Sviluppato e pubblicato da Nintendo, Pikmin 1+2 è una collection in HD dei primi due capitoli dell’omonima saga pubblicata strategicamente in vista di Pikmin 4. Questa intrigante combo, ci riporta nuovamente indietro nel tempo facendoci riscoprire le prime avventure di Olimar e degli ormai iconici Pikmin. Noi abbiamo percorso entrambe le storie su Nintendo Switch (di cui il titolo è esclusiva) e questa è la nostra recensione!
Pikmin 1+2 – come è iniziato tutto
Prima di affrontare la narrativa di questi due fondamentali capitoli della saga dei Pikmin, è bene ricordare che questa non è il primo porting ufficiale. Pikmin, il capostipite della saga, è stato pubblicato la prima volta per GameCube nel 2001 mentre una sua versione per Nintendo Wii è apparsa a fine 2008. Pikmin 2, invece, ha visto la luce nel 2004, sempre per GameCube, forte dell’indiscutibile fascino e successo del predecessore. E, come il primo capitolo, anche questi ha avuto una versione per Nintendo Wii pubblicata nel corso del 2009.
Questa nuova collection in HD riprende le versioni uscite per Nintendo Wii effettuando lievi modifiche ai controlli senza alcuna novità di rilievo se non meramente grafica (che approfondiremo nell’apposito paragrafo). Parliamo comunque di due titoli che hanno fatto la storia della saga e che, a differenza del terzo capitoli, Pikmin 3, presentano un grado di difficoltà leggermente maggiore (specialmente Pikmin). Ma bando alle ciancie e scopriamo insieme come è nato tutto.
Pikmin inizia con un brutto incidente spaziale. La navicella del capitano Olimat, un buffo e nasuto ometto dotato di sufficiente coraggio, viene danneggiata da un meteorite e precipita inesorabilmente su un pianeta sconosciuto. Qui, il prode Olimar non si perde d’animo e inizia subito a esplorare il mondo dopo aver analizzato i danni al proprio veicolo. La Dolphin, infatti, è a pezzi. Per l’esattezza, ne mancano 30 di pezzi. Allo stato attuale, non è in grado neanche di decollare.
Ma come anticipato, Olimar non è il tipo d’arrendersi anche perché, l’aria del pianeta su cui è atterrato è velenosa e lui non potrà resistere a lungo. Guarda caso, il poveretto ha giusto 30 giorni a disposizione. 30 giorni per 30 pezzi (che poi in realtà ne bastano anche meno, ma sono dettagli). Per fortuna, il primo pezzo che riesce a recuperare è proprio il motore che gli permette di sorvolare brevi tratte, spostandosi in altre zone e soprattutto allontanandosi dalla fauna nemica.
E parlando di fauna, Olimar non è solo. Il pianeta è vivo e ha un suo ecosistema, vero punto di forza nonché fascino indiscutibile dell’intera saga. I pikmin, per chi non lo sapesse, sono parte di questo colorato e stravagante ecosistema. Sono piccoli esserini simili a radici colorate che vanno letteralmente sradicati dal sottosuolo. Una volta “raccolti”, questi esserini si uniscono a Olimar formando un piccolo ma fedele esercito di tuttofare. E sono proprio i Pikmin, infatti, ad aiutare Olimar a sopravvivere e soprattutto a raccogliere i pezzi di cui ha bisogno la Dolphin per tornare in orbita e salvare il suo pilota.
Ma i Pikmin stessi hanno bisogno di una guida, ossia di Olimar. I piccoletti, infatti, sono posizionati praticamente in fondo alla catena alimentare, vittime di creature decisamente più aggressive e affamate (anche se i Pikmin, soprattutto in gruppo, sono perfettamente in grado di combattere e creare danni non indifferenti). Ecco quindi che Olimar assume il ruolo di condottiero, guidando i suoi nuovi e buffi amici in una missione di sopravvivenza che riguarda praticamente entrambi. Inutile dire che il legame tra il capitano e i piccoletti alieni si rafforzerà di giorno in giorno, il tutto scandito da un diario di bordo redatto dallo stesso Olimar.
