The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom è ormai arrivato sui nostri scaffali, facendo sognare nuovamente quei fan di Breath of the Wild che speravano di poter rivivere ancora una volta le emozioni provate esplorando il regno di Hyrule in salsa open world e ricevendo i primi complimenti. Un mondo che sembrava vivo, grazie a tanti piccoli dettagli sparsi nella mappa e a un motore fisico semplicemente incredibile, in grado di definire un mondo reagiva in maniera convincente agli stimoli del giocatore.
Proprio quest’ultimo concetto torna di prepotenza anche nel sequel del capolavoro Nintendo, dove tutto il mondo di gioco sembra divenire ancora più reattivo, convincente e denso di contenuti. Si nota infatti una marcata componente sandbox che, pur non snaturando la struttura gettata dal predecessore, riesce comunque a dare moltissima agency al giocatore.
Data la vastità di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, abbiamo già pubblicato alcune guide che possono aiutarti nel muovere i primi passi, per esempio per catturare il tuo primo cavallo, per far volare l’Aliante Zonau, ma anche per trovare due buone armature, di cui una iconica. Siamo infatti davanti a un titolo che va assaporato lentamente, nei suoi scorci memorabili, ma anche nel senso di avventura e di scoperta che riesce a regalare. Iniziamo quindi questa recensione e vediamo se vale la pena tornare nelle terre di Hyrule!
Una storia dal sapore leggendario
Il comparto narrativo di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom riveste grossomodo lo stesso ruolo che abbiamo già potuto vedere in Breath of the Wild, per certi versi ricalcando persino la stessa modalità di narrazione. Questa struttura, però, viene qui valorizzata tramite cutscene decisamente più curate e soddisfacenti. Fin dai primi momenti di gioco, infatti, si avverte la volontà di dare un maggiore risalto all’intreccio dei fatti, qui più articolato rispetto a quello del precedente capitolo.
La storia inizia con toni che sembrano suggerire la fondazione di una leggenda, dando subito in pasto al giocatore un’atmosfera epica. Link e Zelda si avventurano in una grotta buia, scoprendo un bassorilievo che rappresenta la grande guerra tra Ganon, un essere malvagio alla guida di un esercito di mostri, e il regno di Hyrule, abitato dalla razza Zonau e dagli Hylia. Addentrandosi ulteriormente nella grotta i due trovano poi una mummia, la quale si risveglia subito dopo, liberando uno strano miasma letale.
Questo indebolisce Link fino a ridurlo in fin di vita, proiettando la principessa Zelda in un baratro sottostante, dove sparisce in un lampo di luce. Al suo risveglio, il protagonista si ritrova da solo e indebolito, senza nessuna traccia della principessa. Viene però accolto dal fantasma di Raul, il primo re di Hyrule, nonché proprietario del braccio destro ora impiantato nel corpo del giovane eroe.
Con il risveglio della mummia, il regno di Hyrule è stato colpito da un terribile cataclisma, che ha aperto enorme voragini, spaccando la terra e spargendo miasma. Allo stesso tempo, delle misteriose rovine Zonai hanno iniziato a piovere dal cielo, mostrando per la prima volta i resti di un’antica civiltà perduta. Sta quindi a Link capire cosa sia successo a Zelda, chi sia questa mummia e come mai il castello è ora sollevato nel cielo.
Senza dilungarci in spoiler inutili, ti basti sapere che queste premesse narrative vengono espanse con varie cutscene presentate al giocatore durante una questline specifica, dove interagire con punti di riferimento che mostrano visioni di quello che sembra il passato. Queste tinteggiano una storia epica e interessante, meno lineare rispetto a quella di Breath of the Wild e decisamente più accattivante nel suo svolgimento.
Poco alla volta, infatti, si viene a scoprire l’identità della mummia, le sue motivazioni, cosa sia successo a Hyrule e la natura stessa del cataclisma. Tra missioni principali e visioni si crea quindi una trama interessante e in grado di appassionare fino alla fine, dove vengono svelati anche piccoli elementi di lore in grado di rendere più interessante il mondo di gioco.
Parte integrante della narrazione è lo spazio esplorato. Hyrule non è la stessa che il giocatore ha visitato nel precedente titolo, ma è cambiata. Da una parte per il cataclisma, ma dall’altro lato per gli anni trascorsi dopo la sconfitta della Calamità Ganon. Questo viene narrato in maniera sottile, attraverso dettagli e riferimenti sparsi nei vari scenari: Pruna è cresciuta, i villaggi sono cambiati, alcuni ricordano le precedenti gesta di Link…e il regno va ancora riportato ai fasti di cento anni prima.
