Mighty Doom è un titolo che parte da premesse particolari: portare tutto lo stile di Doom in una versione in miniatura e cartoonesca della serie, che possa essere adatta al mercato mobile e che possa in qualche modo ospitare una struttura free to play. Può sembrare assurdo, ma il titolo è tutto questo e anche di più. Vediamo nella nostra recensione se però il risultato è riuscito o meno.
La storia?
Mighty Doom non ha una vera storia e potremmo dire che non si trova nemmeno un pretesto narrativo. Semplicemente, si gioca per uccidere orde di demoni in ambientazioni ispirata ai classici scenari della serie principale, che quindi vanno dalla terra fino all’inferno. Anche in questo modo è possibile immaginare una classica narrazione dove il doomslayer si fa strada tra orde di demoni per respingere un’invasione…ma tutto questa viene semplicemente suggerito vagamente dagli scenari.
Va detto che non siamo davanti a un difetto però, dato che il titolo punta praticamente tutto su un’esperienza volutamente semplice e immediata, dove le partite si susseguono velocemente e senza pause.
Mighty Doom: da FPS a single stick shooter
Il gameplay di Mighty Doom è quello di un sigle stick shooter simile al noto Archero. Ogni partita è quindi strutturata in stanze chiude, che di fatto si pongono come vere e proprie arene dove affrontare piccole ondate di nemici, evitando anche occasionali ostacoli ambientali non troppo invasivi. Dopo un certo numero di stanze si arriva poi a un boss da sconfiggere, per poi ripetere tutto fino alla fine del livello. Morire vuol dire ricominciare da zero, mantenendo però le risorse trovate.
Non siamo però davanti a un roguelite, ma a un titolo che ne riprende solo alcune meccaniche. Di fatto, Mighty Doom si pone come un single stick shooter con una campagna, composta da varie missioni strutturate in questo modo. La necessità di morire e ricominciare queste missioni, però, è una parte fondamentale della struttura di gioco, che soprattutto nelle battute finali diventa molto incentrata sul grinding e sulla necessità di giocare eventi a tempo, a loro volta strutturati così.
Quindi, come si combatte in questa versione in miniatura dello sparatutto infernale? Semplicemente, con uno stick virtuale ci si muove per l’arena, mentre lo sparo viene affidato a una mira e un fuoco automatici. Si aggiungono poi un’arma secondaria – per esempio un lanciarazzi – con un cooldown non troppo lungo, un’arma ultimate – come il BFG – con un lungo cooldown e un’arma da spalla con fuoco automatico che però è demandata a piccoli aiuti passivi.
Ogni scontro vede quindi spawnare ondate di nemici, che vanno uccisi alternando il fuoco automatico primario e l’uso dell’arma secondaria. L’utilizzo della “ultimate” è invece meno frequente, ma comunque in grado di salvare da situazioni critiche. Allo stesso modo, le singole arene hanno ostacoli ambientali da sfruttare come ripari, oppure trampolini o altre interazioni che aggiungono un pizzico di varietà alla formula.
Superando le varie stanze si accumulano poi punti esperienza, che fanno salire di livello il mini Slayer in una progressione interna alla partita. Salendo di livello è possibile scegliere uno fra tre potenziamenti passivi, in grado di garantire effetti aggiuntivi come danno AoE, più rateo di fuoco, effetti incendiari e così via. Questi potenziamenti permettono effettivamente di creare build, ma sono tristemente affetti da uno sbilanciamento troppo marcato. Alcune build sono infatti molto più efficaci di altre e di conseguenza alcuni effetti vengono brutalmente ignorati. Il risultato finale resta comunque godibile, ma non raggiunge tutto il suo potenziale.
Queste basi sono però collegate a doppio filo con la parte “ruolistica” del titolo. Dopo ogni missione di Mighty Doom, infatti, è possibile accedere a un menù da cui potenziare il nostro Doom Slayer, equipaggiando armi e armature. Si aggiunge la possibilità di spendere una valuta virtuale per aumentare statistiche passive o per potenziare le varie bocche da fuoco.
Queste ultime, peraltro, vanno reperite tramite lootbox, da ottenere come ricompensa per il completamento delle varie attività. Va da sé che tutta questa metaprogressione diventa fondamentale per proseguire nell’avventura ed è proprio qui che si nota la monetizzazione di Mighty Doom. Le armi e le armature sono infatti divise per rarità ed efficacia, quindi il loro aggiornamento continuo è fondamentale.
Tutto questo può infatti essere acquistato con soldi reali o, in alternativa, va ottenuto tramite grinding nella parte più avanzata della campagna. Un equipaggiamento poco sviluppato vuol dire fare pochi danni o subirne troppi e può rendere difficili le missioni. Va detto, però, che il titolo non diventa mai eccessivamente ingiusto e anche il grinding non diviene mai eccessivamente marcato. La presenza costante di eventi, poi, rende l’ottenimento di equipaggiamento e risorse sempre equilibrato.
In altre parole, la struttura ludica di Mighty Doom è davvero ottima, soprattutto per un gioco free to play. Le microtransazioni sono chiaramente presenti, ma senza divenire troppo invasive. Chiaramente, i limiti di una struttura così limitata sono però evidenti: le meccaniche di gioco sono sicuramente immediate, ma non hanno uno skill ceiling troppo alto e di conseguenza cadono spesso nella ripetitività e nella sensazione di una generale mancanza di profondità. Il risultato è un titolo valido e divertente, ma solo per chi cerca qualcosa da giocare senza troppe pretese.
Va però lodato il tentativo riuscito di trasporre il gameplay di Doom in versione miniaturizzata, per esempio includendo piccole meccaniche come le uccisioni epiche (i nemici storditi possono essere finiti con il corpo a corpo che dona salute), gli attacchi corpo a corpo e i boss che vengono smembrati in modo chibittoso.
Tecnicamente caruccio
Il comparto tecnico di Mighty Doom fa bene il suo lavoro, presentando uno stile chibittoso con ambienti e nemici discretamente dettagliati. Le animazioni sono invece convincenti e gli effetti visivi sono a loro volta soddisfacenti.
Il comparto estetico ci porta invece un’ottima trasposizione teneramente in miniatura dell’universo di Doom, che qui resta riconoscibilissimo in uno stile chibittoso.
Il comparto sonoro si limita invece a fare il suo dovere, con musiche ed effetti adatti alle varie occasioni.