E arriviamo a Pikmin 2 che recupera il tono dell’opera originale rendendola leggermente più leggero e meno “cupa” (d’altronde nel primo capitolo soccombe l’alone di morte per l’aria velenosa). La motivazione principale, questa volta, è legata prevalentemente ai soldi. La compagnia, la Hocotate Trasporti, per cui lavora Olimar è soffocata dai debiti, alimentati dopo uno sfortunato incidente, e sta praticamente rasentando il fallimento. Come fare per ottenere soldi e salvare la propria compagnia? Semplice, vendendo tesori d’inestimabile e sorprendente valore.
Guarda caso, gli artefatti presenti sul mondo dei Pikmin sembrano valere un bel po’ di soldi ed ecco quindi che Olimar viene ingaggiato, conoscendo già abbastanza bene quei luoghi, per una nuova ed entusiasmante quanto tragicomica avventura alla ricerca di circa 200 tesori da vendere. Ma non sarà solo. In questo capitolo fa la sua comparsa il simpatico, e altrettanto iconico, Louie. Sì, Pikmin non è di certo ricordato per la complessità del suo canovaccio narrativo eppure la trama funge bene da collante e giustificate l’intrigante viaggio il cui vero cuore pulsante è comunque il gameplay.
Una saga unica
Prima di approfondire il gameplay di questa combo di videogiochi strategici, è bene dire che sì, cronologicamente, se si vuol seguire la trama (seppur flebile e non stratificata, è presente una linea storica), bisogna procedere per ordine numerico partendo quindi dal primo Pikmin. Ma, il livello di difficoltà è praticamente opposto rispetto alla cronologia. In breve, il primo Pikmin è in assoluto il più difficile e non solo per la questione incombente del countdown dei giorni ma anche perché è quello meno user friendly. Pikmin 3, invece, è quello più accessibile e adatto ai neofiti.
Appurato ciò, scendiamo nel dettaglio di questi due splendidi giochi. Chi già conosce Pikmin 1 e il suo sequel, non troverà grandi stravolgimenti. Tutt’altro. A essere onesti, questa riedizione non ha lo stesso impatto estetico avuto con Metroid Prime Remastered. Bada bene, non parliamo di una conversione pigra ma, semplicemente, il lavoro apportato in termine di modifiche è nettamente minore. Questo anche perché i due Pikmin, al giorno d’oggi, si difendono ancora egregiamente grazie a un gameplay fortemente identitario.
In entrambe le avventure, avremo il controllo diretto del piccolo esploratore e, con una visuale semi isometrica, potremo esplorare liberamente alcune aree delimitate fisicamente dall’ambiente circostante. Il tutto in un effetto, oggi tanto apprezzato in titoli come Grounded, dove tutto ciò che ci circonda, alcuni nemici inclusi, sono decisamente più grossi di me, inclusi oggetti umani e di uso quotidiano (che diventano poi i tesori preziosi di Pikmin 2).
Controllare Olimar, oggi, regala feedback molto simili al passato senza però risultare legnoso o scomodo, tutt’altro. Possiamo ruotare liberamente la telecamera direttamente con l’analogico e, chi ha giocato l’originale sul GameCube, potrà scontrarsi con la mancanza del tasto “c” (che era, appunto, il piccolo analogico giallo del GameCube). Il tasto “c” dell’epoca, era utilizzato per impartire comandi all’esercito dei Pikmin, “muovendoli” direttamente nell’area. Ecco, questo comando non è stato eliminato (ovviamente) ma richiede un passaggio in più. Per eseguirlo, si usa ancora l’analogico ma dovrai tener premuto anche il tasto dorsale. Niente di scomodo ma, ancora una volta, chi proviene dal titolo originale, dovrà leggermente abituarsi.
D’altronde, Pikmin 1+2 cerca, nel suo piccolo, con leggere accortezze, di prendere qualcosina stesso dal capitolo tre per adattarsi al meglio su Nintendo Switch e lo fa discretamente bene. Certo, lanciare i Pikmin non è ancora precisissimo ma ci si fa presto la mano. E se non lo sapessi, sì, i Pikmin si lanciano. Si lanciano per attaccare nemici, superare vuoti o raggiungere alture ma anche per fargli intercettare oggetti. Perché, ricordiamolo, lo scopo di Pikmin è quello di recuperare oggetti prima che faccia buio (pezzi della nave per il primo capitolo, tesori per il secondo) da trasportare, preferibilmente con meno morti possibili, fino alla nave di partenza (ossia la zona di sbarco e punto di partenza delle relative aree). E perché bisogna evitare la notte? Perché di notte le aree si riempiono ancor di più di nemici affamati.