The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom – quando la formula va oltre la perfezione
The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom prende a piene mani dalla formula gettata da Breath of the Wild, senza però adagiarsi su questi allori. Al contrario, il titolo ha il coraggio di innovare almeno in parte le meccaniche che hanno reso famoso il rilancio della serie Nintendo, spingendo molto su una marcata componente sandbox e valorizzando il motore fisico del gioco. Sia chiaro, non siamo davanti a un prodotto totalmente sandbox, ma piuttosto si nota un arricchimento della formula base.
Il loop di gameplay dell’esperienza non è troppo stretto e, anzi, concede moltissima libertà al giocatore. Volendo riassumere la struttura ludica del titolo, potremmo dire che l’esplorazione di Hyrule è il perno attorno a cui si incardinano tutte le altre attività proposte. Il level design dello scenario, infatti, propone al giocatore diversi stimoli che si alternano, come attività diverse tra loro, scorci in grado di incuriosire, o segreti sparsi nei posti più impensabili.
Ancora una volta l’open world diventa il vero protagonista dell’esperienza, garantendo un’esplorazione mai scontata e creando un senso di avventura e di sorpresa praticamente costante. Nonostante il giocatore sia spinto a esplorare per muoversi tra le varie missioni principali, queste non diventano mai l’unico motivo alla base degli spostamenti, ma solo la premessa di vere e proprie escursioni nella mappa di gioco, dove si scoprono nuove armi, si sperimentano nuove costruzioni, si superano ostacoli ambientali di ogni tipo e così via.
Come in Breath of the Wild, il mondo è reso vivo da dettagli sparsi sapientemente negli scenari e da meccaniche già rodate: freddo e caldo eccessivo richiedono abbigliamenti particolari, alcuni ingredienti si possono reperire dove ci si aspetterebbe di trovarli – ad esempio i funghi sulle rupi e le mele sotto gli alberi – e in generale ogni area ospita interazioni particolari e stimolanti.
Il motore fisico a cui i giocatori sono stati abituati torna a essere protagonista di molte interazioni ambientali, con ghiaccio che si scioglie, erba o armi che bruciano, oggetti che scivolano dai pendii e molto altro. Di fatto, molti ostacoli o enigmi ambientali possono essere superati solo attraverso lo sfruttamento intelligente della fisica di gioco o delle proprietà degli oggetti: un martello di roccia spacca le rocce, un’arma affilata taglia gli alberi, il fuoco brucia i rovi, il ghiaccio congela l’acqua e cadere in cima a una salita fa rotolare Link (o un nemico) per diversi metri.
La struttura stessa della world map, peraltro, richiama molto da vicino quella vista nel capostipite: il regno è diviso in varie parti, tutte con le loro peculiarità geografiche. Allo stesso modo, la storia viene narrata tramite visioni sparse in luoghi importanti con cui interagire e, di nuovo, tornano i sacrari da completare per ottenere Cuori o Vigore.
Tornano poi meccaniche già viste. Per correre, nuotare o scalare le pareti, Link deve necessariamente consumare Vigore. Una volta esaurito, i movimento saranno impediti per un certo periodo di tempo, portando quindi a movimenti lenti, a rovinose cadute o ad annegare.
Allo stesso modo, torna la tanto amata (oppure odiata?) durevolezza delle armi, che con ogni colpo si avvicinano sempre di più alla rottura, fino a distruggersi completamente. Una meccanica, questa, che come vedremo viene ammortizzata dalla possibilità di combinare e creare armi, modificandone le caratteristiche in modo molto evidente.
Torna poi il sistema di crafting di cibi e pozioni fa nuovamente la sua comparsa, consentendo la creazione di consumabili in grado di garantire effetti aggiuntivi che aiutano enormemente nell’esplorazione o nei combattimenti.
Anche il sistema di combattimento ricalca quanto visto in Breath of the Wild, con l’arricchimento degno di nota dei Congegni Zonau. Si utilizza quindi un tasto per attaccare e uno per agganciare e alzare lo scudo. A questo si aggiunge la possibilità di utilizzare l’arco, anche intingendo le frecce con materiali che ne modificano gli effetti. È poi possibile lanciare le armi, magari quando sono vicine alla rottura, e allo stesso modo raccogliere quelle che lasciano cadere i nemici. Ogni arma ha poi un moveset specifico, che dipende dalla sua classe e, più in generale, alcune proprietà che dipendono dai materiali di cui è composta (le quali strizzano l’occhio al motore fisico del titolo, ovviamente).
