Sviluppato da Neckbolt e pubblicato da Burning Planet Digital, Molly Medusa: Queen of Spit è un videogioco d’avventura con innumerevoli enigmi ambientali che ricorda – neanche troppo velatamente – The Legend of Zelda: The Wind Waker. Noi abbiamo indossato i panni dell’involontaria “medusa” su Nintendo Switch e questa è la nostra recensione!
Molly Medusa: Queen of Spit – pietrificare contro voglia
Molly Medusa: Queen of Spit ha un incipit abbastanza standard, il quale mostra subito i toni leggeri e quasi spensierati della narrazione che permea il titolo. Come facilmente intuibile, noi vestiamo i panni di Molly, un’apprendista di uno scultore – tale Pigmalione – burbero e anziano. Dopo un breve scambio dove si evince di quanta scarsa fiducia è destinata alla improbabile eroina, Molly verrà inviata in “missione”. Una scusa per farci interagire con la città (abbastanza spoglia) e con i suoi abitanti (diversi e graficamente accattivanti oltre che caratterizzati da un doppiaggio non sempre ben riuscito).
Ma se i primi minuti lasciano presagire una certa tranquillità, ben presto scopriremo perché il gioco si chiama “Molly Medusa”. Basta poco, infatti, per far incappare l’apprendista in un piccolo incidente che le porterà una brutale maledizione. I suoi capelli, rossi, saranno trasformati in serpenti e da banale apprendista di uno scultore, diventerà un’apprendista “medusa”. Esatto, proprio la creatura mitologica dell’antica Grecia, quella che può pietrificare con un solo sguardo qualsiasi essere vivente – senza alcuna distinzione tra amico o nemico.
Tra i temi del titolo spicca quello della solitudine. D’altronde, la giovane Molly si ritroverà di punto in bianco a non poter interagire con nessuno senza trasformarlo in una statua di pietra. In questo, il titolo riesce in parte a trasmettere l’angosciante sensazione di frustrazione e solitudine ma, come anticipato, la storia ha comunque dei toni molto leggeri, quasi cartooneschi e che sembrano non permettono alla trama di scendere in profondità come invece avrebbe potuto.
Ecco quindi che ci si ritrova a partire per un viaggio solitario in un vasto deserto desolato (letteralmente e tra l’altro senza una guida precisa tant’è che ci vuole un po’ a capire dove andare e cosa fare) alla ricerca di templi abbandonati. Inutile dire che, come da introduzione, il titolo ricorda in più punti The Legend of Zelda: The Wind Waker. Non solo per la scelta stilistica un po’ deformed e principalmente allegra e colorata ma anche per la struttura ludica e per alcune scelte di gameplay. D’altronde, anche Molly si ritroverà per gran parte del tempo a vagare in un vasto deserto (come il mare di Link) arricchito prevalentemente da templi abbandonati con all’interno dungeon e relativi puzzle da risolvere (una delle specialità di Link).
Ma siamo solo all’inizio delle similitudini di un titolo che, a essere onesti, partendo da premesse discretamente originali ed essendo dotato di una protagonista che poteva essere decisamente più carismatica, non aveva così bisogno dall’inseguire, quasi scolasticamente, il buon Link. Ma andiamo ad analizzare nel dettaglio il gameplay della giovane medusa.
Non solo di pietrificazione vive una medusa
Come avrai ormai capito, Molly Medusa: Queen of Spit è un adventure game con enigmi ambientali da risolvere in stile Zelda. Quindi non sorprende scoprire che l’energia dell’eroina è raffigurata da cuori rossi, così come le sue armi/gadget – che sbloccherai man mano lungo il corso dell’avventura – richiamano più volte quelle utilizzate da Link. Dov’è allora che Molly prova a dire la sua? Principalmente in due abilità: la pietrificazione e l’utilizzo della gravità.