Altra particolarità della saga dei Pikmin, nonché elemento altamente strategico, è la tipologia stessa dei piccoletti. Questi, infatti, nel primo gioco sono tre e si distinguono per colore e abilità: i rossi (i più forti in battaglia oltre ad avere la capacità di resistere alle fiamme), i gialli (in grado di utilizzare particolari pietre oltre a essere i più leggeri il che si traduce nella possibilità di lanciarli più in alto e lontano) e i blu (unici a poter sopravvivere in acqua e possono anche fungere da “bagnini” salvando i loro fratelli).
Questa stessa particolarità, colto il suo potenziale, viene allargata ulteriormente nel sequel con l’introduzione di ulteriori due varianti: bianco (sono i più veloci di tutti, velocità che si riflette anche nella rapidità d’attacco. Inoltre sono velenosi e se vengono divorati, avveleneranno l’aggressore causandogli danni nel tempo) e viola (più massiccio, pesante, lento e forte rispetto agli altri, pikmin rossi inclusi e con un bonus trasporto notevole. Un pikmin viola equivale come dieci altri pikmin). Ma come nascono i Pikmin? Molto semplice, basta localizzare il loro “nido/navicella” e condurre lì particolari gettoni numerati. Il numero fa da spoiler, preannunciando quanti pikmin nasceranno da esso.
Questa è la genesi “classica” dei pikmin ma non è uguale per tutti. Viola e bianchi, infatti, nascono in modo diverso ossia lanciando in particolari “piante” gli altri pikmin dando così alla luce un certo numero di pikmin d’altro colore. E in effetti, svelare le regole del mondo di Pikmin, scoprirne la fauna, i pericoli, i segreti… esplorare, è una delle cose più belle all’interno di entrambi i titoli. Se il primo presenta un’atmosfera abbastanza “allarmata” col tempo ben scandito e pericoli dietro ogni angolo, il secondo recupera tutto e lo amplifica, perfezionandosi e moltiplicando notevolmente quasi ogni suo elemento.
Riassumendo, parliamo di due titoli che ancora oggi si difendono egregiamente per un gameplay solido e a suo modo originale oltre che con un’identità estetica e ludica da far invidia. Pikmin è Pikmin ed è sinceramente difficile paragonarlo ad altri titoli riuscendo sì a prendere qualcosa (qualcuno ha detto Lemmings?) ma mutandolo e personalizzandolo decisamente bene. Chi ha già vissuto le avventure, troverà in questa riedizione un forte fattore nostalgico e si sentirà praticamente a casa ma non troverà alcuna novità degna di nota. D’altro canto, chi non conosce i Pikmin, troverà qui una combo di titoli eccezionale anche se decisamente meno accessibili rispetto al terzo capitolo.
Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Pikmin 1+2 svolge il minimo come remastered. Il titolo si difende abbastanza bene senza alcun calo di frame rate e senza neanche troppi rallentamenti (salvo sporadici episodi dove gli elementi a schermo che si muovono simultaneamente sono davvero tanti e comunque, ci è capitato solo in modalità portatile). La grafica, seppur non più dettagliatissima (soprattutto per il primo capitolo) riflette un’identità forte e che non ha nulla da temere (anche se forse si poteva fare un po’ di più). Le modifiche grafiche effettuate riguardano soprattutto i personaggi (che risaltano leggermente di più rispetto agli ambienti) e sono stati anche rimossi diversi richiami pubblicitari (i brand) reali.
Il sonoro è anch’esso parte dell’identità del titolo, con tracce melodiche, facili da riconoscere e che sapranno accompagnare degnamente gli utenti lungo entrambe le odissee. Da segnalare che entrambi i titoli hanno i sottotitoli in italiano e che entrambe le modalità dell’ibrida Nintendo riescono a offrire un’esperienza di gioco solida e appagante. D’altronde, giocare a Pikmin ovunque vogliamo, è un valore aggiunto non indifferente.