Tchia, l’oggetto di questa recensione, è l’esempio perfetto di come il medium videoludico possa servire, letteralmente, anche a scoprire mondi nuovi, e non sempre questi devono essere mondi fantastici. In particolare, gli sviluppatori di casa Awaceb, originari della Nuova Caledonia, hanno voluto omaggiare la loro terra, così esotica e piena di fascino, tramite un titolo nel quale sarà proprio il mondo di gioco il protagonista principale dell’avventura.
L’obiettivo di Tchia è dichiaratamente quello di far conoscere ai giocatori una cultura che, grazie a particolari condizioni geografiche (la Nuova Caledonia è un arcipelago di isole dell’Oceano Pacifico che si trova a Est dell’Australia) e storiche è riuscita a mantenersi intatta. Infatti, pur essendo stata per decenni una colonia penale francese, questa comune è ormai diventata del tutto indipendente grazie a un referendum.
Non a caso infatti, per una precisa scelta degli sviluppatori il doppiaggio del titolo è esclusivamente in francese, lingua nazionale, e in drehu, la lingua indigena più diffusa. Già questo particolare fa capire quanta attenzione nel riproporre fedelmente una cultura ci sia stata in quest’opera, cura che diventa ancora più palese quando rivolgiamo uno sguardo alla riproduzione della biodiversità unica al mondo della Nuova Caledonia, analizziamo in dettaglio questo suggestivo racconto di formazione!
Raccontare una leggenda…
La trama di Tchia viene raccontata con toni fiabeschi perché di base è proprio quello che è: nella cinematica iniziale del gioco vediamo infatti un gruppo di ragazzini radunati attorno a un falò con una anziana signora che racconta loro la leggenda di Tchia, ovvero la ragazzina che sarà la protagonista della nostra storia.
La piccola Tchia vive in tranquillità e a contatto con la natura su un’isola assieme a suo padre e tutto sembra trascorrere sereno come in un vero e proprio paradiso in terra. Tuttavia, le cose sono destinate ben presto a cambiare e dopo un prologo in cui viene raccontata la quotidianità di Tchia, che riceve da suo padre dei doni che si riveleranno fondamentali nel corso dell’avventura.
La pace è però destinata a finire nel più brusco dei modi quando un malvagio stregone raggiunge Tchia e suo padre sull’isola e, aiutato dai suoi sinistri fantocci, rapisce quest’ultimo. Proprio in questa occasione la giovane inconsapevolmente scopre e risveglia i suoi poteri riuscendo perfino a ferire il minaccioso stregone artefice del rapimento, ma non riuscendo tuttavia a salvare suo padre.
Avrà così inizio l’avventura della piccola Tchia, intenzionata a salvare suo padre. Le peripezie della giovane la porteranno a esplorare in lungo e largo il vasto arcipelago che compone il mondo di gioco ritrovandosi davanti ad ambienti meravigliosi e affascinanti, che perfino nelle città sparse qua e là in giro per le isole riescono a mostrare la grandiosità della natura.
Non sarà però solo il paesaggio a farla da padrone, infatti nel corso della nostra avventura ci imbatteremo anche in personaggi abbastanza interessanti e ben caratterizzati, in particolare Tre, che conosceremo praticamente subito, nostro mentore e padrino che guiderà i primi passi della protagonista. Decisamente interessante anche la narrazione, che mi ha ricordato a più riprese quella tipica di un film Disney Pixar con un umorismo fresco e intelligente che in più di un’occasione è riuscito a strapparmi una risata.
The Legend of… Tchia?
A oltre sei anni dal suo lancio, sappiamo perfettamente quanto The Legend of Zelda Breath of the Wild abbia fatto scuola nel panorama videoludico moderno, e Tchia è solo l’ennesima conferma. Se i primi “cloni” del capolavoro di casa Nintendo, come per esempio Genshin Impact, hanno fatto gridare allo scandalo, abbiamo imparato col tempo che attingere da un titolo che sta riscrivendo le fondamenta del gaming stesso non è poi un crimine: ce lo ha insegnato Immortals Fenyx Rising e Tchia torna a ricordarcelo con una formula che ormai si dimostra davvero ben rodata.
Di base, ci ritroviamo davanti a un open world nel quale avremo possibilità pressoché illimitate dal momento che tutti gli ambienti esterni, e anche alcuni interni, saranno liberamente esplorabili e l’unico limite nella nostra esplorazione sarà l’ingegno (e la resistenza, che potremo potenziare man mano) proprio come succedeva in quella che, ancora per poco, è stata l’ultima avventura di Link. Proprio come in Breath of the Wild, a inizio avventura ci verranno consegnati tutti gli strumenti fondamentali per la nostra esplorazione: una fionda, una vela e un ukulele, oltre a una zattera per navigare e un potere speciale di cui parleremo più avanti.
