Sviluppato da Texelworks e pubblicato da EastAsiaSoft e Valkyrie Initiative, 41 Hours è un first-person shooter abbastanza classico e che prova a infilarsi nel filone fantascientifico, aggiungendo una trama a fumetti (letteralmente) dai risvolti inaspettati. Noi abbiamo vissuto l’avventura di Ethan su PlayStation 5 e questa è la nostra recensione!
41 Hours: non è solo un titolo ma un timer
Gli sviluppatori hanno realmente cercato di fornire a 41 Hours una trama vagamente accattivante ma che, lo riveliamo subito, scadrà in momenti trash involontariamente ironici e stravagantemente inaspettati. Ma procediamo con ordine: noi controlliamo Ethan, uno scienziato che è tutt’uno col proprio lavoro e dal passato (tutto da scoprire) non propriamente leggerissimo. In più, è anche un militare e questo va a giustificare la sua abilità con le armi e non solo.
Ma Ethan non è l’unico che vedremo nel prologo: con lui c’è una donna che ricorda vagamente sua moglie, persa da tempo. Quella donna in realtà è un cyborg. Un cyborg che ha a disposizione solo 41 ore prima di autodistruggersi. Un cyborg che, molto probabilmente… è proprio la defunta moglie di Ethan. Ma perché è un cyborg? Cosa è successo alla vera moglie di Ethan? Perché rischia di autodistruggersi? Ma soprattutto, perché siamo braccati da un esercito dotato di droni e torrette che sembrano la versione giocattolo di quelle di Metal Gear Solid?
Saremo onesti: non troverai tutte le risposte. 41 Hours ha una narrazione pasticciata, lentissima, frammentata, infarcita di numerosi cliché, eventi pilotati e prevedibili. Ti basti pensare che i primi flashback su Ethan li avrai dopo il capitolo cinque mentre solo nei successivi due inizierai a capire chi è il “Demiurge” (colui che ci perseguita con robot e soldati). Certo, se sei a dieta di fantascienza, forse 41 Hours riuscirà a farti stupire per qualche secondo.
Ma il problema reale è un altro: il gioco utilizza per raccontare gli eventi delle pagine statiche a fumetti. Esatto, tutta la storia è raccontata così, in modo lento e poco coerente con quanto avviene a schermo. Inoltre… il doppiaggio è molto discutibile e involontariamente comico (ci riferiamo in particolar modo al personaggio dell’anziano).
La trama, insomma, non riesce a catturare anche per un livello estremamente superficiale e troppo caotico che, nonostante qualche accorgimento sul finale, non riesce a perdonare la fatica richiesta dal percorso. Il gioco sarà riuscito almeno a brillare sul versante del gameplay? Scopriamolo insieme!
Gameplay
41 Hours è un FPS abbastanza classico e, purtroppo, minato da diversi problemi sparsi qua e là. Il problema principale è che Ethan non si limita solo a sparare ma può disporre di una serie di poteri attivabili con i tasti direzionali. Il che è una bella variazione, sia chiaro, nonché uno dei punti a favore del prodotto. I suddetti poteri sono legati a una barra di energia che andrà a scaricarsi man mano che li teniamo attivi. La barra può essere ricaricata col tempo oppure utilizzando delle scintille sparse per i livelli.
Il primo potere ci rende invisibili istantaneamente e può agevolarci non poco in quanto basta premerlo e i nemici smetteranno immediatamente di bersagliarci. Il secondo potere rallenta il tempo e ci permette di sparare più velocemente dei nemici. Qui iniziano i primi problemi: rallentare il tempo rallenta bruscamente anche il ruotare la nostra stessa mira, rendendo legnoso sparare ai lati e trasformandoci in vittime involontarie del nostro stesso potere.
Altro potere decisamente problematico è una sorta di “telecinesi” (o psicocinesi). Ethan può sollevare determinati oggetti (evidenziati in blu quando si attiva il potere e che, per qualche strana ragione, predilige solo determinate casse, asse di legno o brutti pezzi di pontili), sollevarli, allontanarli, avvicinarli e posizionarli (oltre a poterli lanciare contro i nemici). Dunque, come tecnica di combattimento, la telecinesi funziona prevalentemente bene con i classici bidoni incendiari. Col resto degli oggetti, è quasi inutile.
Purtroppo però, è il gioco stesso a richiedere il suo utilizzo in determinate fasi. In queste, ci viene chiesto di creare rudimentali ponti o percorsi scalabili. Ecco… il sistema di posizionamento degli oggetti, pad alla mano, è un disastro. Perderai più tempo a posizionare le casse una sull’altra che a vagare per le desolate e inutilmente vaste mappe di gioco.
C’è ancora un potere di cui tener conto e questo riguarda la nostra amica cyborg che ci seguirà costantemente senza fare assolutamente nulla se non richiamata in causa proprio da questo potere. In poche parole, si attiva una zona luminosa rasoterra che potremo spostare in lontananza e che indicherà alla nostra amica dove andare a esplodere. Esatto, possiamo utilizzare la nostra alleata come bomba. Purtroppo anche qui, il sistema di comando è scomodo, spesso la nostra amica non esegue il comando o ci mette così tanto tempo per raggiungere il posto ed esplodere che intanto i nemici si sono già spostati altrove.