Se con la pietrificazione potrai letteralmente trasformare chiunque in pietra (temporaneamente e potrai utilizzare, in alcuni casi, questa trasformazione a tuo vantaggio per risolvere enigmi o uscire indenne dagli scontri), la gravità è più impegnativa e, purtroppo, va a rappresentare uno dei problemi chiave di Molly Medusa: Queen of Spit. Come da prassi, l’abilità di andare oltre la gravità si traduce nell’abilità di poter camminare su pareti e soffitto (basta un salto contro il muro e il gioco è fatto). Questo rende la struttura dei dungeon molto intrigante ma, ahinoi, anche complessa da esplorare. E la complessità è tutta racchiusa nella gestione della telecamera che annaspa dietro la protagonista, incastrandosi o non riuscendo sempre a rendere fluida l’esperienza su schermo.
E parlando di telecamera, il gioco sembra anche consapevole del proprio problema, tant’è che oltre a quella fissa e di default permette all’utente, utilizzando l’analogico, di poter settare – temporaneamente – la telecamera “libera” e quindi manuale. Purtroppo non si risolve molto, senza contare che spesso la modalità libera si auto-setta in quella fissa e questo può creare spaesamento. C’è anche una telecamera in prima persona che si setta sempre manualmente ed è utile per cercare di dare una panoramica ai luoghi (quella in prima persona è una visuale che non ci permette di muoverci). Purtroppo, anche qui, il risultato non è dei migliori, specialmente nei dungeon dovei bisogna avere una visuale perfetta considerando che ci si deve spostare a 360°, soffitto incluso.
Oltre a pietrificare e a padroneggiare la gravità, dovrai anche destreggiarti con la tua nave affrontando le insidie del deserto. Un deserto che, come accennato, è praticamente vuoto. Un’enorme distesa monocromatica decisamente distante dalla distesa azzurra solcata da Link. Invece, per quanto riguarda gli enigmi situati all’interno dei templi, questi sono decisamente standard (escludendo quelli legati alle abilità peculiari di Molly). Andiamo dallo spostare dei blocchi al destreggiarsi con fasci di luce da far riflettere su una serie di specchi. Il livello di sfida è nella media ma siamo appunto lontani dalla sorprendente e appagante complessità a cui ci ha abituato la leggendarie serie di The Legend of Zelda.
Da citare che sono presenti tesori, prevedibili upgrade (come quelli legati all’energia della protagonista), qualche sporadico elemento che prova ad arricchire la lore del titolo (e che farà la gioia degli appassionati della mitologia Greca, nonostante si potesse fare di più). I gadget, invece, come anticipato, sono abbastanza standard, selezionabili e visibili a schermo, variano dal comune rampino a strumenti in grado di farci interagire con determinati oggetti dello scenario per risolvere enigmi.
Grafica e sonoro
Graficamente Molly Medusa: Queen of Spit si difende abbastanza bene, soprattutto per quanto riguarda i personaggi, ben caratterizzati, colorati e cartooneschi. I colori scelti per il titolo funzionano e rendono il tutto coeso e vivace. Purtroppo le location non vivono della stessa cura (non tutte almeno), escludendo il deserto vuoto, molti asset grafici vengono ripetuti di dungeon in dungeon e i templi stessi non brillano sempre per originalità.
Il sonoro di Molly Medusa: Queen of Spit è strano. Il doppiaggio in inglese non è male, salvo alcuni personaggi recitati davvero malino. La cosa che ci lascia perplessi e che ci accoglie già dai titoli, è la scelta peculiare di alcune tracce. Si tratta di un heavy metal anche abbastanza “tosto” che non si allinea quasi mai con quanto visto a schermo. Chiariamoci, la musica non è male – anzi – semplicemente non è coerente con le atmosfere e i personaggi a schermo (ma lo stravagante mix potrebbe comunque piacere, non lo escludiamo).
Da segnalare che il titolo non presenta i sottotitoli in lingua italiana mentre il titolo si difende abbastanza bene in entrambe le modalità dell’ibrida Nintendo. Infine, evidenziamo giusto qualche bug e piccoli problemi di compenetrazione (niente che una patch non possa risolvere) oltre a qualche caricamento di troppo nel passaggio da un’area all’altra.