Tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ’80, il nome di Go Nagai era sicuramente sconosciuto in Italia; fatto curioso se si considera che proprio in quel periodo le sue creature dominavano l’immaginario dei nostri giovani compatrioti, che passavano ore incollati agli schermi per seguire le avventure dei cosiddetti robottoni.
Mazinga, Ufo Robot, Jeeg sono nomi che già all’epoca erano sulla bocca di tutti, pur con traduzioni e adattamenti improbabili (in parte dovuti all’acquisizione delle serie dai cugini francesi che storpiano la qualsiasi per tradizione) che nessuno ha più dimenticato, trasmettendole anche alle nuove generazioni e facendo nascere una passione che a tratti diventa quasi un culto nei confronti di personaggi e storie ormai leggendari.
Proprio a questo si deve, 48 anni dopo la sua nascita, la creazione del primo videogioco interamente dedicato a Grendizer, meglio conosciuto da noi come Goldrake; il celebre robot di Nagai infatti pur facendo delle comparsate in altri titoli come Super Robor Wars non ha mai goduto di una trasposizione videoludica, neppure nel suo paese natale.
Dobbiamo infatti considerare il titolo di Microids come un omaggio ad una leggenda, un atto d’amore verso un universo amato da generazioni di spettatori, ancora prima che come videogioco. Ma scopriamolo insieme
Goldrake, vai contro i mostri lanciati da Vega
La storia raccontata in Goldrake – Il banchetto dei lupi, è quella ampiamente nota agli appassionati: Duke Fleed, principe del pianeta omonimo, è costretto a risvegliare Goldrake e a fuggire dal suo pianeta natale a causa dell’attacco delle truppe veghiane guidate dal perfido Hydargos.
La sua fuga lo conduce sul pianeta Terra, dove viene nascosto dal Dottor Procton che lo adotta e costruisce una base per Goldrake, dove Fleed si stabilisce con il nome di Actarus (nel gioco i nomi sono rimasti quelli classici); la vita sembra scorrere tranquilla per un paio d’anni, finchè anche sulla Terra arrivano le truppe di Vega insieme ai temibili disco mostri.
Con l’aiuto di Alcor, ovvero il Koji Kabuto che pilota Mazinga, ad Actarus/Duke Fleed non rimane che impugnare di nuovo i comandi del temibile Goldrake per proteggere la sua nuova casa, conscio del fatto che la presenza del robot causerà un’inevitabile guerra tra la Terra e la flotta di Vega.
Alabarda Spaziale e Pugno Perforante
Proprio in considerazione delle premesse, Goldrake – Il banchetto dei lupi è un titolo abbastanza semplice che fa il suo senza tuttavia strabiliare.
A livello di gameplay siamo davanti ad una struttura triplice che per la maggior parte del tempo ci vede ai comandi di Goldrake in un picchiaduro free roaming vagamente alla Dinasty Warrior in un ambiente principalmente rurale, come in effetti poteva essere il Giappone di 50 anni fa.
A queste sezioni si alternano momenti in cui comanderemo il solo Actarus con una visuale dall’alto (ad esempio quando saremo all’interno della base di Goldrake) e sezioni sparatutto, sia con Goldrake e il suo Spacer (il famoso raggio missile con circuiti di mille valvole) che a bordo del TFO giallo di Alcor.
Le sezioni più riuscite e su cui ovviamente lo sviluppatore ha investito maggior tempo e risorse sono quelle in cui affronteremo le varie creazioni meccaniche che compongono l’esercito di Vega; per sconfiggere i robot avversari abbiamo a disposizione tutte le più famose armi di Goldrake. A partire dalla celebre Alabarda Spaziale, al pugno rotante passando per il raggio antigravitazionale, tutte le armi che abbiamo visto in azione nell’anime sono qui presenti e vanno utilizzate nella maniera più proficua.
Tutti i nostri armamenti sono infatti migliorabili (in alcuni casi andranno prima sbloccati) nel corso dell’avventura, ma per avere un impatto devastante ciascuno di essi ha spesso una finestra dedicata.
Per facilitarci, infatti, sulla testa dei nostri nemici compare un’icona a simboleggiare l’attacco più adatto per spezzarne la guardia o infliggere danni notevoli; il che, in definitiva, rende abbastanza semplice ogni scontro.
Di tanto in tanto, come da tradizione anche nell’anime, ci troveremo ad affrontare i disco mostri, robot più grandi e potenti degli altri che daranno del filo da torcere a Goldrake. In realtà, il più delle volte si tratta di un combattimento appena più impegnativo degli altri, in cui dovremo imparare il pattern del boss e poi controbattere utilizzando i colpi a nostra disposizione per un periodo più lungo, data la corposa barra di vitalità a loro disposizione.
Il gameplay, tolte alcune piccole sezioni platform, è questo ed è facilmente comprensibile come sia una formula abbastanza ripetitiva; per fortuna, va detto che l’intera avventura si può completare in una manciata di ore, 4 o 5 a seconda se vorremo o meno esplorare l’intera mappa di gioco e completare tutte le attività secondarie.
A livello generale, le sezioni sparatutto risultano molto ripetitive e poco appassionanti, anche per via di un gameplay troppo stantio, mutuato dai classici shmup giapponesi che vedono i velivoli nemici muoversi in pattern prestabiliti (specie nelle sezioni sul TFO) che poco ci entusiasmano in titoli del genere.
Segnali di Stile: grafica e gameplay
Come è ovvio che sia, i comparti sonoro e visivo emergono nettamente all’interno di Goldrake – Il banchetto dei lupi.
Per quanto riguarda la veste grafica, dobbiamo dire che è un po’ a metà strada: curato il design di Goldrake e dei nemici, si poteva e doveva fare di più per il resto.
Innanzitutto il mondo di gioco è molto spoglio, composto principalmente da alberi, fiumi intervallati qua e la da qualche villaggio rurale o casa sparsa con poche città. Il tutto richiama sicuramente il Giappone dell’epoca di Goldrake però il tutto è di qualità rivedibile e l’impossibilità di distruggere un qualsivoglia elmento, oltre che poco realistico non è coerente con le creazioni di Go Nagai che avevano nella distruzione di città e ambienti terrestri uno dei loro punti cardine.
Qualche magagna viene fuori principalmente nelle sezioni sparatutto con il disco volante di Alcor, che soffrono di un inspiegabile effetto pop-up, che talvolta ci mette in difficoltà sulla traiettoria da prendere.
Il sonoro costituisce un ottimo elemento nonchè un ulteriore omaggio alla serie: le musiche sono quelle a cui siamo abituati e in generale tutto il comparto è stato curato per riecheggiare il cartone animato. Sentire Actarus declamare a voce alta le armi utilizzate non può che farci tornare bambini, quando eravamo solo spettatori dell’azione.
Anche le voci, in italiano dal momento che abbiamo un doppiaggio completo, rievocano quelle originali; in questo caso il doppiaggio un po’ piatto ed affettato è un pregio, perchè pur non avendo i doppiatori dell’epoca l’effetto nostalgia è così perfetto.