Sviluppato da Headware Games e pubblicato in sinergia con Ratalaika Games, Chasing Static è un’avventura in prima persona classificabile come horror psicologico. Dopo aver recensito il gioco per PC tramite Steam (qui la nostra recensione) siamo tornati nel Galles sulla nostra PlayStation 4. Come sarà stata la nostra esperienza su console? Scopriamolo insieme con la nostra nuova recensione.
Chasing Static – una storia che merita di essere svelata
In Chasing Static indossiamo i panni di Chris e il prologo non è che un dialogo a schermo nero. Qui veniamo a scoprire che il protagonista è in lutto: il padre è mancato e lui è in viaggio proprio per rendergli omaggio. Ci troviamo nel Galles settentrionale e qui la natura domina quasi incontrastata eppure, tra gli alberi, c’è molto da svelare. Ma procediamo con ordine. Il gioco ci conduce per mano e, dopo una breve viaggio automatico in auto arriviamo nel Last Cafè, un piccolo cafè sperduto in cui è rimasta solo una cameriera.
Il locale, infatti, è prossimo alla chiusura ma la donna ci concede di farci un ultimo caffè. Tutto abbastanza normale se non fosse che a un certo punto salta la luce. Chris si offre di dare una mano e risolve abilmente il problema spostandosi nel retro. Al suo ritorno, però, è successo qualcosa. Il locale è decisamente… cambiato. Il caos regna sovrano, come se fosse passato un violento tornado o peggio. Sui tavoli, prima ordinati, ora ci sono delle stravaganti attrezzature tecnologiche. L’oscurità permea quasi ogni angolo e il terrore prende vita nel povero Chris.
Cosa è successo? Dove si trova realmente? Cosa può fare? Dove può andare? A queste e ad altre domande, spetterà a te trovare le soluzioni. Chasing Static offre una trama ben scritta e che regge quasi fino alla fine. Ironicamente, è proprio il finale che va a guastare un po’ il tutto, svelandosi troppo apertamente e forse velocemente ma senza soddisfare appieno.
Questo perché Chasing Static cattura con i suoi misteri, con il suo essere ambiguo, stuzzicando il giocatore con echi di un probabile passato, con rumori, apparizioni fugaci, suoni lontani e tante altre piccole chicche. Chiariamoci, niente di originale ma il tutto è amalgamato abbastanza bene.
Cammina, trova l’oggetto e vedi dove utilizzarlo
Chasing Static potrebbe essere confuso per un walking simulator considerando che “camminare” sarà l’azione che farai di più. Il gioco non presenta creature da combattere o da cui nascondersi, non ci sono complessi puzzle ambientali da risolvere e neanche PNG con cui dialogare. Davanti a noi abbiamo dei luoghi abbastanza circoscritti e decisamente spogli, in cui vagare alla ricerca di indizi, di una traccia da seguire e di un nuovo tassello da svelare per ricostruire un mosaico che ci porterà a tirare le fila dell’intera vicenda.
L’esplorazione è quindi la chiave per riuscire a superare le breve avventura di Chris. Chasing Static è completabile in due-tre ore scarse, ma la presenza di diversi finali (ognuno con un relativo trofeo da sbloccare) potrebbe potenziarne la longevità.
Raccogliere determinati oggetti e scoprire quando e dove utilizzarli è la meccanica principale del gioco. Chris avrà a disposizione diversi strumenti, tra cui un’accendino per farsi luce e un particolare congegno denominato FDMD (Frequency Displacement Monitoring Device).
Il FDMD (il cui nome potrebbe quasi ricordare il FLDSMDFR di “Piovono Polpette”) è in grado di captare particolari echi e di ricostruire, esteticamente (grazie a una sorta di ologrammi), determinati eventi di un momento remoto. Ecco quindi che per procedere nell’avventura, ci ritroveremo (non sempre) a inseguire questi echi, controllando il dispositivo e seguendo le sue frequenze. Più il valore è alto, più l’eco è vicino. Al raggiungimento del massimo valore, l’eco si mostrerà e la scena avrà inizio.
In alcuni casi, per poter procedere o sbloccare un determinato oggetto o luogo, sarà necessario seguire l’ordine giusto di questi echi che no, non sono tutti necessari al completamento dell’avventura ma che, insieme alle note scritte sparse per il gioco, offrono un buon sostegno alla trama.
E ancora una volta, è la trama a trainare il giocatore fino alla fine, grazie anche a un’atmosfera ben riuscita unita ad alcune trovate intriganti. Ad esempio, per salvare il gioco basterà scattare una foto (con una macchina fotografica che recupererai abbastanza presto nel corso delle vicende) e conservare l’istantanea – oppure sostituirla quando raggiungerai il limite.
Nel gioco è presente anche un sistema fantasioso di teletrasporto caratterizzato da un telefono che ti porta in un “luogo bianco e nero” dove, premendo determinati tasti, potrai selezionare in quale zona spostarti (una delle quattro a disposizione).
Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Chasing Static utilizza uno stile low-poly che rimanda ai giochi che giravano sulla prima PlayStation e ciò riesce, in parte, tanto a rievocare il passato quanto a preservarne un certo fascino (proprio rievocando grandi classici dell’epoca).
Il problema è che Chasing Static non fa mai realmente paura e questo elemento lo tiene molto distante dagli horror se non fosse per l‘atmosfera e per i lunghissimi silenzi e per la devastante solitudine (il gioco rievoca soprattutto Silent Hill con le dovute differenze).
Purtroppo la stessa atmosfera è minata dalla presenza di diversi problemi tecnici. Da elementi che appaiono in ritardo (o che non appaiono proprio) ad altri che appaiono e scompaiono a intermittenza (soprattutto alcuni alberi). Da segnalare anche episodi di stravagante compenetrazione con alberi dal tronco coriaceo e altri che svaniscono al nostro passaggio.
Il sonoro, invece, è decisamente molto curato. Soprattutto per il doppiaggio in inglese che accompagna con efficacia la resa visiva (abbastanza povera) fortificando le sensazioni di sconforto e spaesamento generali.
Infine, da segnalare che Chasing Static è interamente sottotitolato in inglese (assente l’italiano) ma i testi non sono mai eccessivamente complessi o prolissi.