Se la fionda si limita a svolgere la sua classica funzione di “arma da fuoco”, l’ukulele invece mostra quanto gli sviluppatori abbiano preso a piene mani dalle avventure di Link e non solo dall’ultimo capitolo, poiché ha un funzionamento particolarmente simile a quello dell’ocarina dell’eroe di Hyrule in quanto le sue melodie avranno effetti che ci permetteranno di interagire in diversi modi col mondo di gioco. L’attività del suonare l’ukulele in sé poi è davvero piacevole e rilassante, in quanto dà vita a un quick time event in stile rhytm game che ricorda in maniera estremamente semplificata quello visto in The Last of Us Parte II con la chitarra.
La nostra zattera invece ci consentirà di avventurarci in maniera davvero semplice tra le varie isole, anche sé mostra il fianco a uno dei punti deboli della produzione: i menù del gioco. La mappa in particolare sarà abbastanza approssimativa e non aiuta il fatto che Tchia non sappia dire con certezza, data la sua inesperienza da navigatrice, dove si trova, dandoci sempre una posizione approssimativa; indubbiamente affascinante come intuizione, ma davvero poco funzionale a uno degli strumenti fondamentali in un open world del genere, soprattutto se il mondo di gioco è frammentato in isole.
Perfino gli onnipresenti menù degli obiettivi secondari, per quanto semplici, andranno man mano ad accumularsi con l’aumentare delle attività secondarie proposte, dalla ricerca di perle e manufatti, alla caccia di piume fino al cercare specifici animali in giro per le isole. Il menù in questione andrà a impilare in maniera abbastanza confusa questi obiettivi, e talvolta si rivelerà non esattamente intuitivo l’andare a trovare le informazioni di cui abbiamo bisogno.
Per quanto riguarda i poteri speciali di Tchia, sono l’ennesima conferma di quanto gli sviluppatori abbiano voluto omaggiare la propria terra e in particolare la fauna e la flora tipiche della Nuova Caledonia. La nostra riccioluta protagonista infatti potrà prendere possesso di animali e piante tanto per esplorare anche in verticalità il mondo di gioco (pensiamo alla possibilità di impersonare un gabbiano per librarci nel cielo, o un pesce per addentrarci nelle profondità marine), quanto per risolvere anche alcuni enigmi ambientali che non potremo portare a termine non le nostre caratteristiche in forma umana: un’operazione talmente semplice e immediata che sarà un piacere “tuffarsi” in altre forme di vita anche solo per sperimentare un modo nuovo di guardare e affrontare il mondo di gioco.
Comparto tecnico… tribale
Come avrai già potuto intuire, Awaceb è una piccola realtà allo sviluppo del suo primo titolo, e le poche pretese che lo studio aveva nei confronti di Tchia si ravvisano nel comparto tecnico del gioco, che si rivela tuttavia sorprendente una volta fatta questa premessa.
Per quanto riguarda la grafica, gli sviluppatori hanno optato per uno stile cartoonesco con colori molto accesi e con una modellazione dei personaggi buffa e accattivante, che ricorda in parte lo stile degli Aardman Studios. Tutto molto gradevole alla vista, ma non mancano purtroppo texture più approssimative e spigolose delle altre e alcune compenetrazioni, mai troppo fastidiose o addirittura invalidanti, ma che si fanno notare in più di un’occasione.
Il comparto sonoro invece è a dir poco caratteristico, dal momento che l’ukulele sarà uno strumento fondamentale del gioco, si capisce quanta attenzione sia stata riposta nella componente musicale della produzione. Gli sviluppatori si sono infatti preoccupati di proporre in maniera suggestiva e fedele le sonorità tribali che compongono la storia e la tradizione dell’arcipelago, intrattenendo a dovere il giocatore con melodie davvero ispirate anche nelle lunghe (a volte troppo) fasi di traversata in zattera: una vera gioia per le orecchie!
In definitiva, Tchia non sarà certo uno dei migliori titoli in circolazione, ma il suo spirito sognante e le sue atmosfere così rilassate lo rendono senza dubbio un’esperienza adatta a chi ha voglia di esplorare un nuovo mondo e perdersi nell’esplorazione di terre e culture che fino al giorno d’oggi hanno avuto la capacità di mantenere un fascino primordiale.