Infine, fanno la loro comparsa anche i Sacrari, che rivestono essenzialmente lo stesso ruolo di Breath of the Wild, proponendo enigmi ambientali al giocatore, che poi permettono di ricevere globi spendibili per acquistare nuova Salute o Vigore.
Siamo quindi davanti a un more of the same?
Assolutamente no. Queste basi, decisamente apprezzate in Breath of the Wild, diventano qui solo il trampolino di lancio per nuove meccaniche, che in parte riescono a innovare, ma senza snaturare la difficile eredità del capostipite. In particolare, i nuovi poteri di Link diventano il cuore pulsante di una già citata componente sandbox, inserita nel loop di gameplay in modo decisamente equilibrato.
Equilibrato perché, di fatto, non costringe un giocatore alla ricerca di un’esperienza più classica a utilizzare eccessivamente le meccaniche introdotte. Il titolo permette infatti di dare libero sfogo all’immaginazione, permettendo di approcciare i problemi – ambientali o nei combattimenti – in vari modi: è possibile scalare una parete oppure costruire una sorta di mongolfiera, lanciarsi con la Paravela oppure costruire un aliante, approcciare uno scontro in modo diretto, oppure unire alle frecce dei frutti incendiari o una gelatina congelante.
Le possibilità di agency sono veramente infinite ed è il giocatore a scegliere come vuole approcciare l’esperienza, fermandosi alle soluzioni più ovvie (spesso suggerite dall’ambiente stesso tramite strumenti posizionati in giro) oppure sperimentando con i vari strumenti a disposizione per cercare modi creativi di superare l’ostacolo di turno. Persino gli enigmi dei sacrari, in alcuni casi, possono essere superati in modi diversi.
Questi nuovi strumenti sono dei poteri nuovi di zecca. In particolare, l’Ultramano permette di spostare e ruotare oggetti, incollandoli tra loro e divenendo il fulcro del nuovo sistema di costruzione introdotto dal titolo. Tramite questo potere è possibile spostare e incollare vari elementi presenti nello scenario, formando creazioni di ogni tipo. Ad esempio, quattro tronchi possono diventare una sorta di zattera, a cui incollare una ventola che permette di muoversi su un lago. Allo stesso modo, un carretto delle miniere può superare un binario rotto se si incolla un gancio al centro e lo si appende alla parte integra. O ancora, una testa sputafuoco può essere incollata nella parte anteriore di un carro creato da noi, oppure utilizzata come combustibile per una mongolfiera.
I nuovi Congegni Zonau vanno a braccetto con tutto ciò. Questi sono dei dispositivi che funzionano con una batteria (la quale si ricarica automaticamente quando non viene utilizzata e sempre presente sulla cintura di Link) che possono essere incollati su molti altri materiali. E’ ad esempio possibile trovare la già citata ventola, ma anche dei razzi, un aliante, delle batterie aggiuntive, pentole portatili, una console di comando e molto altro.
E’ chiaro quindi che le possibilità di creazione offerte dal nuovo The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom sono quasi illimitate. Combinando i poteri dell’Ultramano con quelli dei Congegni Zonau è infatti possibile approcciare ogni singola esplorazione ambientale in modo più o meno creativo…oppure nel modo classico, se il giocatore è alla ricerca di questo.
Proseguendo nell’esplorazione di Hyrule, peraltro, si iniziano a scoprire nuovi modi di sfruttare la costruzione di oggetti, spesso dando vita a creazioni apparentemente impensabili, il cui funzionamento si lega a doppio filo con il motore fisico del gioco. Ogni costrutto, infatti, modifica il proprio peso e la risposta agli stimoli in base agli oggetti di cui è composto e in alcuni casi persino in base al modo in cui questi sono posizionati. E’ ad esempio possibile creare vere e proprie macchine volanti, a patto di ragionare sulla disposizione delle ventole e sul peso generale del veicolo creato.
Il secondo potere è invece il Compositor. Questo permette di unire le varie armi ad altre armi o a materiali sparsi nello scenario, in modo da ottenere strumenti di distruzione nuovi di zecca. Nonostante le possibilità creative di questo strumento siano inferiori a quelle dell’Ultramano, il risultato è comunque molto interessante, dato che in alcuni casi si modificano enormemente le caratteristiche dell’arma.
