Perish è un titolo che prende a piene mani dalla formula roguelite FPS, vista in titoli come Roboquest, Deadlink o Gunfire Reborn. Parliamo quindi di una formula rodatissima e, soprattutto, con molti competitor sul mercato, che di conseguenza creano anche una concorrenza agguerita.
Vediamo quindi se Perish riesce a ritagliarsi un posto tutto suo o se è destinato a cadere nell’oblio in questa recensione.
La storia di Perish
Perish ci mette nei panni di un guerriero finito nell’aldilà, presumibilmente dopo essere caduto in battaglia. Dopo essere stato accolto e testato da una divinità apparentemente benevola, il protagonista si ritrova quindi a dover superare una serie di sanguinose prove in questo purgatorio ultraterreno, per poter infine dimostrare il suo valore.
A questo il gioco aggiunge alcuni indizi sulla lore generale, che però non diventa mai abbastanza approfondita da risultare interessante e, anzi, sembra sembra un semplice contorno. Non si tratta però di un difetto, visto che parliamo di un prodotto che punta chiaramente sul gameplay.
Tra spade e…fucili?
Il gameplay di Perish ricalca quello di altri roguelite del genere. Il loop generale ci vede quindi iniziare da un hub centrale, per poi avventurarci in una serie di stanze separate tra loro, divise in vari biomi. Come sempre si entra in una stanza e si uccidono le ondate di nemici, per poi completare un certo obiettivo. Alla fine della stanza si ottiene un potenziamento da scegliere e dopo un certo numero di stanze si affronta un boss.
Morendo si ricomincia da zero, ma la nuova partita verrà generata proceduralmente ogni volta. Tornando all’HUB centrale è poi possibile potenziare il proprio eroe in diversi modi, che permettono di essere più performanti nelle run successive. Una classica struttura insomma, decisamente derivativa.
Il vero problema di Perish, però, è la sensazione costante che il titolo non abbia un’identità tutta sua, ma che si limiti a essere un generico roguelite. Tanto per cominciare, le armi a disposizione del protagonista sono di due tipi: corpo a corpo e armi da fuoco. Nel primo caso siamo di fronte a spade, asce e altri tipi di armi bianche mentre nel secondo caso troviamo fucili, revolver, lanciafiamme e persino carabine bolt action. Insomma, un vero e proprio arsenale.
Nel caso si utilizzino armi bianche, è possibile bloccare e attaccare e allo stesso modo ogni arma permette di utilizzare abilità attive e passive che ne delineano le meccaniche.
Nel caso delle armi da fuoco è invece possibile mirare e sparare, con tutte le differenze del caso. Ogni arma è infatti a suo modo unica e possiede anche un fuoco secondario da sbloccare (torneremo anche su questo!).
In entrambi i casi è poi possibile sfruttare una schivata e un calcio, vitali per sopravvivere. Quest’ultimo, peraltro, si dimostra decisamente sbilanciato, proiettando i nemici a diversi metri di distanza in modalità ragdol, rendendoli completamente inermi. Si aggiungono poi delle daghe da lanciare e oggetti consumabili che vanno dalle bombe a scudi difensivi.
Il problema principale di Perish è che questo non sembri essere bilanciato per nessuna delle due tipologie di armi. Utilizzando le armi da fuoco, infatti, tutto diventa decisamente troppo facile, visto che molti nemici ci attaccano con le armi bianche e sono inermi ai nostri attacchi a distanza. Al contrario, utilizzando armi bianche alcuni nemici diventano fin troppo fastidiosi, per esempio perché volanti.
Inoltre questo gameplay ibrido non sfrutta a dovere nessuna delle due facce. Il combattimento corpo a corpo risulta banale e ripetitivo, per via di nemici prevedibili, della possibilità di abusare il calcio e per l’assenza di un parry che possa essere significativo. L’uso delle armi da fuoco non raggiunge invece la varietà e la cura vista in titoli come Roboquest o Deadlink. Perish sembra invece essere nel mezzo, in una mediocrità generale.
Le armi in generale non vantano ad esempio la presenza di tratti casuali, in modo simile a quanto visto in Dead Cells o Hades, che possano variare il gameplay generale. I potenziamenti che è possibile scegliere alla fine delle stanze risultano infatti poco incisivi per la varietà generale dell’esperienza, la quale risulta troppo simile di partita in partita.
Va poi fatto un discorso a parte per le stanze. Queste sono semplicemente delle stanze predefinite che si ripetono, spesso nello stesso ordine, ma con obiettivi diversi. Nella stessa stanza, per esempio, è possibile dover uccidere un minotauro incatenato, oppure dover bruciare un tempio. Qualunque sia l’obiettivo, però, tutto si riduce sempre a uccidere ondate di nemici, sfruttando i pochi strumenti a disposizione.
Questo non sarebbe un problema, se ci fosse un sistema di combattimento più vario e complesso. Allo stato attuale, invece, i nemici stessi sono difficili da eliminare solo per il loro numero elevato, ma tendono a essere troppo simili tra loro e poco furbi nei comportamenti. Dalla parte del giocatore troviamo invece la possibilità di utilizzare una sola arma alla volta, senza tratti casuali o build significative, affiancata dai vari strumenti extra, che comunque non sono troppo interessanti da utilizzare.
Tornando all’HUB centrale, invece, è possibile accedere a un discreto sistema di personalizzazione del personaggio, equipaggiandosi di varie abilità attive e passive che delineano una progressione abbastanza interessante…se non fosse per il grinding massiccio necessario a sbloccare tutto.
L’early game di Perish verte infatti verso la ripetizione compulsiva dei primi stage, in modo da accumulare abbastanza denaro da potersi permettere l’acquisto di abilità fondamentali, come i punti vita aggiuntivi. Bisogna poi acquistare le armi, a loro volta in una versione base da potenziare con altro grinding compulsivo di obiettivi specifici.
Questa scelta è decisamente sbagliata, visto che in ogni roguelite il grinding di oggetti e abilità non dovrebbe mai sostituire l’abilità del giocatore. Le abilità dell’avatar, in altre parole, non dovrebbero ostacolare l’abilità reale dell’utente. Al contrario, le prime ore di gioco di Perish sono inutilmente punitive, per via di morti arrivate casualmente da colpi impossibili da prevedere.
In sintesi, Perish è un gioco sufficiente, che parte con una buona struttura base, che però deve decisamente essere rivista, migliorata e ampliata. Allo stato attuale, invece, il titolo si presenta come un’idea embrionale. Qualcosa da sviluppare e da rifinire in ogni suo aspetto.
Luci e ombre
Il comparto tecnico di è probabilmente il punto più riuscito del titolo. Il gioco vanta infatti effetti visivi molto belli da vedere, modelli poligonali convincenti e ambienti mai troppo spogli. Allo stesso modo, le animazioni tendono a essere decisamente soddisfacenti per un titolo di questa portata.
Il comparto artistico ha invece alti e bassi. Da una parte troviamo design originali e interessanti, soprattutto in alcune stanze o per alcuni nemici, ma dall’altro lato vediamo una generale mancanza di coerenza. Il titolo sembra quasi mescolare elementi che arrivano da varie fonti d’ispirazione, senza però arrivare a un’identità tutta sua. Lo stesso dicasi per le armi da fuoco, in alcuni casi davvero troppo simili alle controparti reali per un titolo con questa ambientazione.
Infine, il comparto sonoro è sufficiente, con musiche ed effetti che si limitato a fare il loro lavoro.