La telecinesi c’è, invisibilità anche, poteva mancare un rudimentale sistema di portali? Ovvio che no. Ecco quindi che sempre la nostra amica cyborg può creare due portali per aiutarci a superare determinati muri. Purtroppo anche qui, il posizionamento delle indicazioni (praticamente uguali a quelle per far esplodere il cyborg) è legnoso, poco preciso e spesso e volentieri alcune zone saranno indicate in “rosso” e quindi non utilizzabili per creare i portali.
Nemici e mappe desolate
Ma come è composto 41 Hours? Dunque, si tratta di un gioco dalla longevità abbastanza generosa (oltre le dieci ore) ma così ripetitivo e lento che rischierai di abbandonarlo abbastanza presto. Parliamo di 11 capitoli dove ci sarà richiesto, fondamentalmente, di cercare una serie di oggetti e poi di attraversare il wormhole di fine livello (sì, Ethan si sposta con i wormhole).
Ogni capitolo dispone di una mappa aperta che inizialmente può anche lasciar sorpresa grazie a un impatto visivo stranamente curato. Purtroppo però, già dopo pochi minuti, ci si rende conto che la mappa è vuota e che gli elementi visivi sono riciclati all’infinito e con una mole di problemi che approfondiremo tra poco. Si passa da foreste a spiagge a deserti e perfino città, tutte tremendamente desolate e vuote. Inoltre, sono sì vaste ma ripetitive e, senza alcuna mappa ad orientarci, l’unico elemento che ci aiuterà è l’indicatore a schermo del prossimo obiettivo. Comunque, gli unici elementi “vivi” saranno i nemici. Questi potremo scovarli anche grazie a uno scomodo rivelatore che ci indica (male) dove sono situati i gruppi di nemici (con tanto di quantitativo numerico).
Il gioco non incita pienamente il combattimento alla cieca ma ti costringe comunque a farlo. Ethan non è coriaceo e muore anche abbastanza facilmente. Inoltre è solo. I nemici sono quasi sempre in gruppi e più andrai avanti, più saranno tanti e cattivi (oltre che stupidi). L’IA è scadente ma in massa fanno comunque abbastanza male e dovrai padroneggiare i poteri per cercare di sopravvivere fino alla fine. Più che altro c’è da considerare alcuni involontari vantaggi di nemici: ti possono colpire a distanze enormi (e stranamente riescono anche a vederti da tale distanze) e spesso appaiono all’improvviso.
Esatto, il “drop” dei nemici (quasi sempre uguali ma tra cui non mancano soldati classici, robot/torrette e stravaganti “zombie”) avviene dopo che sei arrivato in determinate zone e spesso ne sono così tanti che si è costretti a diventare invisibili e a fuggire a gambe levate. Inoltre, sono presenti dei mid-boss (o boss, siamo ancora indecisi su come identificarli) che ricordano vagamente le armature di Ironman, che sono dotati di scudi e barre di energie abbastanza resistenti e noiose. Come sono noiosi gran parte dei combattimenti. Tediati da un quantitativo di armi abbastanza povero e poco vario.
Ma le sorprese di 41 Hours non finiscono qui! Ethan ha anche un sistema rudimentale di “upgrade”. Uccidendo i nemici o trovando degli oggetti “segreti”, guadagni punti exp che potrai utilizzare per ampliare la barra energia, quella dei punti vita, aumentare il numero di armi trasportabile e altre piccole aggiunte passive. Niente di eclatante ma che almeno fortifica gli immensi massacri che ci ritroveremo a fare. Purtroppo, già al settimo/ottavo capitolo, se non ti sei limitato solo a scappare (puoi farlo, volendo), puoi ottenere tutti i vantaggi disponibili, rendendo quindi il sistema di punti esperienza inutile.
Ultima nota, il gioco è interamente doppiato e sottotitolato in inglese (assente l’italiano). I testi non sono niente di complesso e se senti di non riuscire a capire cosa succede non è colpa del tuo livello di conoscenza della lingua ma della narrativa accartocciata su se stessa.
Grafica
41 Hours ha un quantitativo di problemi grafici elevatissimo. Non ci manca quasi niente: abbiamo oggetti che appaiono dopo (tra cui l’intero manto erboso), compenetrazioni assurde (puoi passare attraverso tutti gli alberi piccoli e medi), nemici che appaiono e scompaiono, proiettili invisibili (letteralmente: non li vedi arrivare), seri problemi sulla gestione fisica degli oggetti (grazie alla già citata telecinesi) ed elementi di qualsiasi tipo sospesi in aria (dall’erba, ai medikit, alle armi e perfino ai nemici).
A questo vanno aggiunte delle animazioni dei personaggi vecchie di anni e anni. Perfino i fumetti non si salvano, offrendo una resa visiva anonima e poco dettagliata. Il sonoro anche ha problemi abbastanza seri tra tracce audio che s’interrompono di colpo o che sembrano sobbalzare. A questo si aggiunge il già discutibile doppiaggio. Solo gli effetti degli spari si salvano.
Su PlayStation 5 il gioco è fuori posto ma almeno sono quasi completamente assenti i caricamenti mentre sono completamente ignorate le potenzialità della console e del suo pad.