nella mappa, senza mai toccare terra, scattando tra i vari attacchi nemici. Non bisogna però fare l’errore di credersi invincibili: bastano pochi colpi nemici per metterci al tappeto e bisogna sempre fare attenzione al posizionamento individuale.
Un sistema di combattimento così eccelso, viene però parzialmente rovinato dai controlli scelti per mobile. Nonostante si sia adottato il classico sistema che pone lo stick virtuale a sinistra e i vari attacchi a destra, lo scatto viene invece inspigabilmente lasciato allo swipe sul pad stesso. Bisogna quindi lasciare il pad virtuale, per poi fare uno swipe con il pollice. Una scelta infelice e scomoda, che si dimostra davvero poco pratica nei livelli più avanzati. Sarebbe invece bastato mettere a destra il tasto per lo scatto, da direzionare poi con il pad virtuale. Per fortuna, però, questo difetto viene completamente eliminato dall’uso di un controller, che viene supportato.
Tornando al gioco in sé, risulta invece poco sviluppata la componente esplorativa e l’interazione con il dungeon stesso. Le stanze ospitano infatti poche trappole o affordance che possono essere sfruttate e in generale tutto il loop di gameplay si basa sul combattimento. Ci sono alcune stanze, dov’è possibile trovare potenziamenti passivi (che poi vengono persi alla morte) o mercanti da cui acquistare vari power up, ma parliamo di una proporzione minima.
Il difetto più grande di ScourgeBringer diventa quindi la ripetitività, sempre in agguato in titolo del genere, soprattutto quando viene posta eccessiva enfasi sugli scontri. Peraltro, nonostante lo skill ceiling dei combattimenti sia molto alto, la mancanza di varietà nelle potenziamenti delle singole run rende questa sensazione ancora più evidente.
Il titolo punta quindi su una filosofia di gioco simile a quanto visto in Spelunky, dove il grosso del miglioramento viene dato in mano alle abilità del giocatore e non dell’avatar. Una scelta condivisibile, ma che cozza inevitabilmente con la metaprogressione tra le partite. Questa è affidata a un albero di abilità, da cui è possibile apprendere potenziamenti passivi (come l’onda d’urto quando si atterra) o aumentare le statistiche, come la salute massima.
Una classica progressione tra le partite insomma, che però rende le prime ore un grinding necessario a potenziarsi e tristemente in contrasto con un titolo che invece cerca di mettere l’abilità del giocatore al centro di tutto.
Bello da vedere
ScourgeBringer vanta un comparto tecnico eccezionale, grazie a sprite e ambienti sempre dettagliati, animazioni sempre soddisfacenti ed effetti visivi niente male. Tutto questo viene poi valorizzato da un comparto artistico di tutto rispetto, che sfrutta un’estetica in pixel art per creare un mondo dalle tinte cupe e riconoscibili.
Infine, il comparto sonoro si dimostra ripetitivo, con poche musiche, tristemente fastidiose dopo diverse partite. Gli effetti sonori sono invece ottimi, nonché adatti alla pixel art leggermente retrò.