Per esempio, è possibile unire un’unghia di Hynox a uno scudo per renderlo più durevole, ma anche creare un’ascia unendo una roccia a una clava. Allo stesso modo, le corna di ottenute da vari nemici diventano lame di varie armi ed è persino possibile unire due lance insieme…o creare uno scudo che sputa fuoco grazie a un Congegno Zonau sapientemente attaccato sopra. Proprio l’utilizzo di questa meccanica dona maggior varietà al combattimento, mettendo in mano al giocatore uno strumento in grado di modificare molto le armi in possesso o di alterarne persino la durevolezza. Allo stesso modo, le armi in mano ai nemici diventano più varie, dato che spesso richiamo quanto è possibile creare.
Anche in questo caso, peraltro, proseguendo nell’avventura si scoprono materiali in grado di modificare pesantemente il comportamento delle armi, non solo aumentandone il danno, ma spesso garantendo effetti aggiuntivi davvero degni di nota, nonché potenzialmente in grado di dare una grossa mano nei combattimenti più ostici o persino durante alcuni ostacoli ambientali.
Gli altri due poteri sono invece Ascensio e Reverto. Questi permettono rispettivamente di attraversare superfici piane presenti sopra il giocatore, risparmiandosi quindi alcune scalate (ma non tutte), e di mandare indietro nel tempo un oggetto, invertendone ad esempio la traiettoria. In entrambi i casi, siamo di fronte a poteri meno “rivoluzionari” dei precedenti, ma comunque decisamente interessanti se combinati all’economia generale del titolo.
Ed è proprio questo il punto di forza di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom. Tutti gli elementi elencati finora sono combinati in una struttura ludica quasi perfetta, dove si alternano attività di vario tipo e si spinge il giocatore a sfruttare in modi sempre diversi gli strumenti a disposizione, creando una costante sensazione di avventura e di freschezza.
Per arrivare al tipico segnalino di una missione principale, per esempio, è facile imbattersi in diverse deviazioni, che vanno dai classici sacrari, passando per torri topografiche da attivare (ovvero delle strutture che rivelano la mappa, lanciando anche Link nel cielo), grotte da esplorare, PNG da aiutare e molto altro. Proprio in questa lista sono presenti due novità del titolo: il cielo e il sottosuolo.
Entrambi sono definibili come vere e proprie mappe presenti sopra e sotto la superficie di Hyrule. Nel primo caso parliamo di un arcipelago di isole fluttuanti, che però non va visto come una vera e propria worldmap sviluppata anche in verticale. Questi luoghi sono infatti delle grosse strutture a cielo aperto, dove spesso sono sparsi enigmi ambientali (non in senso stretto, ma che per esempio riguardano il superamento di un burrone o il raggiungimento di un’isola lontana), attività, o persino boss.
Nonostante la presenza di isole aggiuntive sia decisamente apprezzabile, sarebbe stato bello vedere delle mappe più complesse e articolate anche in cielo. A parte in alcune missioni principali, infatti, queste strutture non sono mai soddisfacenti come l’esplorazione della superficie o come l’isola delle origini. Sia chiaro, questo non è un vero e proprio difetto, visto che in fondo siamo di fronte a un’attività che si alterna a tutto il resto.
Il sottosuolo è invece una grossa mappa presente sotto la superficie. Questo, di fatto, assume le forme di un vero e proprio abisso dal paesaggio infernale, dove tutto è ricoperto dal buio pesto. La progressione in questo luogo è quindi legata al raggiungimento di grosse radici che, una volta attivate, spargono luce e rivelano una porzione ristretta di mappa. Per poterci arrivare, però, occorre sfruttare i semi luminosi, dei fiori che di fatto possono essere usati come lanterne.
Sempre nel sottosuolo sono sparse rovine di ogni tipo, dove si trovano giacimenti di minerali, piccoli enigmi e persino una vera e propria questline. Anche in questo caso, purtroppo, questa mappa non convince appieno, per via di un’esplorazione che si dimostra meno interessante di quella in superficie e per una generale ripetitività di fondo. Anche stavolta, però, l’alternanza costante tra varie attività (difficilmente resterai esclusivamente nel sottosuolo, sulla superficie o in cielo) crea un pacchetto convincente e appassionante.
Va invece lodato il tentativo di rendere interessante lo sblocco delle Torri Topografiche. Queste, come accennato, permettono di lanciarsi in cielo, sbloccando la mappa dell’area e osservando punti di interesse da raggiungere. Proseguendo nelle aree più periferiche di Hyrule, però, l’attivazione delle torri risulta meno immediata, per via di ostacoli ambientali che vanno superati, spesso sfruttando il motore fisico o del gioco (ad esempio quando ci si ritrova davanti a dei rovi da bruciare), oppure ragionando sui poteri a nostra disposizione.
Tiriamo le somme
In sintesi, The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom è un sequel riuscitissimo, che di fatto non si ferma sulle fondamenta gettate da Breath of the Wild, ma le amplia e le reinterpreta. I nuovi poteri di Link permettono infatti di sfruttare al meglio il motore fisico del tiolo, dando all’esplorazione di Hyrule una piacevole componente sandbox, che però non diventa mai troppo pressante.
Il giocatore non è mai costretto a utilizzare eccessivamente un certo tipo di approccio e, nonostante l’utilizzo dei poteri sia spesso obbligatorio per proseguire, la voglia di sperimentare è soltanto nelle mani di chi gioca. In ogni caso, l’alternanza di varie attività rende l’esplorazione sempre interessante, stimolando continuamente la curiosità e il senso di scoperta.
La formula che ha reso famoso il capostipite torna quindi di prepotenza, ma si evolve con meccaniche che spingono ulteriormente l’acceleratore del motore fisico del gioco e di un mondo che reagisce al giocatore.
Va poi fatta una menzione d’onore alle missioni principali. Queste propongono spesso questline davvero interessanti, dove il titolo spinge il giocatore a sperimentare soluzioni di gameplay in qualche modo diverse da quelle che la fanno da padrone nell’esplorazione della world map. Ecco quindi che ci si ritrova, per esempio, in una fase platform dove scalare rovine fluttuanti intorno a un uragano, per poi raggiungere una zona centrale dove risolvere alcuni enigmi prima di affrontare un enorme boss volante.
Proprio in questi momenti, peraltro, il level design delle mappe aggiuntive brilla particolarmente, dando in pasto al giocatore ambienti complessi e interessanti da navigare, magari anche tramite l’utilizzo di meccaniche particolari. Svolgendo queste missioni, infatti, si sbloccano diversi poteri aggiuntivi (in un certo senso paragonabili a quelli di Breath of the Wild) che poi possono essere utilizzati senza limiti.
Concludere le missioni principali permette di siglare i patti con i quattro saggi, che garantiscono la possibilità di evocare altrettanti spettri. Questi si comportano come veri e propri alleati, seguendo Link, combattendo e dando modo di sfruttare i loro poteri per l’esplorazione o il combattimento dopo un cooldown non troppo lungo. Questo, insieme ai già citati congegni Zonau, dona ulteriori possibilità di agency al giocatore. E’ per esempio possibile combinare un missile a uno scudo per proiettarsi in alto (con buona pace del Turbine di Revali), per poi usare il nuovo potere del saggio del vento che spinge in avanti.
Tecnicamente al massimo
Il comparto tecnico di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom spinge al massimo Nintendo Switch (che sia il famoso canto del cigno della console?), portando un colpo d’occhio generale davvero incredibile. Hyrule è viva e colorata, anche grazie a effettivi visivi e “fisici” sempre convincenti. Allo stesso modo, le animazioni dei personaggi e i modelli poligonali sono sempre soddisfacenti.
Va detto che, chiaramente, tutto questo arriva al prezzo di una risoluzione non sempre eccelsa, affiancata da alcune texture non troppo definite e da occasionali cali di FPS nelle situazioni più affollate. Si nota, però, un lavoro eccelso di ottimizzazione, grazie al quale questo prezzo da pagare è stato ridotto al minimo possibile. Questi compromessi visivi, però, sono molto evidenti, soprattutto se si sceglie di giocare in modalità docked.
Di fatto, nonostante il comparto tecnico possa apparire “datato”, resta invece un piccolo miracolo. Per esempio, la distanza di pop-up è stata ridotta rispetto al capostipite, alcune interazioni ambientali sono diventate più convincenti e il colpo d’occhio è generalmente più gradevole. Tears of the Kingdom spreme al massimo Nintendo Switch, dimostrando che la console ha ancora qualche asso nella manica, ma forse ponendosi anche come il classico canto del cigno prima dell’annuncio di una nuova piattaforma.
Il comparto estetico richiama invece lo stile già visto in Breath of the Wild, il quale torna di prepotenza, dipingendo un mondo di gioco dall’estetica cartoon che contribuisce a rendere ancora più spettacolare il colpo d’occhio generale. Va poi lodato il tentativo di narrare anche attraverso l’esplorazione ambientale, ridisegnando luoghi e personaggi in modo da comunicare al giocatore il passaggio del tempo tra il primo e il secondo capitolo, delineando una Hyrule che in qualche modo è andata avanti dopo la sconfitta della calamità Ganon.
Infine, il comparto sonoro è semplicemente perfetto, grazie musiche memorabili che impreziosiscono i momenti narrativi e contribuiscono a creare le splendide atmosfere dei luoghi.